Cultura e Turismo

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di Giorgio Valdès il socio Nurnet Paolo Marongiu mi suggerisce quest’interessante articolo di Stefano Landi (1), pubblicato ieri 8 luglio 2014 su “La Voce. info” e titolato “La Cultura si valorizza col Turismo”, da cui ho tratto alcuni tra i passi più significativi, sicuramente conformi alla “filosofia” che persegue la nostra Fondazione: << La cultura è il nostro il petrolio, ma non lo sappiamo sfruttare”: è il ritornello di saggezza spicciola intrecciato con le competenze del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che Dario Franceschini ha definito “il più importante ministero economico”. Vale forse la pena di fare un po’ di chiarezza, senza illudersi che sia definitiva. Cosa significa valorizzare la cultura? A novembre 2012 (con due anni di anticipo sul centenario) la Francia ha inaugurato il museo nazionale della Grande Guerra di Meaux, e lo ha lanciato con l’emozionante pagina Facebook 1914 che racconta la storia di due fidanzati separati dal conflitto. Sempre in Francia, ogni anno oltre sei milioni di visitatori pagano un biglietto per frequentare i siti della guerra, e spendono in media 6 euro se sono escursionisti, ma ben 88 se dormono in zona come turisti. Questo si chiama “valorizzare” o, meglio, “mettere in turismo”. In Italia le celebrazioni del centenario della Grande Guerra sembrano comporsi soprattutto di cerimonie, i siti storici non sono a pagamento, e con le risorse dedicate agli investimenti si sono addirittura completate alcune opere dei Mondiali di nuoto del 2009 (gestite dal tristemente noto comitato d’affari, lo stesso del G8 alla Maddalena e all’Aquila)…. …. la cultura “vale” circa 10 miliardi di spesa turistica (pari al 24 per cento del totale nazionale) e 7 miliardi di valore aggiunto; e questo segmento di turismo “impegna” circa 200mila lavoratori, un quarto del totale del settore. Ma, soprattutto, ci dicono che sono i turisti a sostenere la maggior parte della spesa diretta per la cultura e il suo indotto. Potrà forse sembrare dissacrante e materialista trattare beni ed eventi culturali come un fattore di produzione di reddito e una occasione di lavoro, ma vale la pena di iniziare a farlo: valorizzare non vuol dire semplicemente scavare, recuperare, restaurare, repertoriare, archiviare, proteggere. Quelle sono precondizioni, forse sacrosante, ma che non possono esaurire il compito. In un ideale bilancio economico rappresentano altrettante voci di costo, a fronte del quale occorre iniziare a considerare e incrementare le voci di ricavo. Non solo quelle di biglietteria e di bookshop, ma sempre più anche quelle di trasporti, ristorazione, shopping, alloggio. In una parola, le ricadute turistiche. Infine, una piccola lista delle cose che si potrebbero fare con poca spesa (organizzativa) e tanto utile (finanziario). Si potrebbe cominciare a misurare e contare i visitatori dei beni culturali e i partecipanti agli eventi anche per la loro geografia di provenienza e il loro profilo di spesa. Sarà forse un test difficile da digerire per molte sovrintendenze e amministrazioni locali, ma appare imprescindibile per il paese nel suo complesso, nel momento in cui deve decidere dove destinare risorse scarse, e dove invece generare fatturati, export e occupazione. Si potrebbe anche differenziare il prezzo a seconda dei vari elementi di marketing (per orario, giorno, fascia sociale, capacità di spesa, provenienza, eccetera), iniziando ad applicare quel revenue management su cui si basano i vettori del trasporto, le imprese alberghiere, persino i bar quando fanno l’happy hour. Altrimenti, Pompei continuerà a incassare 20 milioni di euro l’anno e gli Internazionali di tennis di Roma 23 milioni in una settimana. Sarebbe utile lavorare sul prodotto/servizio: se il pubblico è globale e diversificato, si deve proporre una offerta articolata e non solo standard. Ad esempio, si potrebbe adottare la tecnica del “fast track”, a cui ricorrono i parchi divertimento e persino gli ascensori dello Shard di Londra; o consentire lo svolgimento di eventi speciali come cerimonie di nozze (lo ha proposto il sindaco Marino a Roma suscitando scandalo, mentre è prassi comune dovunque si cerchi di trarre ricavo da investimenti altrimenti insostenibili). Infine, si deve costruire il “paniere”: se molti vogliono visitare solo i beni culturali di maggior richiamo con modalità “mordi e fuggi”, sarà il caso di dissuaderli, vendendo loro un “pacchetto” che comprenda anche altri prodotti o servizi (informativi, di ristorazione, di alloggio, e altro), che procurano maggiore redditività per il territorio.>>

Nell’immagine: alcuni dei betili mammellati o "pedras marmuradas"di Macomer (1) Stefano Landi E’ laureato in Economia a La Sapienza di Roma. Dopo una lunga esperienza al Censis, ha collaborato con molte Regioni italiane nel definirne le strategie turistiche. Dal 1996 al 2001 è stato Capo del Dipartimento Turismo della Presidenza del Consiglio. Presidente di SL&A, è professore a contratto di materie turistiche alla Luiss ed alla Lumsa.