A proposito di scrittura nuragica

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di Giorgio Valdès

Non scopriamo certamente l’acqua calda affermando come in materia di presunta scrittura nuragica le tesi siano varie e spesso difformi, contrapponendo chi ne sostiene l’irrealtà e chi invece ritiene che sussistano importanti indizi a riprova della sua esistenza. Fautore di questa seconda “opzione” è il professor Massimo Pittau, che ha espresso le sue convinte valutazioni in diverse opere. Dal suo saggio titolato “I Sardi Nuragici e la scrittura”, abbiamo ripreso le seguenti considerazioni riferite ad una scritta che compare sull’architrave del nuraghe “Aidu Entos” di Bortigali:

<<…Alla fine della loro indipendenza e ormai sotto la dominazione dei Romani, i Sardi Nuragici fecero uso anche dell’alfabeto latino per comunicare i loro messaggi in lingua nuragica. Lo dimostra una iscrizione in caratteri latini che si trova nell’architrave del nuraghe di “Aidu entos” di Bortigali, però purtroppo quasi completamente illeggibile, perché la pietra è stata corrosa dal tempo.

A proposito di questa iscrizione è utile fare una importante premessa. In epigrafia, relativamente ad ogni e qualsiasi lingua scritta, vale questa importante norma metodologica: “una iscrizione è ‘contestuale’ al supporto in cui risulta iscritta, salvo prova contraria”. Ciò significa e implica che un epigrafista ha il dovere e pure l’interesse a ritenere che una iscrizione I)appartiene realmente al suo supporto, II) è stata scritta da chi ha costruito o ordinato il supporto. Su un epigrafista che in un caso specifico nega questa nota della “contestualità” cade l’obbligo di dimostrare le ragione della sua scelta contraria.

Ebbene, a favore della “contestualità” dell’iscrizione del nuraghe “Aidu entos”, cioè del suo appartenere realmente al monumento in cui è stata scritta da parte di chi lo ha costruito, interviene anche un’altra prova: dei vocaboli dell’iscrizione che risultano ancora leggibili, due appartengono sicuramente alla lingua nuragica, NURAC e SESSAR, mentre tutti gli altri sono semplicemente frustoli di vocabili. Inoltre “il vocabolo NURAC dà la conferma e la sicurezza della contestualità della nostra iscrizione col nuraghe in cui risulta scritta”. In questo caso si determina una particolare situazione ideale: è come se il nuraghe stesso come monumento scrivesse e parlasse di se stesso.

L’iscrizione dunque non è “allotria”, ossia estranea al monumento nuragico, come si è ritenuto e scritto, ma è connessa e attinente con questo.

Non è affatto legittimo inferire che la scrittura è in lingua latina perché è scritta in alfabeto latino e poi procedere ad effettuare la seguente ricostruzione  e traduzione ILI(ENSIUM) IUR(A) IN NURAC SESSAR “diritti degli ‘Ilienses’ sui nuraghi (o sul nuraghe) Sessar”. Vi si oppongono quattro importanti e pesanti circostanze: I) I dati storici da noi ora posseduti localizzano gli ‘Ilienses’ nei monti della Barbagia e non nel Marghine dove si trova il nostro nuraghe; II) COL gruppo di lettere ILI si possono ricostruire “migliaia” di vocaboli latini, nessuno dei quali è possibile privilegiare sugli altri; III) E’ del tutto inverosimile che nell’iscrizione sia stato abbreviato, e in misura così ampia, proprio il nome del popolo di cui l’iscrizione avrebbe pubblicizzato i diritti; è come se in un certificato legale risultasse abbreviato il cognome dell’intestatario; IV) Ammesso ma non concesso che sia esatta la lettura e la ricostruzione del testo, il contenuto concettuale della ricostruzione traduzione “diritti degli ‘Ilienses’ sul nuraghe Sessar”, cioè su un piccolo nuraghe di irrilevante impegno architettonico e soprattutto di nessun valore funzionale, è francamente risibile.

Dunque l’iscrizione incisa sull’architrave, addirittura sul “fastigio” di un edificio pubblico nuragico, col carattere di “grande iscrizione monumentale” – è stato precisato – e con lettere pur’esse “monumentali”, pur essendo scritta in alfabeto latino, conteneva un messaggio in lingua nuragica.

A questa tesi non si può opporre l fatto che i caratteri latini dell’iscrizione riportano all’età dell’Impero, per il fatto che un altro “luogo comune” quello secondo cui i Sardi abbiano finito di costruire i loro nuraghi già con l’arrivo dei Cartaginesi in Sardegna. Io ho avuto modo di scrivere – senza essere mai contestato – che i sardi hanno continuato a costruire i nuraghi anche in epoca romana, come dimostra il fatto che in tutti i nuraghi scientificamente scavati ed esplorati sono stati trovati numerosissimi reperti di età romana; e anche dopo la nascita di Cristo, fino all’arrivo del cristianesimo in Sardegna, come ancora dimostrano reperti cristiani di età bizantina (ad es. croci astili e inoltre lucerne cristiane assieme alle migliaia di lucerne nuragiche, puniche e romane, trovate nel nuraghe “Lugherras”= “lucerne” di Paulilatino) e come dimostrano circa 300 nuraghi dedicati al nome di altrettanti santi cristiani…>>

La foto dell’architrave del nuraghe Aidu Entos a Bortigali è di Nicola Castangia.