di Giorgio Valdès
Giorgio Baglivi, cultore di Lingua e Civiltà Nuragica, è anche l’autore di un’avvincente pubblicazione edita nel 2005 e intitolata “Il Sacro nell’Epoca Nuragica-Dalla Dea Madre al Sardus Pater”, in cui esprime il proprio apprezzabile punto di vista sulla religiosità degli antichi Sardi, affrontando quindi, inevitabilmente, l’argomento “misterioso” ed ampiamente dibattuto della funzione assolta dai nuraghi al loro tempo. Argomento da noi ripreso, per quanto sinteticamente, in alcuni precedenti post e che Baglivi analizza a sua volta dettagliatamente, proponendo alcune interpretazioni particolarmente interessanti e coinvolgenti. I brani che seguono sono tratti dalla sua introduzione al libro:
“In Sardegna, l’antropologia non descrittiva applicata al mondo nuragico non mi pare abbia conseguito risutati sempre entusiasmanti. Annessa, come qualche volta è stata, al territorio degli archeologi, non ha saputo elaborare una teoria compiuta, né formulare una propria ipotesi sulla complessa tematica nuragica. Non essendosi poi legata né alla psicologia analitica, né alla scienza delle religioni comparate, né agli studi sul Sacro dei mondi arcaici, né alle indagini sul simbolico o sul mitologico, si è ridotta al ruolo ancillare dell’antropologia descrittiva che le hanno spesso assegnato alcuni studiosi: mera catalogatrice di crani e scheletri! Non essendo stata, d’altro canto, in grado di elaborare una teoria autorevole, ancorché ipotetica (come tutte le teorie sul mondo nuragico!), sulle strutture antropologiche dell’archeotipologia nuragica(un’indagine sul Sacro Arcaico è anche indagine sugli archetipi, nel senso che Jung ha dato a questo termine), ha lasciato, sulla funzione del Nuraghe, libero campo alle più svariate interpretazioni: nuraghe-cosmo, tempio del cosmoteismo, nuraghe fortezza, nuraghe-casa, nuraghe-fattoria, nuraghe-mausoleo, ecc. Tutte teorie verosimili, si badi, ma che non hanno colto, a mio avviso, la vera essenza della sacralità nuragica.”…” Purtroppo, per la Sardegna nuragica, almeno fino al grande cambiamento del 1200/1100 a.C., non è riconoscibile un vero e proprio pantheon, un ‘olimpo’ di figure divine diversificate, quali articolazioni linguistiche e semantiche dell’ordine che l’uomo dava al mondo. Sugli ‘dei’ nuragici tutto è nebuloso e incerto. Sembra proprio che qualche divieto abbia impedito ai nuragici di farsene immagine o che, addirittura, non siano mai stati registrati nella nomenclatura divina di quel popolo. Di sicuro abbiamo la Dea Madre, il culto degli Antenati e qualche betilo. Più la ricerca sul Fur Ewing (l’edificare per sempre) espressa in strutture litiche. Lo stesso dio proposto da taluni, il Toro, sembra più un’immagine simbolica agente all’interno della visione ‘metamorfica’ della Grande Dea Mediterranea, che una vera e propria divinità. Il mondo nuragico sembra, insomma, più rivolto al Sacro Arcaico, in gran parte ancora indifferenziato, che ad un vero e proprio repertorio religioso comprendente figure divine riconoscibili. Gli dei sembrano, quindi, non abitare il mondo nuragico. Non sembra dunque chiaramente riconoscibile la coppia divina ‘Dea Madre-Toro’, così caldeggiata dall’ortodossia archeologica, mentre pare meglio attestata la Grande Dea Mediterranea nell’astrazione aniconica (cioè nel divieto di farsene immagine).”…”Se, come pare di poter dire, tutto il secondo millennio a.C. fu, in Sardegna (e altrove) orientato e dominato dalla religione della Dea Madre di antica tradizione neolitica (col connesso culto degli Antenati), quando divenne politeistica la religione dei nuragici? E divenne davvero politeistica la religione dei nuragici? E divenne davvero politeistica la Sardegna di quell’epoca, oppure in essa resistette ancora fino all’ottavo secolo a.C. la religione della Dea di più antica tradizione neolitica? E poi ancora. Se il monoteismo a carattere ‘paterno’ si affermò, come ormai concordemente ritengono gli studiosi, qua e là nel mondo solo verso l’anno mille a.C., come risultato di un processo evolutivo delle forme spirituali, può quella del Sardus Pater esserne un’altra prova? Tutti questi interrogativi troverebbero sicura risposta se solo si riuscisse davvero a comprendere la funzione del Nuraghe. Il secondo millennio a.C. della Dea dell’antica tradizione neolitica è, in Sardegna, il secondo millennio a.C. della Tholos. Parlare della Dea Madre parrebbe voler dire, dunque, parlare della Tholos.”…” La Tholos, semplice nell’età calcolitica e centrale nei complessi dell’età del bronzo, fu, per tutta l’epoca nuragica, la rappresentazione simbolica della Grande Dea (il Sacro nelle sue infinite metamorfosi naturali)”…” La torre centrale era, di conseguenza, il vero ‘adyton’ inaccessibile della sacralità nuragica. Il complesso polilobato nuragico, così come l’ho inteso, era il luogo fisico dove il Sacro poteva avere la sua dimora, separata rispetto al villaggio, ma, a determinate condizioni (rituali, feste, sacrifici) anche accessibile. Il complesso nuragico è (e la definizione spero sia utile a dirimere vecchie controversie), pertanto, non fortezza militare o casa-forte, ma ‘Fortezza Sacra’, cioè edificio sacro per pratiche cultuali e rituali legate a un pensiero religioso maturo che ho definito ‘panteismo mistico’ o ‘teologia delle donne’. In un approccio pluralista alla funzione del polilobato potremmo anche dire che nella definizione da me adoperata (Fortezza Sacra) sia insita l’idea dell’edificio fortificato, sia quella della sommatoria dei poteri (sacerdotale, giuridico e politico), ma a condizione che non si ponga in subordine la sua dimensione templare”.