di Giorgio Valdes
Nel lontano mese di settembre 2003, l’amico Andrea Vitussi proponeva alcune sue interessanti osservazioni in esito al ritrovamento, sul fondale dell’arcipelago della Maddalena, di un elemento litico del tutto particolare: “Prendo spunto da una dalle mie escursioni nella parte Nord-Est della Sardegna, e più precisamente l’arcipelago della Maddalena. Come è noto tale complesso insulare si estende nell’area tirrenica compresa tra la Sardegna e la Corsica. In particolare l’area in oggetto sono le coste dell’isola “La Maddalena”, complesso geologico prevalentemente formato da granito biotitico [roccia magmatica intrusiva composta per lo più da quarzo, feldspato potassico (ortoclasio, microclino), plagioclasio (albite-oligoclasio), mica biotite]. Durante l’esplorazione in snorkeling dei fondali rocciosi ho intravisto un blocco di pietra appiattito che ha sollecitato la mia attenzione…. Il blocco si trovava ad una profondità di circa 5-6 metri, adagiato in mezzo ad altri blocchi in un punto in cui la topografia del fondo faceva indovinare una conca [con il fondo ora coperto di sabbia] fra altre strutture rocciose massicce. Ad un esame ravvicinato più approfondito esso sembra ricalcare nella struttura uno dei tanti piastroni sagomati e incisi appartenenti ai complessi tombali dell’isola Sarda denominati “Tombe dei Giganti”: le sue dimensioni, lo spessore, la sua forma pseudo-rettangolare, la smussatura degli spigoli, l’incisione [senza dubbio artificiale] che ripropone il motivo arcuato presente nel piastrone centrale dei complessi tombali nuragici. Sono particolari che hanno indirizzato la mia attenzione ad identificare in esso un artefatto creato da mani umane, forse collegabile alla civiltà nuragica… Per un quasi profano, come il sottoscritto, sorgono spontaneamente delle domande: Come mai un simile reperto si trova sotto il livello del mare? E’possibile che si tratti proprio di un frammento di “Tomba dei Giganti”? Se così fosse, sarebbe un fatto interessante, dal momento che, per quanto mi risulta, ad oggi sono state trovate tracce di insediamenti neolitici antichi ed altri manufatti risalenti ad epoche sino all’età del Bronzo, ma non ho ancora trovato testi relativi a queste locazioni in cui si accenni a tombe del tipo nuragico. Non soltanto, ma, da un assioma che ho accettato per convenzione diffusa, sembra che l’epoca di comparsa di queste strutture “nuragiche” debba risalire al 1600-1800 a.C.. A questo punto mi sembra curioso che un artefatto del genere [sempre che sia rimasto dall’origine sott’acqua] possa risalire a periodi nei quali il mare era ancora a livelli bassi e cioè alla fine delle ultime glaciazioni [che a detta dei geologi –leggi mio fratello – avrebbero dovuto lasciare quel lembo di fondale all’asciutto più di 2000 anni a.C.]. A tale proposito mi è sembrato significativo un documento di G.Bulciolu (….) che tratta della proto-storia dell’arcipelago e degli insediamenti umani, nonché delle ipotesi archeo-geografiche per la zona interessata. Alcune delle affermazioni ivi contenute potrebbero dare una parziale risposta ad alcuni quesiti. Infatti, cito testualmente l’ultima frase dell’articolo: <<il mare oggi conserva la maggior parte delle testimonianze di quest’epoca e forse di molte altre ancora. Oggi ad una profondita di soli 20 metri, qualche migliaio di anni fa al livello del mare, l’uomo viveva e progrediva grazie a delle semplici schegge di pietra>>. Da un recente studio della dottoressa Emma Blake…. sulla disposizione spaziale dei siti archeologici sardi afferenti all’età del Bronzo emerge che la diffusione dei nuraghe sull’isola è accompagnata statisticamente dalla presenza di complessi tombali megalitici, le cosiddette “Tombe dei Giganti” o “Gigantinu”. Sulla base dei dati raccolti nelle campagne di rilevazione del 1996, 1997, 1998 per il suo dottorato di ricerca, la dott.ssa Blake ha evidenziato come parametri spaziali di interrelazione fra i due tipi di struttura siano pressoché omogenei. Le distanze fra i nuraghe e le tombe ad essi abbinati sono sempre maggiori di 100 metri e inferiori ai 500, e, nella disposizione originale la visibilità di ciascuna struttura da parte dell’altra era garantita nel 91% dei casi. L’86% delle strutture funerarie hanno l’asse maggiore allineato con la direzione Sud-Est e seguono prevalentemente l’asse della torre nuragica più vicina. Infine, come ultimo dato, le osservazioni conteggiano 62% dei casi in cui le tombe sono poste ad una altitudine minore rispetto al nuraghe di riferimento…. Con queste premesse a disposizione si potrebbe mirare le indagini sul fondale per appurare non solo la vera natura del reperto, ma anche l’eventuale identificazione di altri blocchi appartenenti alla struttura tombale, come pure la presenza di altri resti ad esso collegati”. Non ho idea se la straordinaria testimonianza di Andrea abbia avuto un seguito, ma è fuori dubbio che alle continue scoperte archeologiche che caratterizzano l’intero territorio regionale, alle quali siamo per certi versi avvezzi, si aggiunge anche un patrimonio, ugualmente inesplorato, custodito dalle acque che circondano le nostre coste.