I segreti delle domus de janas

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di Giorgio Valdès Le domus de janas rappresentavano metaforicamente il ventre materno, in cui il defunto era deposto in posizione fetale per rinascere a nuova vita. Come racconta l’amico Nurnet Giorgio Pala, non è infrequente il caso di “domus” nelle quali, ricorrendo a opportune pendenze, penetrava l’acqua meteorica, a simboleggiare il liquido amniotico. Nei pressi e/o dentro queste sepolture, le offerte per le anime degli estinti erano depositate in coppelle scavate nella roccia e non è insolita la presenza, al loro interno, di una “falsa porta”, simbolo che condividevamo con la tradizione egizia. E’ altrettanto probabile che nelle loro prossimità si praticasse quel rito dell’incubazione che Raffaele Pettazzoni, massimo storico italiano delle religioni, così racconta nel suo libro “La religione primitiva in Sardegna” (1912): “A quale fine era praticata l’incubazione? Che pei sardi si trattasse di un fine terapeutico, lo dice espressamente un altro commentatore di Aristotele, Filipono; ed aggiunge che essi giacevano presso le tombe per cinque giorni. Aristotele, infatti, citava l’esempio, per lui leggendario, dei Sardi come tipico di un sonno così profondo da togliere all’uomo ogni coscienza del tempo. E Simplicio aggiunge che i Sardi andavano alle tombe degli eroi per dormirvi lunghi sonni indisturbati, a somiglianza appunto di quegli eroi che parevano dormire ed eran morti. L’incubazione era adunque destinata a cacciare le apparizioni terribili, gl’incubi, le visioni. A togliere ogni dubbio in proposito, Tertulliano afferma essere menzione in Aristotele di un eroe della Sardegna, che liberava dalle visioni coloro che dormivano presso il suo santuario”. Pettazzoni in realtà si riferiva alle Tombe dei Giganti, ma è assolutamente ragionevole sostenere che ci sia stata una continuità rituale con il neolitico, quando le sepolture erano appunto costituite dalle “domus de janas”, metafore del ventre materno connesso al concetto di rigenerazione della vita. Quanto affermato, trova conferma in altri sepolture dove è raffigurata la doppia spirale, come ad esempio nella “Domus dell’Ariete” di Perfugas, e in quelle di “Moronzanos” a Chiaramonti e di “Corongiu” a Pimentel. In esse, l’immagine della doppia spirale, rappresentativa dell’apparato genitale femminile, è analoga all’ideogramma geroglifico in “idt”, indicativo della vulva, come peraltro confermato dalle raffigurazioni riportate su un portello tombale di Castelluccio, in Sicilia, in cui è esplicitamente mimato un atto sessuale.