di Antonello Gregorini
“Il vostro post sul nuraghe Unia dice che la muratura a Nord è sfondata da non più di vent’anni e questo è certamente falso. La mia famiglia possiede i terreni in cui è compreso il nuraghe da tre generazioni e posso affermare che almeno da quando esisto io niente è cambiato. Venite a trovarmi e vi porterò a visitare il pozzo del nuraghe…”
Non abbiamo resistito e dopo una settimana rieccoci qui, nelle campagne di Stintino, su un acrocoro posto fra i due mari, poco più a Sud della spiaggia di Etzi Mannu in compagnia del Signor Giovanni Zirulia, settandue anni, simpatico e gentile pensionato della SIR.
“I Zirulia sono qua da quando lo Stato ci allontanò dall’Asinara, dove mio nonno faceva l’agricoltore. Fu indennizzato con questo pezzo di terreno che contiene il nuraghe.
Mio nonno e anche mio padre lo usavano come fienile. Arrivavano con il carro a buoi fino al muro franato e scaricavano il foraggio all’interno, dove stava per tutto l’inverno…
Siete entrati dentro? Avete visto il corridoio che corre fra i due muri? No? Lo immaginavo. Seguitemi…”
Ci avviciniamo al nuraghe che già avevamo rilevato con il drone, utilizzando delle tecniche di fotogrammetria digitale, insieme ai ragazzi dell’Istituto Tecnico Devilla di Sassari, futuri geometri.
Nonostante fossimo entrati all’interno e visto la tholos, tuttora intatta, non ci eravamo accorti dell’esistenza del corridoio.
A dir la verità, trattandosi di un monotorre interrato sino alleastradosso degli architravi, avevamo anche sbagliato nell’individuare, dall’interno, il vano di accesso.
Da un pertugio fra i grossi conci, della parte superiore del paramento esterno, guidato dal settanduenne Giovanni, agile come un’anguilla, ci siamo infilati in un corridoio che, certamente, era il vano in cui si sviluppava la scala elicoidale che dava accesso, dall’ingresso, alla parte superiore della torre.
Infatti il corridoio termina su due grandi architravi totalmente interrati e su un vano ulteriore, la cosiddetta garrita della guardia con pugnale, secondo la descrizione classica delle architetture nuragiche.
Il nuraghe appare in pessime condizioni di conservazione. E’ avvolto, in parte da arbusti di lentischio e fichi d’india, gli stessi che probabilmente nei millenni sono stati la causa dei crolli e dell’interramento, interno ed esterno, sino a circa due metri dal calpestio.
Come al solito pensiamo e argomentiamo sulla necessità che la Soprintendenza formuli delle procedure più semplici per consentire la pulizia periodica dagli aggressori vegetali ai custodi del monumento, siano essi enti locali che proprietari privati.
“Pensi che sino al 1988 la Soprintendenza non aveva censito il nuraghe”, dice Giovanni.
“Soltanto in seguito a una segnalazione di qualcuno, seguita a un accesso di tombaroli che avevano scavato due piccole buche all’interno della tholos, la Soprintendenza venne, ci comunicò l’esistenza del nuraghe e ci nominò custodi, essendo i proprietari delle case e dei terreni contigui ma anche della strada privata di accesso.”
Giovanni ama il suo nuraghe, lo si intuisce da come ne parla e lo mostra.
“Da tempo ho proposto al Sindaco di Stintino l’effettuazione di una permuta per la quale noi cederemo le pertinenze del nuraghe e la strada e il Comune garantirebbe la manutenzione della strada e la pulizia delle aree circostanti.
Tuttavia, in questo momento, il Comune, è impegnato con il grande progetto per la tutela ambientale della Pelosa e non sembra aver tempo e risorse per occuparsi anche del nuraghe.
Accade quindi che, d’estate, arrivi gente da ogni dove, sia per parcheggiare le macchine in prossimità del mare, sia per visitare il nuraghe. Tuttavia, com’è facile intuire, anche queste visite non guidate, spesso poco attente e rispettose del manufatto, procurano ulteriori danni ai conci e le murature. Questo via vai, inoltre, procura non pochi fastidi agli abitanti del piccolo villaggi, senza alcun beneficio di ristoro.
Seguitemi, andiamo a vedere il pozzo…”
Scendiamo verso la gora che corre a Est, circa cento metri dal nuraghe, verso un canneto circondato da lentischi.
Qui ci troviamo di fronte a una meraviglia di pozzo, probabilmente risalente al nuragico, sino a una generazione fa utilizzato per alimentare l’abbeveratoio e la riserva idrica dello stazzo.
Continua il racconto di Giovanni:
“Mio padre e mio nonno scendevano al pozzo con l’asino, caricandolo di due orci, uno per lato. Li riempivano d’acqua che poi era portata sino all’abitazione, per gli usi domestici”.
Qui c’era anche l’abbeveratoio per gli animali e, come vedete, un bacile di calcare di epoca non identificabile.”
Io, già da ragazzo, ebbi la possibilità di entrare al petrolchimico e decisi di abbandonare il lavoro dei campi. Da allora il pozzo non è più utilizzato.
Certo che questi manufatti meriterebbero una sorte migliore, così come gli altri nuraghi della zona, ma non mi pare che la coscienza civica sia ancora matura e meritevole di questo patrimonio.”