Nuraghe, raccontaci il tuo segreto

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di Giorgio Valdès

Perdonateci se spesso riprendiamo a disquisire sulla funzione che in un antichissimo passato svolgevano i nuraghi, ma si tratta del simbolo più evidente di una civiltà ancora avvolta nel mistero e le ipotesi sono tante e tutte meritevoli di rispetto, sia che ad esprimerle siano esimi studiosi, sia che rappresentino il punto di vista di un semplice appassionato.

Sicuramente Salvatore Dedola, linguista e profondo conoscitore dell’isola, appartiene alla prima categoria di persone, motivo per cui riteniamo particolarmente interessanti ed autorevoli alcune sue considerazioni tratte dal suo libro “Monoteismo Precristiano in Sardegna” , che riportiamo qui di seguito:

“Ho scritto in varie parti che l’ipotesi (la certezza) –ancora tenacemente manifestata da molti- che i nuraghi fossero fortezze, non ha alcuna base logica né culturale. I ‘nuraghi’ in Sardegna sono (furono) almeno diecimila (secondo certi calcoli sarebbero stati addirittura 30.000), e come strumenti difensivi sarebbero un numero enorme. Accettarli come fortezze significa che i pochissimi Sardi dell’epoca (gli storici e gli antropologi suppongono non più di 300.000 anime) avessero costruito una torre marziale ogni tre persone. Il dato è incredibile, perché dobbiamo accettare l’assurdo che i Sardi – a gruppetti di 30- si facessero l’un l’altro una guerra permanente. La quale sarebbe illogica, perché in breve tempo i Sardi sarebbero dovuti sparire, mentre invece non sparirono. A questo assurdo si sommerebbe l’altro, che per erigere un nuraghe non bastano 30 persone (delle quali peraltro metà erano bambini, l’altra metà va spartita tra uomini e donne; e poiché le donne avevano altro da fare , ad erigere il ‘nuraghe’ avrebbero lavorato non più di 4-5 uomini: altri due uomini, e siamo a 7, li collochiamo tra i ‘senes’, che per definizione sono poco validi e nella società arcaica avevano altri compiti).

Presento un altro assurdo: ogni nuraghe copre mediamente un territorio non più ampio di 3 chilometri quadrati, che sarebbe lo spazio vitale di ogni ‘tribù’ di trenta persone…pari a sole trentacinque famiglie! Un assurdo affastellamento di torri ‘difensive’.

Infine va fatto un ragionamento decisivo: per annientare la ‘tribù’ avversaria non c’era bisogno di affrontarla in campo aperto e nemmeno di assediare la torre; bastava aspettare il vento, attendere che la ‘tribù’ entrasse a dormire nel proprio castello, accendere un falò a ridosso del nuraghe , ucciderli tutti per asfissìa.

I nuraghi non furono castelli ma altari, esclusi ovviamente i nuraghi-reggie (quale S.Antine, Arrubiu ecc.) ch’erano a un tempo reggie-altari-castelli. Il popolo Shardana non fu mai in guerra intestina d’annientamento, ma fortemente coeso. Riuscire a costruire una pletora incredibile di altari d’una perfezione architettonica assoluta presuppone una fortissima unità di popolo, e pure la gestibilità collettiva di pochi ingegneri messi in grado di circolare liberamente da un cantone all’altro. Gli Shardana erano così pii, che s’aiutarono l’un l’altro ad erigere queste poderose torri, che da quasi quattromila anni sfidano il vento e l’insipienza degli interpreti.

Alla maggior parte dei ‘nuràghes’ è associato in toponomastica un aggettivo, un epiteto, un nome identificativo. E’ normale, perché anche i ‘nuràghes’ funsero (e ancora fungono, assieme a migliaia di altre eminenze caratteristiche) da coordinate territoriali, le quali consentono al pastore, al cacciatore, all’utilizzatore del territorio, di orientarsi e vagare in sicurezza…”.

Da rappresentante dell’altra categoria di persone, i semplici “appassionati” della materia, mi permetto di aggiungere alcune personali riflessioni su quanto significato da Salvatore Dedola. Innanzi tutto vorrei far notare come le torri nuragiche tendano ad infoltirsi in prossimità di quei corsi d’acqua che con buona probabilità costituivano i più agevoli sistemi di collegamento agli scali portuali. Ciò potrebbe significare che i nuraghi svolgevano anche funzioni di presidio e di controllo; ipotesi che comunque non confligge assolutamente con quanto espresso da Dedola, se si considera che seguire i corsi d’acqua, per raggiungere i vari nuraghi-altare era sicuramente più semplice che non avventurarsi per boschi e territori impervi.

Trovo ugualmente interessante la teoria della solidarietà tra gli individui dello stesso territorio, che si aiutavano vicendevolmente nella costruzione. Teoria che non si discosta più di tanto da ciò che è sempre avvenuto nei nostri paesi, dove per consentire alla nuova copia di mettere su casa, spesso si mobilitano diverse persone del luogo o quanto meno quelle che possono offrire un contributo lavorativo in campo edile.

Riprendo infine, per un attimo, il concetto manifestato da Dedola sulla funzione di “coordinate territoriali” assolta dalle torri nuragiche.  Teoria perfettamente conforme ad una ricerca da me effettuata su tutti i fogli IGM della Sardegna, da cui era scaturito che la massima parte di esse sono disposte lungo allineamenti virtuali che comprendono non meno di tre nuraghi ciascuna; il che lascia supporre che i nostri antenati siano stati i precursori di un sistema abbastanza complesso di pianificazione territoriale (per quanto appena affermato spero di non essere considerato un “fanta…qualcosa” da inviare al rogo, considerato che per tirare una linea non occorre una specializzazione, e comunque la qualifica professionale che possiedo me lo consente).