Di Antonello Gregorini
A Sassari, all’interno del museo Sanna, è rappresentato "l’Assedio del Nuraghe", con gli arcieri nuragici che sembrano presidiare Fort Alamo.
Questa immagine è il frutto dell’idea ormai classica del nuraghe visto come fortezza, pura e semplice.
Attualmente questa teoria tende a modificarsi e prevalentemente si dice che le migliaia di nuraghi assolvessero molteplici funzioni oppure, come alla mostra e nel filmato introduttivo attualmente presente alla cittadella dei musei in Cagliari, si afferma che nel periodo finale di utilizzo molti di essi furono destinati ad attività di culto.
Pensate invece quanto sarebbe stato facile espugnare un nuraghe: quattro legni e un fuoco ardente avrebbero abbrustolito chiunque vi si fosse asserragliato e quanto poco funzionali sarebbero stati come fortezze.
Nonostante ciò l’immagine e il linguaggio che ancora vanno per la maggiore sono quelli del nuraghe visto come fortezza, frutto del lavoro di un popolo di cui i molteplici clan vivevano in conflitto continuo.
Molti però, tra cui anche l’umile scrivente, si stanno convincendo che non potessero essere fortezze, così come non è logico pensare che di queste fortezze ne servissero tante, spesso vicine o vicinissime, tutte realizzate in anni di duro e intenso lavoro, con enorme dispendio di maestranze e di risorse. E poi un re, tanti re, uno per nuraghe, oppure uno per valle: conci da spaccare e formare, trasportare, elevare e porre nella giusta sede; progetti da ideare e da tracciare mentre, paradossalmente, un nugolo di nemici attendeva con pazienza che il nuraghe fosse terminato per metterlo finalmente sotto assedio.
No, non quadra e con il tempo si troverà di meglio da raccontare al mondo. Noi di Nurnet ne siamo convinti