di Giorgio Valdès
Ieri, su questa pagina fb, è stato pubblicato un post che propone alcune teorie interpretative sui petroglifi che compaiono sul prospetto delle statue stele di Laconi.
In particolare si parla di quella figura che viene normalmente definita come “pugnale bipenne”, presunto simbolo di personaggio maschile.
A questo proposito mi sono sempre chiesto a quale funzione potesse assolvere tale strumento. Se infatti un’”ascia bipenne” ha un senso perché le lame sono inserite in un’immanicatura che le tiene convenientemente lontane dal corpo di chi la impugna, un presunto pugnale bipenne, a lame contrapposte, in un eventuale corpo a corpo avrebbe rischiato di ferire gravemente chi lo avesse maneggiato.
A parte il fatto che il petroglifo superiore, quella sorta di tridente interpretato come rovesciato o capovolto, a significare l’anima dell’uomo che ritorna nel grembo della madre terra a conclusione del suo ciclo vitale, troverebbe nel “pugnale” un evidente ostacolo all’”agognato ritorno”.
Per intenderci, in una rappresentazione a forte valenza sacrale, connessa alla rinascita o rigenerazione della vita, mi pare che un attrezzo a due lame c’entri ben poco.
E’ vero che in altre statue menhir “continentali” come quelle lunigianesi, compare spesso un pugnale (ma non un “bipenne”); tuttavia in questo caso si tratta di evidenti rappresentazioni umane “maschili” dotate di viso, occhi e braccia, contrapposte a quelle femminili senza pugnale ma con i seni in evidenza (e non vi compare alcun “capovolto”).
Si tratta quindi di rappresentazioni “umane” che poco hanno a che vedere con quelle di Laconi. Può anche essere che gli artisti della Lunigiana si siano ispirati a quelli sardi, o viceversa (occorrerebbe avere certezza sulle datazioni) e che ciascuno, per proprio conto, abbia voluto esprimere la propria vena artistica: gli uni in termini reali (figure umane), gli altri nella sfera spirituale (l’anima dell’uomo che ritorna alla madre terra attraverso l’utero materno, “prima fonte di vita e di anelato ritorno”).
A conferma di quanto appena osservato, ci “viene incontro” la foto di una statuetta iberica in bronzo, risalente al VI-V secolo a.C, custodita nel Museo Arqueològico Nacional di Madrid e pubblicata sul libro di Sabatino Moscati “L’Arte dei Fenici” (Fabbri Editori 1990).
Il “doppio fuso” che vi compare sovrainciso, difficilmente potrebbe assimilarsi ad un non meglio definito “pugnale bipenne”, ma con molta più probabilità parrebbe delineare un apparato genitale interno femminile, con la vulva bene evidenziata.
Peraltro, esistono in Sardegna alcuni pani della tradizione che richiamano il petroglifo di cui si tratta.
Uno di questi, confezionato se non erro a Uta e a San Basilio (vedi allegato), viene denominato “bai e torra” (vai e vieni): dizione che, a mio personale giudizio, dovrebbe richiamare proprio un atto sessuale.
Ovviamente sinora sono state fatte delle semplici congetture, che comunque meriterebbero una serena riflessione e adeguati approfondimenti “scientifici”.
In allegato: la statuetta iberica pubblicato sul libro di sabatino Moscati; alcune statue stele custodite nel museo di Laconi (ph. Beatrice Auguadro); frammenti di statue stele in località Pala ‘e Nuraxi e Genna Arrele (ph. Sergio Melis); pane della tradizione “bai e torra”; statue stele maschile e femminile lunigianesi; prospetto di un menhir tratto da una pubblicazione del nostro archeologo Enrico Atzeni, affiancato alla tabella con rappresentazioni parietali di vulve ( https://www.ulm.edu/~palmer/ontogenyart.htm )