di Giorgio Valdès
I racconti mitici nascondono tra le righe riferimenti a realtà storiche da non banalizzare. Non lo dico io, ma lo affermano personaggi illustri come l’archeologo Louis Godart. Se questo assunto è credibile, quando Platone, nei suoi Timeo e Crizia, raccontava della scomparsa del regno di Atlantide, sarebbe opportuno tentare di comprendere, serenamente, a quale avvenimento egli si riferisse, magari sfrondando il suo racconto da quelle esagerazioni tipiche di una mente particolarmente fertile e fantasiosa. Sicuramente la ricerca “vale la candela”, se si considera che l’argomento è uno dei più “gettonati della storia”, riveste un interesse mediatico straordinario e, come tale, può considerarsi un formidabile attrattore turistico. Il fatto che decine di spedizioni, compresa quella organizzata in team dall’Università spagnola di Huelva e da quella americana di Hartford, si siano prefisse lo scopo di individuare la posizione del regno di Atlante, non è sintomo di ingenuità da parte di chi ha voluto finanziare o sponsorizzare attività del genere, ma implica un preciso interesse economico che deriva dalla consapevolezza che l’individuazione di qualche importante indizio determinerebbe per l’offerta turistica del territorio interessato. Considerata la mia personale predilezione per la civiltà prenuragica e nuragica, le varie leggende che hanno accompagnato la nostra storia rivestono per me un’attrazione residuale, considerato che le vicende e le testimonianze di una civiltà antichissima sono il vero “mito” di cui dobbiamo essere giustamente orgogliosi. Tuttavia, fermo restando il primato dell’archeologia, se riteniamo conveniente e opportuno mirare a uno sviluppo turistico integrato che metta “a reddito” il nostro straordinario patrimonio identitario ereditato dal prenuragico e nuragico, occorre comunque innescare la scintilla che risvegli il necessario interesse nei confronti di questa terra che dispone del più originale, vasto e denso patrimonio archeologico dell’occidente se non del mondo intero. In tal senso, il mito può a ragione considerarsi lo starter attrattivo più adatto a innescare un interesse diffuso nei confronti della domanda turistica globale. Non ritengo peraltro che tale affermazione sia campata per aria, se si considera che realtà archeologiche come Stonehenge o Rapa Nui hanno basato la loro fortuna mediatica soprattutto sull’elemento onirico/mitologico (calendario solare e druidi in un caso, leggenda degli uomini uccello nell’altro), che ha determinato in un caso un numero di visitatori analogo a quello che registra l’intera nostra regione, nell’altro l’esigenza di contingentare gli arrivi, che in uno “scoglio” inospitale e sperduto in mezzo al Pacifico e con una popolazione pari a quella di Senorbì, sono più di 200 mila per anno (quanto l’intera popolazione turistica straniera che annualmente giunge in Sardegna).