di Giorgio Valdès
In alcuni precedenti post avevo citato Raffele Pettazzoni, che nel suo libro “La Religione Primitiva in Sardegna”, parlava di quelle “cavità rupestri, misteriose e profonde,” chiamate “sas nurras”, che già dal loro nome “sembrano accennare alle epoche remote che videro sorgere anche i “nuraghi”.
Di queste cavità, che a giudizio del Pettazzoni sono “una cosa sola con quelle primitive conche naturali, che furono ripetute ad arte dentro i santuari”, parla anche Grazia Deledda in questo racconto intitolato “Il Diavolo Cervo”:
“Nei monti di Oliena, nei contrafforti calcarei dai picchi acuti di un azzurro latteo che si confonde col cielo, esistono grandi crepacci – ricordi di antichissime convulsioni vulcaniche – di alcuni dei quali non si distingue il fondo. Vengono chiamati sas nurras, e volgarmente si crede che sieno misteriose comunicazioni dell’inferno col mondo. Di là escono i diavoli per scorrazzare sulle bianche montagne in cerca di anime e di avventure. Fra le altre leggende riguardanti le nurras ho trovato questa, molto bizzarra, e, pare, non molto antica.
C’era dunque un pastore di Oliena, molto devoto e pio e perciò malvisto dal demonio che, riuscitegli vane tutte le tentazioni per condurlo al male, si vendicò di lui in questo modo. Nei giorni un po’ tranquilli il pastore, affidata la greggia ad un suo compagno, si recava alla caccia del cervo e del muflone su per i monti. Un bel giorno d’inverno, mentre cacciava, vide un magnifico cervo poco distante da lui: lo sparò, e lo ferì leggermente, ma non poté pigliarlo. E si mise ad inseguirlo. Il cervo balzava di rupe in rupe, velocissimo; ma il pastore non meno agile, si teneva sempre sulle sue orme, deciso a ucciderlo. Arrivarono così in cima della montagna. La neve copriva i picchi, le rocce, i precipizi; ma il cacciatore, esperto dei luoghi, continuava la sua caccia senza inciampare in una sola pietra, affascinato dal cervo meraviglioso, bellissimo, le cui corna ramate erano alte più di sei palmi. A un tratto l’animale sparì, improvvisamente, sprofondandosi nella neve. Il cacciatore raggiunse il posto e si trovò sull’orlo di una nurra spaventosamente profonda. Il cervo non si vedeva più, ma dal fondo della nurra saliva un’eco tetra di sogghigni infernali. Il misero pastore comprese allora che il cervo era il diavolo in persona e cercò di fuggire, ma la neve su cui posava i piedi sprofondò e prima ch’egli si fosse fatto il segno della croce precipitò nell’immensità dell’abisso…
Il suo compagno lo attese due giorni, ma non vedendolo tornare temé qualche disgrazia e si diede a cercarlo pei monti. Le orme lasciate dal disgraziato sulla neve gli indicarono la triste sua fine. Tornò nel villaggio e presa una grande quantità di corde si avviò con altri tre pastori alla nurra. Là giunti unirono le corde e, legato alle ascelle il compagno del caduto, lo calarono nella nurra. Ma per quanto le corde fossero lunghissime lo strano palombaro non toccò il fondo. I pastori lo trassero e quando egli venne fuori era livido in volto e tremava verga a verga. Un profondo terrore gli sconvolgeva i sentimenti, ma sulle prime non volle rivelarne la causa. Portato sulle spalle dai compagni tornò a casa sua, e appena arrivato fu colto da una febbre violentissima che tre giorni dopo lo condusse alla fossa… Prima di morire rivelò la causa misteriosa del suo spavento. A misura che scendeva entro la nurra gli appariva sulle pareti scabrose un omino nero con le corna e con una falce in mano. E ogni tanto stendeva questa falce verso la corda minacciando di romperla e di far precipitare il pastore nell’inferno, insieme al suo compagno!”
Nell’immagine: il Supramonte di Oliena in una foto di Rafael Brix per Wikimapia
Grotta Corbeddu di Brunu Sini