A PROPOSITO DI ARCHITETTURA NURAGICA

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di Marco Chilosi

Riprendo un argomento interessante, proposto recentemente su Nurnet da Antonello Gregorini [1].

Per capire meglio una Civiltà antica e millenaria l’architettura è chiave di lettura fondamentale, specialmente in assenza di “documenti” o cronache attendibili. In Sardegna possiamo ancora ammirare dei capolavori architettonici: migliaia di nuraghi, differenti tipologie di monumenti funerari,  templi, abitazioni , villaggi….

Una cosa appare evidente: nel periodo pre-nuragico e nuragico  gli edifici erano costruiti seguendo due differenti  “forme” geometriche elementari:  la forma circolare e la forma angolare rettangolare o quadrata, caratterizzate da specifiche caratteristiche tecniche (statica, materiali, etc.) e, verosimilmente, di codice estetico. In origine queste differenti tipologie di costruzione erano, presumibilmente, determinate da  esigenze pratico/strutturali, utilizzate e perfezionate in migliaia di anni, ereditate dal nomadismo del paleolitico (semplice capanna circolare di pali e frasche per vivere con la famiglia; grotte e fosse per seppellire i defunti). Nel tempo queste due tipologie di costruzione si sono evolute tecnicamente, assumendo più robusti connotati rituali e simbolici, con varianti in diverse aree e periodi. La forma squadrata/rettangolare tipica dei dolmen, della cista litica, associata come codice estetico/simbolico all’edilizia sepolcrale, la ritroviamo  nelle domus de Janas, dove i locali sono prevalentemente a pianta quadrata o rettangolare; con porte, vere o false, egualmente squadrate. Nelle più complesse i locali sono interconnessi perlopiù ad angolo retto, con diramazione dicotomica. Quando presenti, i rari  elementi curvilinei sembrano più pertinenza dei celebranti che dei defunti (posizione prossimale, esedre, decorazioni, coppelle e vassoi per le offerte).

Ipotizzabile un collegamento filosofico/materico che leghi le forme alla natura? Nella sepoltura il defunto tornava idealmente nel grembo della madre-terra, nella roccia. Elemento ben noto alle popolazioni della Sardegna, ricca di falesie, di pareti e spianate calcaree, di minerali e metalli. La roccia spesso presenta strutture poliedriche, regolari, angolate; si possono ammirare nelle fantastiche grotte immaginifici aspetti cristallini, che presentano regolarità e geometrie idealmente trasferibili a canoni estetici. La realizzazione di uno scavo nella roccia è impresa faticosa. Rifinire i soffitti delle domus con forme squadrate, con angoli, colonne e cornici era certamente più arduo che seguire forme arrotondate, formando volte certamente più strutturalmente resistenti. Quella fatica supplementare doveva essere supportata da una notevole esigenza progettuale, una fede. Il codice tecnico/estetico mutuato dai dolmen si è evoluto, approfondito, arricchito di contenuti religiosi, metafisici, con riferimenti astronomici. Codice estetico-simbolico che diviene modello architettonico, acquisendo caratteri di rispetto di proporzioni e simmetrie, che precedono di secoli i canoni dell’ analogia della Grecia classica.

Col passare dei secoli la transizione verso il Nuragico sembra trasformare gradualmente la progettualità e la tecnologia impiegate nelle sepolture, ma conservando i canoni estetici e di culto. Dal dolmen, l’ allée couverte, la domus ipogeica, la tomba a prospetto, la tombe dei giganti, sempre rispettando nella sepoltura il “codice” geometrico.  Nelle Tombe dei giganti, spesso, il monolite centrale porta un riquadro simile ad una “falsa porta”, a separare il lungo locale rettangolare dedicato all’ “aldilà”  dall’esedra curvilinea che accoglie coloro che restano nel mondo dei viventi, all’esterno.

La seconda tipologia – la forma “cuvilinea o circolare”-  è, nel periodo nuragico, onnipresente; quasi ossessiva: si ripete nelle torri nuragiche, nei villaggi, nelle capanne delle riunioni, nelle fonti sacre, nei cromleth…. [2]

Le abitazioni nuragiche erano capanne prevalentemente circolari, costruite seguendo un progetto semplice (direi “classico”) con tetto conico di pali, paglia, pelli, argilla, o interamente di pietre.  Delle capanne del periodo pre-nuragico abbiamo scarsa evidenza archeologica, perché costruite con materiali deperibili. Restano le basi in pietra di alcune costruzioni a pianta rettangolare (villaggio di Serra Linta di Sedilo, etc.), ma sono reperti rari, giunti fino a noi forse in quanto “peculiari”, nobilitati dalla base in pietra, appunto. Frequenti in aree riconosciute come complessi di culto (santuari?), come nel sito di Monte d’Accoddi.  Più tardivamente, nel nuragico, sono rettangolari i templi a megaron od in antis, possibile evoluzione di quei canoni architettonico/cultuali (senza scomodare improbabili influenze dall’ Egeo)[3].

