Ci mancavano anche i Greci !

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di Giorgio Valdès Nel 1998 l’editore Ilisso pubblicava il libro del “captain” William Henry Smyth (Westminster 1788 – St. John’s Lodge 1865), titolato “Relazione sull’Isola di Sardegna” e curato da Manlio Brigaglia. William Henry Smyth è stato un geografo, idrogeografo e cartografo inglese che dopo aver svolto alcune rapide missioni in Sardegna intorno all’anno 1821, vi ritornò due anni più tardi al comando della nave “Adventure”, percorrendola in lungo e in largo per realizzare “la carta del perimetro costiero dell’isola”. Nel 1828, mettendo a frutto la conoscenza acquisita della nostra regione, scrisse il libro “Sketch of the present state of the Island of Sardinia”, quindi riproposto in lingua italiana dalla Ilisso. Non c’è da meravigliarsi se la descrizione delle origini della Sardegna, sino all’avvento dei Cartaginesi, impegni in tutto tre paginette di descrizione (anche i libri di testo delle nostre scuole dell’obbligo sono parchi di notizie antecedenti alla colonizzazione fenicio-punica), a fronte delle complessive 320 pagine di cui il volume si compone; ma alcune sue considerazioni sulla genesi della storia isolana mi sono parse piuttosto curiose (e più spesso fantasiose) e pertanto le ripropongo testualmente: “Le origini: La Sardegna è, in ordine d’importanza, l’isola del Mediterraneo più vicina alla Sicilia. Ma sebbene entrambe siano state associate in passato nella nomea di granai dell’antica Roma, la brillante fama della Sicilia è in notevole contrasto con l’oscurità da cui è avvolta la storia della Sardegna. Mentre la prima vanta una serie di grandi opere storiche, in cui vengono celebrate le più recenti conquiste dell’intelletto umano, l’altra è presente solo con scarse notizie su nomi, fatti e date, interrotti da molti vuoti melanconici; una attira ancora l’ammirazione universale con le sue superbe reliquie dell’antichità, i suoi templi, le sue sculture, le sue monete, l’altra conserva appena qualche elemento architettonico, numismatico o storico a ricordo della opulenza o del potere del passato. Ma, sebbene decisamente inferiore alla sua orgogliosa sorella, la Sardegna non è priva di numerosi aspetti capaci di attirare la nostra attenzione, e i suoi annali mostrano una decisa testimonianza di quell’amor di libertà che ha sempre animato i suoi popoli. E’ perciò difficile individuare la ragione per cui un’isola europea situata in una posizione così importante, un’isola di clima mite e di grande fertilità, sia rimasta così poco conosciuta attraverso i secoli. Le prime ipotesi sulla storia delle sue origini, che sono piuttosto supposizioni tutt’altro che appoggiate a documenti, affermano che un “Phorcus”, presunto discendente di Noè, e un gruppo di Etruschi furono i suoi primi abitatori, circa 1700 anni avanti Cristo. Ma la maggior parte degli autori concordano nell’attribuire la prima colonizzazione ai Libici che sarebbero venuti in Sardegna sotto il re “Sardis”, figlio dell’Ercole Tebano, che intorno a 1200 anni avanti Cristo fu riconosciuto come re e diede il suo nome all’isola, che dalla sua immaginaria somiglianza a un piede umano era stata chiamata anche “Sandaliotis” e “Ichnusa”. Successivamente fu fatto il nome di “Aristeo”, padre dello sventurato Atteone, una specie di benefattore girovago delle nazioni, che civilizzò i nativi e insegnò loro la coltivazione, l’aratura, l’allevamento delle api e l’arte di fare il formaggio. Egli è considerato il fondatore di “Caralis”, lasciò nell’isola due figli, “Carmo” e “Calecarpo”, e morì in Sicilia, dove venne adorato come il nume tutelare della cultura degli ulivi. Nello stesso periodo “Norax”, nipote di Gerione, giunse con una spedizione di Iberi e fondò Nora. Questi primi abitatori furono seguiti da “Jolao”, nipote di Ercole, che obbedendo all’esplicito comando di un oracolo, fondò in Sardegna una colonia con i “Tespiadi” ed altri Greci. Si suppone che egli abbia fondato “Olbi” e costruito ginnasi e templi. Dal suo nome gli abitanti furono chiamati per molti secolo “Jolei”, poiché era stato predetto che se avessero conservato il suo nome la loro libertà sarebbe durata per sempre. La definizione dei terreni più fertili come “Campi Jolei” può essere attribuita a questa causa, come anche l’alterazione del nome “Caralis”, che risulta dalla famosa iscrizione trovata a Stampace: “ Divo Herculi Pozt (sic) Cateclismu restauratori conservatori reperatori civitas Iolae. D.D.D.” Durante il rgno di Jolao un gruppo di Troiani fuggiaschi fu spinto da una tempesta sul litorale orientale dell’isola; essendo stati bene accolti dai coloni ellenici, essi si stabilirono lungo le coste del Campidano, dove formarono un unico popolo insieme ai contadini greci che erano stati sino a quel momento loro implacabili nemici, e nella coltivazione di una terra fertile furono risarciti dalla perdita di Ilio e dei campi della Troade. Da quel momento in poi e per parecchi secoli la storia parla pochissimo della Sardegna, eccetto che per affermare che gli Eraclidi rimasero al potere fino all’arrivo dei Cartaginesi e che gruppi di Fenici, di Lidi, Traci, Rodioti, Ciprioti e vari altri popoli si stabilirono qui, alcuni per scopi commerciali e altri per cercare rifugio dalle guerre civili che devastavano la loro patria. Il fatto che tanti Greci arrivassero in Sardegna dimostra che essi avevano una conoscenza precisa dell’isola e testimonia la credibilità del racconto di Erodoto sulle guerre tra Dario, figlio di Idaspe, e Isteo di Mileto, dei quali il secondo esclamò: “Giuro per gli dei che non rimetterò piede in Ionia senza aver prima assoggettato la grande isola di Sardegna al vostro dominio !”.

