I tesori del diavolo

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di  Giorgio Valdès

“Natura ed Arte” era una famosa rivista quindicinale pubblicata tra il 1891 e il 1911 da Francesco Vallardi. Proponeva diversi argomenti che trattavano tra l’altro di storia, letteratura, musica, arte ed attualità. Nell’edizione del 15 Aprile del 1894 sono apparsi alcuni racconti leggendari di Grazia Deledda ed un’interessante premessa, che si riporta qui di seguito:

“Contos de fuchile – racconti da focolare -, con questo dolce nome che rievoca tutta la tiepida serenità delle lunghe serate famigliari passate accanto al paterno camino, da noi vengono chiamate le fiabe, le leggende e tutte le narrazioni favolose e meravigliose, smarrite nella nebbia di epoche diverse dalla nostra. Il popolo sardo, specialmente nelle montagne selvagge e negli altipiani desolati dove il paesaggio ha in se stesso qualcosa di misterioso e di leggendario, con le sue linee silenziose e deserte o con l’ombra intensa dei boschi dirupati, è seriamente immaginoso, pieno di superstizioni bizzarre e infinite. Nella stretta mancanza di denari in cui si trova ha bisogno di figurarsi tesori immensi, senza fine, nascosti sotto i suoi poveri piedi, sicché, dando retta alle dicerie vaghe, sussurrate a mezza voce, con un tremito nell’accento e un lampo negli occhi, si crederebbe che il sotto-suolo di tutta l’isola è sparso di monete d’oro e di perle preziose.

Ogni montagna, ogni chiesa di campagna, ogni rudere di castello, ogni bosco ed ogni grotta nasconde il suo tesoro. Posto da chi?… Se fate questa domanda vi si dànno delle spiegazioni plausibilissime. Si ha un vago ricordo delle guerre, delle escursioni, dei saccheggi sofferti in ogni tempo dalla Sardegna, e specialmente dai Saraceni, dai Goti e dai Vandali, e si dice che i nostri antichissimi avi nascondessero in siti impenetrabili i loro tesori – denaro, gioielli e pietre preziose -, per scamparli dall’espilazione degli invasori, e che la maggior parte di questi tesori, rimasti nei nascondigli per volontà o contro la volontà dei primi possessori, sussista ancora. Sin qui il naturale. Il sovrannaturale è la credenza radicalmente invalsa che a guardia dei tesori vigili il diavolo: il diavolo che, se alla fine di un certo tempo gli uomini non ritrovano il tesoro, se ne appropria lui stesso e se lo porta all’inferno, lasciando nelle anfore o negli scrigni contenenti l’oro e le perle, tanta bella quantità di carbone o di cenere. La leggenda dei tesori ha così profonde radici da noi che non appena un individuo è riuscito, col suo lavoro e con la sua intelligenza, o magari con l’inganno e la perversità, ad acquistarsi qualche fortuna, subito la voce del popolino afferma che egli ha trovato un aschisorgiu, cioè un tesoro.

Mille ricordi mi si affollano su tal proposito al pensiero, e rammento tanti fatti accaduti nella mia infanzia. Anche la gente un po’ colta e spregiudicata crede, senza confessarlo, ai tesori, e più di un proprietario fa, all’insaputa, degli scavi nelle sue terre, in cerca di queste ricchezze meravigliose.

Ogni fiaba ed ogni leggenda è a base di tesori nascosti: e tradizioni antichissime indicano con precisione dei siti misteriosi nelle nostre montagne ove indubbiamente esiste dell’oro coniato.

Ma il più delle volte questi siti – rocce o grotte – sono guardati con un vago terrore anche dagli uomini più forti e coraggiosi il cui fucile ha già segnato più di una vendetta. È la sottile paura del sovrannaturale, il terrore di cose che non si possono vincere né col fucile, né col pugnale.

Perché, come ho già detto, si crede che molti aschisorjos sono custoditi dal diavolo, e in tal caso il posto è fatale, e sventura incoglie a chi penetra là dentro. Gli esempi abbondano: sono uomini morti di ferro poco tempo dopo aver passato una notte entro una di queste grotte; pastori che hanno perduto tutto il gregge di malattia misteriosa, banditi di cui non si trovarono che le ossa spolpate dalle aquile e dai falchi, giovinotti condannati innocenti alla reclusione a vita… E tutto per aver dimorato vicino a quei luoghi fatali.

Più di un vecchio pastore, scampato miracolosamente dalle disgrazie, afferma di aver veduto il diavolo, che assume forme umane o di animale.

Nelle piccole montagne di Nuoro, le verdi e granitiche montagne di Orthubene, che sono forse le più belle del Logudoro, v’ha una grotta misteriosa e profonda, di cui nessuno, si dice, abbia mai potuto esplorare l’immensità oscura che mette capo all’inferno. Un pastore si provò una volta a visitarla sino in fondo, ma vide i demoni e fuggì.

Laggiù v’ha un tesoro immenso, miliardi e miliardi in oro e in perle, e una piccola dama che tesse sempre dell’oro, in un telaio d’oro, vestita d’oro e coi capelli d’oro, lo custodisce. Oh, piccola aurea dama! Quante volte l’ho veduta in sogno, col suo strascico lucente e coi suoi capelli di sole, nella mia infanzia!

I diavoli sono indispensabili nelle leggende sarde: anche nelle fiabe hanno grandissima parte, ed in talune anzi sono gli eroi principali. Però i sardi, da buoni cristiani, assegnano sempre un posto odioso e spesso ridicolo allo spirito dell’inferno, e si vendicano con ciò del terrore e della paura che il diavolo inspira. Senza dilungarmi oltre sulle superstizioni del popolino sardo, passo subito alle leggende, dirò storiche, che corrono di paese in paese, di monte in monte. Talune sono lunghe e spaventose; altre brevi, vaghissime, senza profilo deciso; tutte però hanno la calda impronta meridionale”.