di Giorgio Valdès Raffaele Pettazzoni, nel suo libro “La Religione Primitiva in Sardegna” (1912), affronta il tema del culto delle acque e delle cerimonie connesse, osservando in particolare, riferendosi al pozzo Sacro di S.Cristina, “che edifici a cupola, identici o sostanzialmente analoghi nel tipo e nella pianta a quello di Santa Vittoria, dovettero esistere da un capo all’altro dell’isola, dal Campidano alla Gallura. Uno sorgeva probabilmente sulla opposta Giara di Gesturi; un altro vicino al nuraghe Losa presso Abbasanta. Né molto diverso sarà certo un pozzo –come fu detto-, che si scoperse presso Golfo Aranci”. Presumo che quest’ultimo pozzo fosse quello di “Milis”, confinante con la ferrovia e del quale si era occupata tempo fa Nurnet per lo stato di completo abbandono in cui versava e anche per un suo utilizzo “sacrilego”, se si considera che nella sua imboccatura era sistemata un’autoclave che non so se nel frattempo sia stata rimossa. Per buona fortuna i pozzi sacri della Gallura non subiscono la stessa sorte di quello di Milis e tra questi si distingue per magnificenza quello di “Sa Testa” a Olbia, ritratto nella bella foto dell’amico Andrea Vitussi. Riporto qui di seguito alcuni passi della descrizione del monumento, fatta dall’archeologa tempiese Angela Antona (“I Tesori dell’Archeologia” di Alberto Moravetti): “ E’ stato affermata da Dionigi Panedda (1) che la quantità dei siti nuragici nella ‘conca di Olbia’ è tale da far pensare che la densità demografica e lo sfruttamento agro-pastorale fossero paragonabili con quelle dell’epoca che ‘la stessa conca conoscerà nei migliori suoi periodi: dell’età romana e di quella giudicale’”. La dottoressa Antona osserva inoltre che “tombe di giganti e pozzi sacri sono espressione di comunità facoltose che esprimono attraverso questi monumenti il senso della religiosità collettiva. Di particolare evidenza in questo senso è il pozzo sacro di Sa Testa….Il tempio delle acque aveva per le comunità nuragiche valore di santuario; costituiva quindi un punto di riferimento per le comunità stanziate nel territorio, senza avere specifica attinenza con un sito in particolare….La struttura, lunga poco meno di diciotto metri, è realizzata in materiali reperiti sul posto: granito e scisto, tagliati in blocchi accuratamente lavorati. Il monumento si compone di un ampio cortile circolare, dotato di un ingresso con quattro scalini aperto sul lato Nord, di un vestibolo trapezoidale, di una scala che scende nella camera che racchiude la sorgente. Il cortile è interamente pavimentato con lastrine di scisto e attraversato longitudinalmente da una canaletta di scolo che corre sotto il pavimento. A giudicare dalla presenza di una panchina posta alla base del muro perimetrale, questo ambiente a cielo aperto era destinato ai riti collettivi che onoravano la divinità delle acque. Anche il vestibolo trapezoidale che costituisce l’ambiente di raccordo tra il cortile e il pozzo vero e proprio è pavimentato, dotato di due sedili ed attraversato da una canaletta di scolo dell’acqua. La scala che porta alla sorgente è composta da 17 gradini con copertura ad architravi accostati in modo da formare una scala rovesciata. Le loro dimensioni degradano verso il fondo della camera del pozzo, coperta afalsa cupola, dove sgorga una sorgente perenne. L’effetto prospettico di questo tempio nella sua completezza doveva essere particolarmente suggestivo considerata anche l’originaria presenza, sopra quello esistente, di un altro vano subaereo coperto a tholos, del quale residuano alcuni filari del perimetro esterno. Dei materiali rinvenuti durante lo scavo si hanno notizie generiche, ma sufficienti ad attestare la vita del pozzo da una fase nuragica del 1200 a.C. alla prima età romana imperiale. Fra i pochi oggetti riferiti alla prima fase, figurano alcuni monili ed un pugnaletto ad elsa gammata in bronzo. La piccola arma votiva era forse parte di una statuetta che doveva essere infissa in uno dei blocchi di pietra, rinvenuti durante gli scavi, provvisti di fori idonei all’impiombatura delle offerte bronzee. L’espoliazione di cui il monumento è stato oggetto nel corso dei secoli non ha fatto arrivare queste ultime sino a noi”.
(1) Dionigi Panedda (1916-1989), è stato uno storico di Bitti che ha trascorso buona parte della sua vita a Olbia, pubblicando numerosi libri sulla storia di questa città e della Gallura.