Putifigari – La Regina delle Domus De Janas: S’Incantu (Neolitico finale 3200-2800 A.C.)

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“Un monumento che da solo basterebbe per attribuire al popolo sardo del neolitico la giusta dignità che da sempre gli è stata negata, definendolo finalmente come “culla e faro fra le civiltà del mediterraneo di quel periodo”

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In Sardegna le tombe ipogeiche vengono chiamate, più o meno ufficialmente, Domus de Janas, cioè, letteralmente “case delle fate” per il loro essere misteriose e magiche. Tuttavia il termine janas, secondo un’altra affascinante ipotesi, potrebbe avere derivazione da Jannas (porte), cioè rappresenterebbero il varco che dal regno dei vivi conduceva a quello dei morti. D’altronde il nome Domus de Janas è uno dei tanti utilizzati dalla ricco vocabolario sardo che comprende: domos de janas”, “domos de fadas”, “domos de cogas” “pèrcias de fadas”, “concheddas”, “birghines”, “forreddos”, “forrichesos”, “furrighesos” o “furrigheddos“,coroneddos“, “ispiluncas“, “dommos de bìrghines” “forrus”, “forreddus”, “grutas”, ecc. ecc. a seconda della zona della Sardegna nella quale gli ipogei sono ubicati. Una di queste Domus de Janas ha un nome che corrisponde a verità: S’Incantu (L’Incanto, nota anche come Tomba dell’Architettura Dipinta), ipogeo appartenente alla Necropoli di Monte Siseri, in territorio di Putifigari. Non credo che si sarebbe potuto dare un nome più azzeccato a questa meraviglia artistica vecchia di oltre 5000 anni. Sono andata a visitarla diverse volte negli ultimi anni, ed ogni volta mi appare più bella, più misteriosa, più magica. Da sempre ho ammirato, con un pizzico di invidia, ciò che Carter e i vari archeologi dell’800 nell’antico Egitto ritrovavano. Sognavo un giorno di poter andare anche io, là, per potermi beare delle visione delle antiche tombe Egizie. Ma … dopo aver visitato S’Incantu, mi sono accorta che anche qui, nella mia terra, ci sono dei tesori affascinanti come in Egitto, e sono pure un po’ più vecchiotti!

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La tomba di “S’Incantu” ne è l’esempio. Essa è tutta dipinta di rosso e di blu notte (quasi nero); la presenza del dio Toro la si respira ovunque, dai bassorilievi delle pareti alle incisioni sulle colonne, per non parlare dell’ingresso, proprio a forma di testa taurina; fu scavata nel 1989 dall’archeologo Giovanni Maria Demartis. Le sue forme ed i suoi colori raggiungono una raffinatezza eccelsa. Il focolare centrale della grande stanza rappresenta, a mio avviso per delicatezza e precisione, il più bel focolare ipogeico fra quelli finora conosciuti. Le tre false porte (due contrapposte lateralmente nell’ingresso, ancora fortunatamente integre) e quella della grande stanza (purtroppo profanata da qualche imbecille che la ha semidistrutta alla ricerca del mitico quanto inesistente “ischisorzu“) sono i varchi o “giannas” che facilitano il passaggio verso l’aldilà alle anime dei morti. Il soffitto a doppio spiovente rasenta la perfezione assoluta. Le due colonne a pilastro a sezione rettangolare con, a rilievo, protomi taurine stilizzate sono esempi di sommo slancio e di impareggiabile eleganza armonica. Le triple corna taurine che si allungano per tutta la parete della grande stanza non fanno altro che focalizzare l’arcano e la meraviglia del tutto. Un monumento che da solo basterebbe per attribuire al popolo sardo del neolitico la giusta dignità che da sempre gli è stata negata, definendolo finalmente come “culla e faro fra le civiltà del mediterraneo di quel periodo”.

Piera Farina-Sechi

Foto e supporto lessicografico: Bruno Sini