di Giorgio Valdès Ho avuto modo di rileggere un articolo di qualche anno fa a firma di Lorenzo Paolini, che richiamava gli studi sulla longevità svolti dal professor Luca Deiana, direttore della cattedra di Biochimica Clinica dell’Università di Sassari. Deiana riferiva innanzitutto della dieta, affermando che quella sarda “accoglie quella mediterranea, specificandola ed esaltandone alcuni aspetti…anche perché stiamo parlando di alimentazione dei primi del secolo scorso e di persone che hanno vissuto facendo lavoro di muscoli e fatica. Hanno mangiato formaggio anzitutto, senza sprecarne un pezzo, godendosi anche la buccia. Poi pane. Pasta. Carne quando ce n’era, non sempre. Minestrone con legumi. Frutta in dosi modiche, pere e mele, certo non papaya né ribes. Erbe spontanee di campagna. Dolci quasi mai, al massimo per le feste. Per cui gloria all’Unesco che ha inserito nel patrimonio mondiale dell’umanità il regime alimentare di questi lidi. Ma la Sardegna sceglie di differenziarsi. Con qualche diritto. Uno anzitutto: il numero di supervecchi che popolano l’Isola”. In un’altra parte dell’articolo è scritto che andando per le grosse, la gioventù centenaria sarda è fatta da pastori, agricoltori e casalinghe più una piccolissima percentuale di insegnanti, carabinieri e finanzieri. ”Gente che a scuola è andata poco ma a 102 anni sa tantissimo delle leggi della natura, ben più di un laureato”. Prima di geni e cromosomi, Deiana segnala un filo rosso che legherebbe tutti: “Hanno grande positività, sono ottimisti, hanno buon senso, spiritualità, credono nella vita e non rifiutano gli altri. Erano in sintonia con l’ambiente in cui vivevano. Quando parlano di sé, dicono tutti la stessa cosa: lassù si devono essere dimenticati di me”. Quell’equilibrio scritto nel Dna (lui dice “programmati per vivere più di cent’anni”, e fa pure un po’ di paura) è il filtro che ha consentito di distillare le giuste quantità di quel che era disponibile. Più attenti dei cuochi-star in voga nel miscelare gli ingredienti, grassi compresi. Carne e pane, fagioli e pasta: quasi in parità. Un bicchiere di vino? Si beve eccome e un esperimento fatto su cellule in laboratorio ha dimostrato che, anche su un vetrino, un buon rosso fa la sua porca figura. Formaggio? Eccetto chi non tollera il latte, tutti. E poi via a bruciare calorie fra discese ardite e risalite. “Per carità, anche la palestra fa bene. Ma quello era proprio uno stile di vita radicalmente diverso”. Così Paolini concludeva il suo interessante articolo: Un’Isola che rispetta i vecchi, dove ogni anziano è “tzio” e i fatti di sangue stanno rispettosamente alla larga da queste sequoie ambulanti. Deiana è convinto che tutto questo abbia un qualche ruolo. E le rapine con schiaffoni ai danni di inermi novantenni, calci e pugni ad ammalati per convincerli a tirar fuori i due soldi risparmiati? “Chi picchia i vecchi, è fuori dalla società sarda, e forse sarebbe giusto non dargli una seconda possibilità”. La gran parte dei suoi ragazzi comunque è al riparo: sta in famiglia, non conosce ospizi e cattive maniere. “Questa è un’isola che rende centenario anche chi sardo non è. Ho appena conosciuto una signora che va per i cento, immigrata e sanissima”. Per converso, i sardi che vanno all’estero si portano dietro il loro personalissimo ed eccezionale corredo. “L’ultimo che abbiamo visto era un signore di Collinas che aveva fatto fortuna e viveva a Saint-Tropez. Quando siamo andati a visitarlo con il laboratorio mobile aveva 109 anni”. Aveva servito chissà quale regina, piano piano aveva messo da parte una fortuna. Villa sul mare, giardino. E orticello, come da programma. E gli ortaggi della signora Obama alla Casa Bianca non erano ancora di moda.
Ricordo che qualche tempo prima della pubblicazione dell’articolo, avevo assistito ad un incontro sul tema , tenuto ad Orroli dallo stesso professor Deiana, dove la platea era per gran parte occupata da vecchietti arzilli ed attenti, alcuni dei quali ponevano domande assolutamente appropriate sull’argomento, a riprova del fatto che nel pase non solo il tempo si era fermato ma aveva dispensato a piene mani una straordinaria e diffusa lucidità tra i suoi abitanti. Devo anche dire che l’ambiente stesso era pervaso da serenità, con l’aria leggera, il profumo della legna bruciata e i ritmi lenti che per uno come me, proveniente da una città piuttosto trafficata come Cagliari, avevano qualcosa di magico. Più tardi, accompagnato dall’amico Agostino Vargiu, ho visitato il parco di Su Motti, con le domus de janas incastonate dentro un fitto bosco di roverelle, che rendevano il paesaggio simile a un set da “Signore degli anelli”. L’ennesima, imperdibile visita al nuraghe Arrubiu e il panorama emozionante del Flumendosa, che scorreva in fondo alla valle tra ripide rocce di basalto mi hanno fatto capire che non era solo nella dieta il segreto della longevità, ma a convincere il tempo a rallentare il suo corso contribuivano tutte le coinvolgenti sensazioni che si provano percorrendo queste terre.