Il Valore

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di Nicola Manca Mi capita spesso di dover scrivere di qualcosa e, nell’atto di avvicinarmi all’argomento, vario l’approccio in base al tema, alla padronanza che ho di esso o al punto di vista che voglio offrire al lettore. Uno di questi metodi, fra i miei preferiti per profondità, è quello di partire dall’etimo della parola stessa, per poi perdermi nelle infinite differenze che, spesso, dividono il significante dal suo significato. Il concetto di valore, che andrò fra poco ad analizzare, deriva dal latino valor, valorem [da valere] e viene inteso con il significato di possedere alte capacità morali e intellettuali, alto grado di professionalità nonché con il significato di coraggio, ardimento e forza. Nell’accezione economica, inclusa nel testo marxiano La teoria del valore- lavoro, con riferimento a un bene, si introduce il concetto di valore legato all’uso e quello legato allo scambio. Il valore di un bene risulta così essere la somma dei capitali fissi e variabili e del plusvalore creato nel processo produttivo. Ancora, un’estensione del concetto lo identifica come l’importanza che una cosa, materiale o astratta, ha, sia soggettivamente che oggettivamente, nel giudizio dei singoli. Come si può curiosamente notare, come la falce non fa più pensare al grano e il grano invece fa pensare ai soldi, anche il concetto di valore non fa più pensare al fatto che noi sem levati al settimo splendore, che sotto ’l petto del Leone ardente Raggia mo misto giù del suo valor [Divina Commedia, Par. XXI, 15]. Ormai il valore è identificato con la moneta, non con l’ardore delle gesta. Credo però che Nurnet sia in grado di coniugare entrambe le accezioni: e quella poetica, e quella economica. Quella economica perché punta all’utilizzo di tecniche moderne di business intelligence, di geomarketing e inferenze su quel grande strumento che mancava da decenni e che è riuscita a costruire – senza alcun finanziamento pubblico – assieme al CRS4, rendendolo fruibile gratuitamente il 4 aprile 2014. A questo strumento si affiancano programmi di sviluppo territoriale che, alla stregua del movimento artistico giapponese del Gutai, riscopre la tradizione per vivere il futuro. Ogni giorno vedo passione e dedizione da parte della fondazione nel perseguire l’obiettivo di modificare la percezione che si ha della Sardegna come vacanze di lusso di stampo balneare, nel tentativo di riportare alla luce l’ostracizzata storia nuragica. Questo non può che ben sposarsi con la teoria del plusvalore, dove gli input sono il capitale umano della fondazione e il capitale fisico costituito da unicità territoriali archeologiche, l’output la valorizzazione di queste strutture, l’outcome la modifica della percezione della terra e la riscoperta della sua sacralità ancestrale. Ma per affermare che vedo dedizione non mi baso sulla sensazione, mi baso sui dati. La settimana di presentazione del Geoportale Nurnet le visualizzazioni sono state oltre le 100 mila. La pagina riceve oltre 47 mila click e cresce a un ritmo d’utenza superiore al 5% su base mensile. Numeri non da poco che sembra ripaghino gli sforzi generati con un consenso ascendente. Le esternalità garantite dall’output e dall’outcome permettono lo sfruttamento di nicchie di mercato gestite inefficientemente: parlo del turismo culturale che viene definito dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), agenzia delle Nazioni Unite come tutti quei movimenti di persone motivati da scopi culturali come le vacanze studio, la partecipazione a spettacoli dal vivo, festival, eventi culturali, le visite a siti archeologici e monumenti, i pellegrinaggi. Il turismo culturale riguarda anche il piacere di immergersi nello stile di vita locale e in tutto ciò che ne costituisce l’identità e il carattere” . Stando a questa definizione la Sardegna rappresenta un’entità unica e con caratteristiche proprie che, se valorizzate, genererebbero un indotto ben superiore ai 2 milioni di arrivi circa che si riscontrano annualmente [Istat]. Per capire di che portata potrebbe aumentare il flusso turistico culturale basti pensare all’isola di Pasqua: una terra brulla e inospitale, di 163 kmq e con 3700 abitanti, situata in mezzo all’oceano pacifico e raggiungibile solamente dal Cile dopo 5 ore di volo, la cui capacità recettiva è inferiore al numero di turisti che vi arrivano. I numeri parlano di 52 mila turisti all’anno. Un numero basso se confrontato con gli arrivi in Sardegna, ma questo numero va letto con un occhio attento: l’isola ha un’unica attrattiva ed è priva di grosse strutture recettive. Il numero di turisti è 14 volte superiore alla popolazione, i costi dei voli si aggirano attorno ai 1000 $, non è possibile raggiungere alcun altro luogo in un tempo inferiore alle 5 ore di trasvolata. Al contrario la Sardegna si trova al centro del mediterraneo, raggiungibile via mare anche con grandi navi – che non possono invece attraccare a Rapa Nui – via cielo, con voli di circa un ora, anche low cost. Ha un estensione di 24 mila kmq e un’infinità di attrazioni, fra cui quella – più antica dei Moai di 2500 anni e che la rende unica nel mondo – della civiltà nuragica. La differenza fra questi due mondi, uno che appare irraggiungibile e viene raggiunto, l’altro che pare raggiungibile e viene raggiunto troppo poco, sta nel essere riusciti a sfruttare al meglio la domanda legata al mercato turistico culturale. L’evidente differenza nella capacità di regalare emozioni e suggestione è uguale alla nostra incapacità di creare valore aggiunto seppur con un numero di input superiori sia in termini di capitali umano, sia in termini di capitali fisici, sia in termini di accessibilità. Ed è in questa differenza tremendamente frustrante che rappresenta il quid tale per cui la fondazione Nurnet continua a propugnare la sua crociata. Mettendo in moto il volano si aprirebbero orizzonti in tutto il settore terziario che sempre più sorregge il mondo occidentale, dando spazio agli archeologi, alle guide, alle strutture recettive, alle realtà enogastronomiche tipiche dell’isola. Ed è qui che sta la creazione di plusvalore. Il valore in chiave economica di cui si è parlato inizialmente. Tuttavia per muoversi in questo terreno arido e impervio è necessario creare altro valore: quello che si identifica con l’ardore, con il coraggio di combattere come un Don Chisciotte chiamando a raccolta tutti i sardi in questa battaglia che non appartiene solo alla fondazione e che, per essere vinta, dev’essere condivisa. La fondazione è una rete da mettere a sistema, le persone che ne fanno mettono a disposizione le proprie competenze e capacità e – come pezzi di un orologio – vanno a costituire quei cardini, quelle molle e quegli ingranaggi essenziali per il funzionamento della macchina. Una volta che, come in una sinfonia, ogni pezzo sarà al proprio posto, la creazione di valore, quello che è inteso nella doppia chiave di lettura, verrà in automatico Nurnet rappresenta un vessillo, degli ideali per i quali tutti possono combattere. Ecco quindi che la creazione di valore non si ferma sul piano economico ma percorre all’unisono anche quello del cambiamento del modo di pensare. Vogliamo provarci, vogliamo osare. Non siamo reazionari, vogliamo essere rivoluzionari!