Di Giorgio Valdès
Alcuni anni fa, in un articolo che si riferiva ai metodi di datazione archeometrici, Maria Grazia Celuzza, docente di Museologia e Museografia presso l’Università di Siena, manifestava l’esigenza di rivedere il quadro cronologico della preistoria, apportando delle correzioni variabili a seconda dei periodi. Sosteneva in particolare che “in alcuni casi la correzione necessaria è molto alta: alle date intorno al 3000 a.C. ad esempio bisogna aggiungere 7-800 anni, mentre intorno al 2000 a.C. possono essere sufficienti 500 anni. La calibratura delle date può perciò provocare dei veri e propri rovesciamenti di relazioni cronologiche. Contrariamente a quanto si credeva in precedenza, le tombe megalitiche europee sono così risultate più antiche delle piramidi egiziane o delle tombe circolari di Creta”.
Sempre la Celuzza proseguiva affermando che “La cronologia egiziana era stata in effetti messa in dubbio a seguito delle prime determinazioni col C14, perché appariva troppo arcaica rispetto alle nuove date, ma era vero il contrario ed è stata infatti confermata dalla dendrocronologia….Gli archeologi possono perciò continuare a utilizzare le date tradizionali per l’Egitto e il Vicino Oriente, ma anche quelle stabilite per l’area egea ricostruite in base a datazioni incrociate con l’Egitto. Al di fuori di queste aree tutti i quadri cronologici costruiti sulla base del C14 vanno retrocessi di diversi secoli, spezzando i collegamenti cronologici tradizionali. L’effetto più drammatico è il crollo delle teorie diffusioniste che sostenevano l’arrivo di tutte le innovazioni culturali in Europa da Oriente”….”lo schema diffusionista è quindi in gran parte crollato e nuove ricostruzioni della preistoria europea si stanno sostituendo a quelle ormai tramontate, per ricreare nuove relazioni fra oriente e occidente e superare quella che è stata chiamata ‘linea di faglia cronologica’: la linea di separazione fra le aree dove le cronologie storiche dal 3000 a.C. in poi sono rimaste pressoché inalterate, e le aree dove le date sono scivolate indietro di secoli”.
Tanto premesso, uno dei simboli che la Sardegna ha condiviso con la tradizione dell’antico Egitto, è indubbiamente la “falsa porta”, figura presente sia in svariate nostre domus de janas sia nelle mastabe (tombe monumentali) e in altre strutture funerarie dell’Antico Egitto.
Essa rappresentava il luogo di passaggio dalla vita alla morte, l’accesso attraverso il quale l’anima del defunto poteva transitare dall’aldilà al mondo dei vivi. Inizialmente le “false porte” egizie erano semplicemente dipinte e vennero in seguito sostituite da quelle scolpite nella pietra, di fronte alle quali erano sistemate le tavole delle offerte (specie alimentari) che si pensava potessero essere gradite al defunto. Ne è esempio la falsa porta nel monumento funerario del faraone Teti a Saqqara, che regnò nel corso della VI Dinastia, tra il 2470 e il 2200 a.C. circa (cfr. allegato).
Sempre in Egitto, questo “potente” simbolo di rinascita parrebbe risalire alla prima dinastia, iniziata nel 3150 a.C., per divenire quindi “punto focale del culto delle tombe private dell’Antico Regno” (“Antico Egitto” Mondadori Editore 2009).
Abbiamo riferito, in svariati precedenti articoli, degli antichissimi e frequenti rapporti tra la Sardegna e l’Egitto dinastico e predinastico (il link a margine si riferisce al sesto capitolo di uno di questi articoli), e ne è un’importante conferma la presenza, in Sardegna, di un gran numero di domus de janas al cui interno è presente sia la falsa porta, sia un elemento scolpito sul pavimento, che parrebbe richiamare una tavola delle offerte.
Tra le tantissime domus con queste caratteristiche, abbiamo scelto quella di Santu Perdu, ad Alghero, che proponiamo nelle belle foto dell’amico Marco Secchi. A parte il fatto che la similitudine tra la parola jana e janna, (che come noto in lingua sarda significa porta) alimenta l’ipotesi che il termine “domus de janas” sia una volgarizzazione di “domus de jannas /case delle porte” (considerazioni che in passato hanno alimentato un ampio dibattito e controversi pareri), sta di fatto che la presenza in due civiltà mediterranee così lontane di un simbolo analogo, parrebbe confermare una grande sintonia nella rappresentazione del concetto di rinascita o rigenerazione della vita.
Tuttavia, come si legge sul sito “Sardegna Cultura” I reperti rinvenuti durante gli scavi” nella domus di Santu Perdu ad Alghero “riportano alle culture Ozieri, Filigosa, Abealzu, Monte Claro, del Vaso campaniforme, Bonnanaro (3200-1600 a.C.). Si sta quindi parlando di un millennio precedente all’edificazione del monumento funerario del faraone Teti a Saqqara e coevo, se non anteriore, alla prima dinastia egizia, quando pare vennero realizzate le prime false porte.
Peraltro sappiamo che attualmente si tende a retrodatare la datazione di svariate domus, comprese quelle che presentano questo simbolo, addirittura agli inizi del IV millennio a.C., in coerenza alle considerazioni della professoressa Celuzza, che come accennato nelle premesse, sostiene che le cronologie della preistoria europea, in particolare negli anni intorno al 3000 a.C., andrebbero retrocesse di 7/8 secoli, lasciando invariate quelle di altre civiltà orientali, tra cui in particolare quelle dell’antico Egitto.
In definitiva, senza imbarcarci nel dibattito su chi è nato prima: l’uovo o la gallina, sarebbe semplicemente più interessante scoprire se il simbolo “falsa porta” ha avuto origine in Sardegna per essere quindi replicato in Egitto, o se invece sia avvenuto il contrario. g.v.
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