di Giorgio Valdès
Il paese di Orosei, è tra l’altro noto per la sua sterminata, straordinaria fascia costiera che ha rappresentato il principale elemento di richiamo di un consistente flusso turistico, favorito dalla capacità e dall’impegno di numerosi imprenditori locali cui si deve la realizzazione di importanti strutture ricettive e servizi complementari finalizzati all’accoglienza. Molto meno conosciuto è il suo entroterra che tuttavia, quanto meno nel corso del periodo nuragico, risulta essere stato frequentato da una popolazione residente piuttosto numerosa, a giudicare dall’estensione del villaggio di “Sa Linnarta”, che l’amico Antonello Gregorini ha appassionatamente descritto nel corso di una sua recente escursione. E a giudicare dalle foto, alcune delle quali proponiamo anche sul profilo FB della Fondazione Nurnet, non possiamo certo dargli torto, vista l’importanza e l’estensione dell’insediamento ma anche la qualità dell’ambiente attiguo, caratterizzato da una natura rigogliosa e selvaggia che si affaccia su uno dei tratti costieri più suggestivi della Sardegna. A parte il fatto che, sempre a giudicare dalle foto, viene spontaneo domandarsi “quanto ci sarebbe ancora da scavare e da indagare!”. In uno degli scatti che accompagna questo post, è ritratto il pozzo sacro compreso nell’insediamento, che ripropone ancora una volta quel “culto delle acque” che aveva caratterizzato decisamente la religione primitiva della Sardegna. Così Antonello Gregorini descrive l’insediamento nuragico di “Sa Linnarta” di Orosei:“Nei ricordi della mia infanzia il villaggio di Sa Linnarta, a Orosei, ha un certo rilievo. Mio zio, Peppino Mercurio, intellettuale del paese a cui ora è intitolata la scuola elementare, ospitò il professor Massimo Pittau, nella propria abitazione di Cala Liberotto ove ero ospite anche io. Da lì partirono per andare a visitare il sito e al ritorno narrarono di un pozzo eccezionale e antichissimo dove, sporgendosi fra i conci, videro una sorta di anello metallico incastonato fra le pietre che, loro malgrado, non riuscirono a studiare meglio. Nella mia fantasia di ragazzino (parliamo di circa 45 anni fa) restò questo sogno del pozzo misterioso e in tutti questi anni chissà quante volte ho pensato che mi sarebbe piaciuto vederlo, senza tuttavia esservi mai riuscito. Il nuraghe è posto sul Gullei, l’altopiano leggermente degradante fra la Valle del Cedrino e Cala Liberotto. Si tratta di un’unica enorme colata lavica che diede origine a un tavolato basaltico di diversi chilometri. Il basalto è spaccato in massi di tutte le dimensioni per cui risultò facile, per i costruttori nuragici, approvvigionare il materiale lapideo occorrente per realizzare il villaggio. Questo è posto a Ovest della Orientale Sarda, s.s.125, un chilometro prima della zona artigianale (vedi foto del geoportale). Vi si accede da una strada vicinale che si può percorrere in macchina solo sino al cancello della grande proprietà privata all’interno della quale è il villaggio. Mi sono informato presso i proprietari vicini e verificato che non avrei trovato nessuno in questi giorni di agosto e ho deciso, quindi, di accedere, avendo cura di richiudere e non provocare alcun danno alle recinzioni. Al villaggio non si arriva facilmente perché avvolto da una fitta macchia selvatica di cui, da tanto, non sono ripuliti i passaggi e occorre quindi saper camminare fra pietre, rovi e rami taglienti. E’ facile perdere l’orientamento e finire avvolto da rami. Il nuraghe è un trilobato che, per quel che si può vedere, ha due tolos collassate all’interno. Di queste si possono comunque ammirare le murature e da qui, girando intorno, per almeno uno due ettari, verificare l’esistenza di diverse capanne. Sotto la macchia, oltre i conci e il pietrame informe ho potuto ammirare anche degli altri conci isodomi, disposti circolarmente, ma dei quali, senza una pulizia generale, sarà difficile comprendere la destinazione e la dimensione dell’edificio che limitavano. Dalla cima delle torri si domina tutto il territorio e la costa sino alle falesie di Mariolu verso sud e sino a Cala Ginepro verso nord. Si domina inoltra parte della foce del Cedrino e il suo tributario proveniente dai monti di Onifai – Siniscola. Scendendo lungo la frana di ciottoli e conci dalla sommità della tolos principale, verso sud, si individuano alcune capanne ben più evidenti e libere da vegetazione rispetto alle altre. La prima è di piccolo diametro e contiene un circolo di pietre concentrico dentro il quale danno bella evidenza dei residui di fornace in terra rossa cotta. Ho visto altre fornaci nuragiche, in altri villaggi, che spesso gli archeologi indicano come stanze di cottura dei cibi e del pane, questa del Linnarta ha tutt’altra conformazione. La seconda, una decina di metri più in basso, è una capanna più irregolare della precedente con, all’interno, dei sedili lungo la muratura perimetrale. Al centro della capanna una costruzione di conci isodomi analoga ai cosiddetti pozzi sacri. La muratura è aggettante e tende a chiudere la volta. All’interno si accede a una stretta scala conclusa in un ambiente in cui un uomo si muove a malapena. Di fronte si trova l’incavo del pozzo, ancora oggi, e in pieno agosto, pieno d’acqua. Sui lati si sviluppano due nicchie, realizzate con la stessa tecnica dei muri aggettanti, le cui volte tendono a inglobarsi nella tolos acuta che verosimilmente proteggeva la persona che prelevava il liquido in fondo al pozzo. Dalle nicchie ci si può affacciare all’interno degli scavi che i nuragici fecero per alloggiare la costruzione in muratura, ben più ampi di questa e che immagino siano funzionali anche a un maggior accumulo d’acqua per l’incavo rivestito.
Se andrete a visitare il sito vi consiglio di evitare le ciabattine. Di chiedere l’autorizzazione a “su meri” e di essere molto rispettosi di ciò che resta del monumento. Conosco il Sindaco di Orosei, e colgo questa occasione per consigliargli la valorizzazione del sito a fini turistici. Orosei ha tanto e degli itinerari attraverso i nuraghi del paese offrirebbero un valore aggiunto di non poco conto al territorio. Lavoro, introiti diretti e indiretti e qualità”.