La lattuga di granito e i suoi segreti

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di Giorgio Valdès Il ritrovamento della statua di “personaggio incedente” nella necropoli di Sulky, di cui si è riferito in alcuni precedenti articoli, parla anche Paolo Valente Poddighe nel suo libro “Atlantide Sardegna – L’Isola dei Faraoni” (anno 2006) che a mio giudizio non è stato adeguatamente apprezzato, nonostante riporti citazioni e osservazioni di grande interesse. Poddighe non si pone scrupoli, probabilmente a ragione, nell’identificare la statua come quella di un faraone e anzi imposta una parte consistente del contenuto del suo libro, proprio sulla presenza egiziana in Sardegna e più in generale sui frequenti e antichissimi rapporti intercorrenti tra le due civiltà mediterranee. Non ritengo opportuno dilungarmi sulle considerazioni espresse dall’autore a sostegno della sua tesi, che in ogni caso per buona parte condivido pur essendo consapevole che gli elementi a disposizione non sono sufficienti a dirimere le tante incertezze, ma è anche vero che la civiltà faraonica pare aver lasciato in Sardegna e in particolare nell’area sulcitana e quantomeno sino allo stagno di S.Gilla, importanti indizi. A proposito dei ritrovamenti in corrispondenza di questo stagno, Poddighe riferisce che “in odierna Assemini, in regione ‘Su Pranu’ in terreno di proprietà del conte Cecconi, nel 1919 venne rinvenuta la più antica iscrizione che il suolo Sardo fino ad oggi abbia restituito: un frammento calcareo con scrittura geroglifica, risalente al Faraone Sesostris I, della XII dinastia (1970-1925 a.C.)” quindi tradotta dal professor Schiapparelli del museo egizio di Torino. Prosegue poi richiamando il Pais, che a proposito della presenza degli egiziani nell’isola scriveva: “Colgo invece questa occasione per ricordare che pure ad Assemini si è rinvenuto, misto ad oggetti di età romana un monumento religioso di schietta origine egizia a differenza di altri di natura alquanto analoga rinvenuti a Tharros che tradiscono invece imitazione punica. Ernesto Schiapparelli, che ha notato codeste identità e differenze non sa rendersi ragione della presenza di un monumento egizio ad Assemini ed io non pretendo certo risolvere il quesito. Osservo tuttavia che in un punto dello Stagno di S.Gilla presso Assemini, nella località detta ‘Su Mogoro’, vennero rinvenuti circa trenta anni or sono numerosi voti di terracotta, che attestano l’esistenza di un santuario che gli esploratori fanno risalire all’età punica (….). Fra queste varie ceramiche votive attirano l’attenzione nel caso nostro quelle che rappresentano coccodrilli. La più naturale spiegazione è che ad Assemini stanziassero genti di stirpe egizia”. Altro interessante indizio è il ritrovamento a Campo Scipione (dove ora sorge il parcheggio dell’Auchan) di una statuetta in arenaria del dio egizio Bes, come la possibilità, sostenuta anche dall’egittologo tedesco W.Von Bissing, che a Cagliari fossero state erette strutture templari dedicate al culto di Osiride. Non è inoltre da sottovalutare il rinvenimento di numerosissimi amuleti, che il Canonico Giovanni Spano stimò in circa 14/16 mila pezzi, quattromila dei quali sono i così detti “scarabei”, tipici della cultura nilotica. Molti di questi scarabei, come si evince dalle preziose ricerche di Aba Losi e di Romina Saderi, portano il nome criptato di Amon-Ra, massima divinità solare egizia. Per quanto mi riguarda, sono del parere che a S.Gilla fosse allocato un grande porto su cui confluivano importanti vie d’acqua un tempo funzionali al trasporto di minerali, metalli e prodotti di diverso genere. Dall’area sulcitana provenivano in particolare il rio Cixerri, il Mannu e il Gutturu Mannu (cfr. post “la pietra, l’acqua e i metalli”). A proposito di quest’ultimo fiume vorrei proporre una considerazione, o meglio una curiosità che comunque ritengo interessante. A nord-ovest del suo corso, a pochi chilometri dal villaggio nuragico di Fanebas, si elevano il Monte Is Caravius, che con i suoi 1116 metri è il più alto del Sulcis e il Monte Lattias, di poco più basso (1086 m.). La curiosità sta nei rispettivi nomi: il Caravius parrebbe prendere nome dai biancospini, come sostenuto ad esempio dal glottologo Salvatore Dedola, o in alternativa, secondo la tesi del Pittau, si tratterebbe di un oronimo connesso alla parola “carrabusu”, con cui in Sardegna si indica lo scarabeo stercorario. Lo stesso scarabeo che gli antichi egizi chiamavano Khepri o Kheper, attribuendogli un profondo significato sacrale, poiché rappresentativo del sole del mattino. Sul termine “carrabusu” ho proposto comunque alcune considerazioni in un precedente post titolato appunto “Su Carrabusu”. Lattias, in sardo campidanese, ha invece il significato di lattuga. Il fatto singolare è che le foglie di lattuga, sempre nell’antico Egitto, erano accoppiate al dio itifallico Min, manifestazione di quel dio solare Amon-Ra presente in tanti amuleti rinvenuti in Sardegna. Salima Ikram, notissima egittologa e ricercatrice dell’American University del Cairo, ha spiegato il motivo dell’associazione tra il dio Min e la lattuga: le foglie di quest’insalata, ritenuta afrodisiaca, crescono dritte e alte, e questo per gli antichi era un indubbio simbolo fallico. Se adesso prestiamo attenzione all’immagine in cui sono ritratte le guglie del monte Lattias, possiamo ragionevolmente pensare che l’associazione con le foglie di lattuga e con il dio Min non sia poi così astrusa, e soprattutto rappresenterebbe un’ulteriore conferma all’ipotesi della presenza egizia in area sulcitana.