Il “riso sardonico”

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di Giorgio Valdès
Scrive Giovanni Ugas nel suo libro “L’alba dei Nuraghi”:

<<…Contenitori in serie, rinvenuti spesso integri, tazzine e coppette contenenti dei liquidi, attestano riti praticati, dal Bronzo Medio al Bronzo Recente, all’interno del recinto megalitico a forma di arco o di ferro di cavallo, definito recinto-torre, di Monte Baranta-Olmedo…la muraglia ad arco, che presenta due ingressi, uno rivolto ad Ovest, e l’altro a Nord, ritaglia e separa come un “temenos” (muro di recinzione che delimita un’area sacra n.d.r.) uno spazio attorno ad uno strapiombo.

Proprio la presenza dello strapiombo consente di cogliere la precisa natura, sacra, dell’area “tagliata” dal recinto megalitico arcuato nuragico di Monte Baranta, già indiziata dagli elementi di cultura materiale. Tazzine e coppette troncoconiche e carenate, atte a contenere liquidi, con ansa ben sviluppata per favorire la presa, rinvenute in gran numero integre o quasi e dunque depositate e abbandonate, sono concentrate nel corridoio dell’ingresso Ovest del recinto e ciò significa che il rito dell’offerta si svolgeva proprio “non dentro e non fuori”,

come si addice ad uno spazio di incontro e di separazione tra due mondi. Lo spazio del cortile delimitato dal “temenos” era un luogo interdetto, tranne a colui che offriva e a colui che riceveva la bevanda sacrificale.

Tutto indirizza all’idea che sull’ingresso Ovest (volto verso il mondo senza luce) e nel cortile si consumasse l’atto sacrificale degli anziani precipitati nel baratro dall’alto della rupe, forse dopo essere stati avvelenati con la cicuta, la bevanda che provocava il “riso sardonico”, contenuta all’interno delle tazzine.

Dal cortile, il mondo delle tenebre, tagliato dal recinto simboleggiante il confine del tempo e della luce, il vecchio padre, una volta entrato, non sarebbe più uscito. Il figlio accompagnatore poteva rientrare dall’altro ingresso, che da Nord-Est conduceva alla luce, per rinascere nella nuova veste di erede, forse di nuovo capo della comunità>>.

Il tema dell’eutanasia connessa al “riso sardonico”, è stato precedentemente trattato anche dal Raffaele Pettazzoni, massimo storico delle religioni, che nel 1912 così scriveva nel suo libro “La Religione primitiva in Sardegna”:

<<…Presso i Sardi, i vecchi che avevano passato i settanta erano uccisi dai loro stessi figli, i quali, armati di verghe e di bastoni, a forza di percosse spingendoli sull’orlo di fosse profonde come baratri, barbaramente li facevano morire; e la crudele operazione accompagnavano con risa inumane. Questo ci è raccontato da Eliano, da Demone, e da altri; e pare risalga, ultimamente, a Timeo>>.

Nella foto di Antonello Gregorini: il complesso megalitico di Monte Baranta a Olmedo.