di Giorgio Valdès Tra le varie immagini pubblicate da Nicola Porcu nel suo libro “Hic-Nu-Ra, racconto di un’altra Sardegna”, è presente anche quella di un ciottolo, largo pochi centimetri, che riporta su entrambi i lati alcune curiose incisioni. L’autore fa risalire l’oggetto alla cultura di S.Michele, che fiorì in Sardegna intorno al 3200 a.C., quando il periodo neolitico si apprestava a dar spazio alla così detta età del rame o eneolitico. Non ho elementi per potermi esprimere sull’autenticità dei segni che compaiono su questo sasso, comunque meritevoli d’attenzione perché si ripetono in altri contesti, tra cui in particolare i diversi vasi rinvenuti a Sardara, in località S.Anastasia e a Villanovaforru. Su un lato del ciottolo si nota una serie di greche e un’incisione composta da alcuni cerchielli concentrici, mentre sull’altro sono riportate due greche separate da un segmento rettilineo. La mia personale convinzione che la nostra regione avesse intrattenuto lunghi e frequenti rapporti con la terra d’Egitto, m’induce a supporre che tali segni non siano assolutamente casuali, ma possano invece ricondursi alla simbologia geroglifica, che rappresentava con i cerchielli il disco del sole o la massima divinità solare “Ra”, con la greca l’acqua “Nu”, con la ripetizione delle greche il mare o l’universo acquatico e con il trattino la terra insulare (iw). Vorrei inoltre osservare come i cerchielli, in modo particolare, siano analoghi a quelli riprodotti su alcune pintadere, su cocci di vaso e addirittura nei conturbanti occhi delle statue di Monte Prama. Tuttavia, a scanso d’inutili polemiche e per rispetto di coloro che negano con determinazione la possibilità che tra la Sardegna e l’Egitto un tempo intercorressero stretti rapporti, mi limito ad ipotizzare che solo per pura combinazione i segni riproducono ideogrammi egizi, come è anche sicuramente casuale che tali ideogrammi richiamino parole come “Nu” e “Ra”, che si ripetono assai frequentemente nei nostri toponimi. A puro titolo di curiosità questi due termini compaiono anche in un brano del libro di Raffaele Pettazzoni “La religione primitiva in Sardegna” (1912), dove il grande storico delle religioni, in merito al culto delle acque che si praticava nella nostra isola così scriveva: “….quei serbatoi temporanei nella roccia che provvedevano momentaneamente ai bisogni delle tribù, dovettero fornire il prototipo naturale a quella conca rupestre che fu il nucleo e l’elemento intrinseco ove poi si svolse il tempio a cupola. Anche oggi nelle regioni montuose della Sardegna centrale, e più precisamente nel Nuorese, si trovano spesso delle cavità circolari della montagna, specie di pozzi naturali, dove si sprofondano le acque piovane, e dove talora per vendetta si fanno dai pastori sparire le tracce dei loro nemici. Queste cavità rupestri, misteriose e profonde, si chiamano ‘sas nurras’: e sembrano già col nome loro accennare alle epoche remote che videro sorgere anche i ‘nuraghi’. Esse sono, a parer mio, una cosa sola con quelle primitive conche naturali, che furono poi ripetute ad arte entro i santuari”.