I Feaci e i Nuragici

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I Feaci e i Nuragici

Nella descrizione che l’Odissea fa del’isola dei Feaci si incontrano elementi realistici, alcuni dei quali si stagliano in maniera esatta e – diremmo- sorprendente con la realtà culturale dei sardi Nuragici, quale l’archeologia e la storiografia moderne hanno riconosciuto e delineato. Il racconto omerico relativo ai Feaci inizia con una importante notizia: essi in origine abitavano altrove e rispetto alla Scherìa, lontana terra circondata dal mare, risultavano nuovi arrivati. Ed anche i nuragici – come abbiamo già visto – in origine vivevano nella Lidia e nella loro nuova sede, la grande isola del Mediterraneo centrale, risultavano nuovi arrivati.

Ripetutamente il poeta dell’Odissea dice che i Feaci erano grandi navigatori ed anche i Nuragici erano grandi navigatori, come dimostrano l’essere essi arrivati in Sardegna dalla lontana Lidia, l’avere a lungo mantenuto rapporti con la lontana madrepatria e come dimostrano altre loro imprese sul mare che vedremo più avanti. Nel descrivere la reggia di Alcino, re dei Feaci, il poeta dell’Odissea mette in grande evidenza l’abbondanza di metalli preziosi con cui essa era fatta e la ricchezza degli oggetti che vi erano contenuti. Ebbene l’intera civiltà nuragica è stata caratterizzata dal largo uso dei metalli, dei quali i Nuragici si sono dimostrati ottimi lavoratori; e questo in virtù del fatto che tutta l’isola era, nell’intero Mediterraneo, uno dei maggiori centri di produzione di metalli: argento, rame, piombo, zinco e ferro, tanto che -come abbiamo visto sopra- prima di chiamarsi Sardò per effetto dell’arrivo dei Sardiani della Lidia, veniva chiamata ‘Argyròphleps’ cioè “Vena d’Argento”.

I Feaci conoscevano l’usanza dei giochi ginnici e militari; e pure i Nuragici avevano questa usanza, come dimostrano i bronzetti di pugili, di lottatori, e di un cavaliere che tira d’arco inginocchiato sul dorso del cavallo. I Feaci avevano una grande passione per la danza e addirittura si vantavano di essere i migliori in questa attività diversiva; la loro danza poi prevedeva una catena di giovani di forma circolare, al cui centro si metteva il suonatore che dava il tempo ai danzatori. Ebbene, pure i Sardi hanno sempre dimostrato e tutt’ora dimostrano vivissimo interesse e gusto al loro ballo tradizionale, il quale prevede anch’esso una catena circolare di giovani, al cui centro si metteva, fino al’inizio del Novecento, il suonatore delle antichissime ‘launeddas’ o flauti multipli, che sono di probabile origine lidia, mentre attualmente si mette il suonatore di fisarmonica.

Circa il sistema di governo dei Feaci il poeta dell’Odissea segnala che essi venivano retti da da dodici re, mentre Alcino era il tredicesimo. Ebbene, anche per i Nuragici giustamente si è parlato di un sistema di forma ‘cantonale’ e cioè ‘federativa’ delle varie tribù, le quali venivano governate da altrettanti piccoli sovrani; rispetto ai quali il capo supremo – probabilmente eletto soltanto in occasione di guerre contro popoli invasori – risultava essere solamente un ‘ primus inter pares’. Non solo, ma perfino nel numero dei re che regnavano sui feaci possiamo riscontrare una nuova corrispondenza con la Sardegna nuragica, dato che, dopo una ricerca abbastanza accurata, noi riteniamo di aver individuato una quindicina di tribù o popolazioni nuragiche.

Il poeta dell’Odissea, parlando di Arete, moglie di re Alcino, si dilunga nel parlare dell’alta stima e del grande prestigio che essa godeva presso il marito e presso i sudditi, tanto che veniva richiesta di pareri perfino dirimeva le loro liti. D’altronde sia Nausica sia Atena consigliano ad Ulisse di rivolgersi, per la richiesta di aiuto, prima e piuttosto ad Arete che non ad Alcino ed inoltre l’ultimo saluto di commiato Ulisse lo rivolge ad Arete e non ad Alcino. E sono, queste, tutte le annotazioni che da una parte non corrispondono affatto alla posizione che la donna aveva nel mondo omerico e greco, dall’altra, al contrario, sembrano stagliarsi meglio nella lunga tradizione dei Sardi; tradizione per la quale essi hanno avuto nel Medioevo una regina in Eleonora d’Arborea e per la quale in epoca medievale e fino a circa un secolo fa nelle zone interne dell’isola si denominava un individuo col nome o col cognome della madre e non quello del padre ed infine quella tradizione del grande prestigio che fino al presente ha la donna, soprattutto la madre, nel mondo agro-pastorale della Sardegna.

(Tratto da ‘Storia dei Sardi Nuragici’ di Massimo Pittau)