Segue quindi una descrizione dei nuraghi, che impegna solo una sessantina di righe del volume e quindi parte la lunga storia delle colonizzazioni e delle conquiste. Ovviamente ciò che scrive William Henry Smyth sull’origine della Sardegna, identificata come una specie di colonia greca dove si rischiava di ambientare il secondo tempo della guerra di Troia, lascia il tempo che trova; tuttavia è interessante osservare come già da allora si considerassero i nuraghi poco o per nulla interessanti (nonostante il “capitan” Smyth parlasse di una loro “elaborata architettura”) e non si facesse alcun accenno alle altre testimonianze archeologiche proprie dello stesso periodo nuragico e men che meno di quelle risalenti alle epoche precedenti. Ma a parte i riferimenti storici molto approssimativi e assolutamente discutibili, mi ha particolarmente colpito un’osservazione di William Henry Smyth, che per quanto non fosse sicuramente “sardocentrico”, si domandava come mai “un’isola europea situata in una posizione così importante, un’isola di clima mite e di grande fertilità” fosse “ rimasta così poco conosciuta attraverso i secoli ”. Quesito che dopo quasi duecento anni è ancora straordinariamente attuale e che meriterebbe una riflessione da parte di tutti quelli che hanno a cuore il futuro della nostra isola, indipendentemente dal fatto che siano o non siano “sardocentrici”… noi di Nurnet lo stiamo facendo da tempo ed in tal senso ci stiamo impegnando con passione e dedizione.

Nelle immagini: Portu de S’Ilixi (porto dell’iliense/troiano ?) lungo la costa di Muravera e il grande dipinto che ritrae gli Iliensi che respingono l’attacco delle truppe Romane, ubicato nel salone centrale del Palazzo Regio a Cagliari.