Possiamo quindi  ipotizzare che la pianta circolare sia una tipologia architettonica utilizzata nelle abitazioni “civili”, mentre quella quadrata/rettangolare rappresenta un canone estetico/architettonico deputato al “sacro” (templi, cripte ipogeiche, culto dei defunti)? Se analizziamo la sterminata casistica di costruzioni che abbiamo ereditato – dal neolitico al nuragico, fino alle sepolture di Tuvixeddu – questa ipotesi appare difendibile. Ma con delle eccezioni: i pozzi sacri erano certamente luoghi di culto. Eppure hanno pianta prevalentemente circolare, spesso sovrastati da tholos perfettamente rotondi costruiti con lo stesso stile dei nuraghi, edifici di cui si discute la funzione, ma comunque e per tutti non funeraria. La spiegazione può essere nella poliedrica concezione del sacro. I pozzi sacri sono templi strettamente collegati con il culto dell’acqua, della luce, del sole, della vita. L’acqua: che acquista forme circolari concentriche, che forma pozze e laghetti circolari, che si frantuma in gocce, capace di trasformare nel tempo spigolose rocce in ciottoli curvilinei ed armonici. E nelle fonti circolari si specchia il sole, divino e vitale, e perfettamente rotondo. Canone estetico presente nei nuraghi, che si elevano possenti, vertiginosamente, ipnotici. Con loro si vorrebbe raggiungere il cielo, come appare nelle rappresentazioni simboliche dei bronzi caratterizzati da precocissima estetica “verticalista”.  Dove il sole illumina le aperture, memori dell’abbaglio colto nel bosco. Riconoscendo nei tronchi  lo stesso schema, a cerchi concentrici, come nell’acqua, negli occhi, nel ventre gravido, nell’omphalos.  Rinforzando un collegamento tra forma, simbolo e mistica, sacralizzando la “Natura” che diviene divinità, riconoscibile in quelle forme che reiteratamente mette in evidenza. E queste forme vengono traslate e moltiplicate nella vita corrente, nelle forme del pane, nelle decorazioni, nelle pintadere, nelle fiasche del pellegrino, divenendo decorazione, gioiello, amuleto. E si materializza, glorioso, nella massima espressione architettonica del popolo Nuragico, l’emblema di appartenenza, prestigio, culto della famiglia e della stirpe: i “Nuraghi”. Edifici abitati, utilizzati, venerati da gente orgogliosa, allegra e laboriosa, che immaginiamo ruvidamente poetica; edifici dedicati alla vita, non a riti funebri. Per quelli ci sono altri edifici, più sobri, severi, diversi anche nella tipologia architettonica. Diversamente da altre culture o civiltà, coeve o posteriori. I tholos a Micene, in Grecia, in Egitto, più tardi in Etruria, sono utilizzati prevalentemente per sepolture. In Sardegna è un’altra cosa. La tecnica è la stessa, mirabile nella sua perfezione, ma l’ispirazione è diversa (e questa specificità suggerisce che la tecnica fu esportata dalla Sardegna, non importata).

Potremmo infine supporre che anche gli “accostamenti” tra le due rappresentazioni del sacro rappresentassero rilevanti categorie simboliche, riconoscibili in ogni epoca ed in diversi contesti:  nelle domus de janas, dove perfette rappresentazioni della circolarità ad anelli concentrici – presumibile simbolo/mezzo per le offerte votive dei viventi – si confronta con la  rigida, austera geometria delle pareti e delle false porte; nelle tombe dei giganti, dove l’esedra che accoglie i cerimoniali si chiude sulla geometria rettangolare della sepoltura; nei pozzi sacri, con sintesi stupende tra la circolarità del pozzo che attende dal tholos lo specchiarsi della luna, e la geometria astratta delle sue rampe rovesciate; nei villaggi, dove la circolarità delle innumerevoli  capanne si accosta ai rari, piccoli templi. Per ricondurci al contrasto delle forme nell’ antico monte d’Accoddi, dove la rotondità dell’omphalos si accompagna al maestoso ziqqurat, con il tempio rosso, come nelle domus dove l’ocra riporta più al languore del tramonto che al sangue dei sacrifici. Confronto e sintesi che potremmo riconoscere nel modello di Ittireddu, il tempio della vita accanto al tempio del trapasso.

 

  1. https://www.nurnet.net/blog/larchitettura-nuragica-ha-titolo-per-entrare-nella-storia-dellarchitettura/
  2. http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2012/05/le-rotonde-nuragiche-governo-e.html
  3. https://www.academia.edu/2514808/I_templi_nuragici_in_antis_considerazioni_su_architettura_e_cronologia