La Sardegna, l’Egitto e lo Sciranchizzi

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di Giorgio Valdès

“Sciranchizzi”: così mio nonno chiamava quel giochino, di foggia più o meno raffinata, che nei primi anni cinquanta intratteneva noi bambini. Gli smartphone erano ancora di là da venire ma bastava una sferetta metallica con dentro un po’ di ghiaietta per farci contenti. Stringevamo il manico a cui era fissata e scuotendola emetteva un caratteristico suono simile alla parola “sci” o alla “sh” dell’ inglese “ship”. Ovviamente il vocabolo “sciranchizzi” è onomatopeico, considerato che si collega appunto al suono che questo semplice attrezzo emetteva. Nell’Egitto faraonico esisteva uno strumento analogo, comunemente chiamato “sistro”, che in termini geroglifici si scriveva “ssst”, con la seconda e terza consonante “s” che nel loro insieme si pronunciano anch’esse come “sci” o “ship”. Era l’oggetto che, insieme al pendaglio “menat” di cui si parlato in un recente post, era tenuto in mano da Hator, la “dea vacca” dell’amore, della gioia e madre universale, spesso confusa o assimilata ai Iside. Ci sarebbe da domandarsi quale analogia esiste tra il nostro “sciranchizzi” e il sistro e se comunque questa analogia possa ritenersi un altro indizio della lunga e costante frequentazione, a decorrere da alcuni millenni orsono, tra le genti sarde e quelle egiziane. Del sistro e del suo uso in Sardegna riferisce il professor Pittau in un  capitolo del suo libro “Storia dei Sardi Nuragici” (2007), intitolato “Le influenze religiose egizie sui Sardi Nuragici”; capitolo che si riporta qui di seguito. Ed è anche  probabile che il nostro noto studioso, nel parlare del sistro sardo, si riferisse proprio allo “sciranchizzi“ che intratteneva noi, bambini del dopoguerra.

Scrive il professor Pittau: “La presenza dei Tirseni/Tirreni della Sardegna fra i ‘Popoli del Mare’ è confermata ampiamente da evidenti ed univoche tracce di influenze esercitate dalla antica civiltà egizia su quella nuragica della Sardegna. E queste sono innanzi tutto influenze di carattere religioso. L’esistenza in Sardegna del culto di Osiride, importante dio egizio, è dimostrata sul piano archeologico dal ritrovamento di una statuetta lignea in un pozzo nuragico di Olbia, nonché d due bronzetti che raffigurano questa divinità con le caratteristiche rituali ed iconografiche dell’arte egizia che sono state riportate all’epoca saitica (663-525 a.C.). Oltre quello di Osiride è sicuramente documentato nella Sardegna antica il culto delle divinità paredra Iside. Sono stati infatti rinvenuti almeno tre bronzetti che rappresentano Iside seduta, che allatta Horos ed ha sul capo le corna col disco solare in mezzo, secondo una raffigurazione classica che è comune alle numerose statuette di questa divinità, che si trovano in tutti i musei egizi. E pure una testina di donna o di dea raffigurata in un bronzetto nuragico frammentario presenta le corna col disco solare in mezzo. La raffigurazione di Iside che tiene in grembo Horos è in maniera chiara l’antecedente iconografico e storico dei numerosi bronzetti sardi che presentano una dea ‘kourotrophos’, che cioè ha in grembo un bambino per allattarlo. Inoltre presso Nulvi è stato trovato un frammento di testa di Iside in bronzo, che è stata definita di ‘purissimo stile egiziano’. Infine la figura di Iside è incisa su un rasoio in bronzo di carattere votivo. Il culto di Iside è sicuramente continuato in Sardegna in epoca romana, come dimostrano i templi che le erano dedicati a ‘Sulci’ (= S.Antioco), a ‘Turris Libisonis’ (= Porto Torres), a ‘Tibula’ (= Castelsardo) ed a ‘Karalis’ (= Cagliari). Sino a un cinquantennio fa in qualche villaggio della Sardegna interna era ancora usato come strumento sacro, in occasione di nozze e perfino nella settimana santa, il sistro, che notoriamente era tipico del culto di Iside. Anche del figlio di Osiride e Iside, Horos-Apocrate, è stato trovato in Sardegna un bronzetto, che ne dà una raffigurazione secondo la tipologia classica degli Egizi: corona ‘pshent’ col serpentello frontale, braccio destro sollevato per appoggiare l’indice della mano alla bocca, gamba sinistra avanzata rispetto alla destra. Di un’altra divinità esclusivamente egizia, il nano Bes, sono state trovate in Sardegna ben sei grandi statue di pietra e almeno due piccole di terracotta. Il culto egizio del toro divino Apis trova riscontro nella Sardegna nuragica nell’analogo culto del dio Toro. La ideologia funeraria degli Egizi, che concepivano il regno dei morti come il ‘mondo dei capovolti’, trova puntuali e stringenti riscontri sia in numerose raffigurazioni tombali della Sardegna antica, sia in una usanza in auge fino ad un cinquantennio fa nella Sardegna agro-pastorale, quella dei vedovi e delle vedove di indossare al rovescio il corpetto del costume in segno di lutto. Ancora in Sardegna e soprattutto a Tharros sono state trovate migliaia di scarabei, di amuleti e di occhi mistici di caratteristica e fattura egizia, nei quali sono rappresentati tutti gli dei del ‘pantheon’ egizio: ‘Osiride, Iside, Horus, Bes, Hator, Anubis, Shu, Sekhmet, Tueris’. A proposito di Tueris, la ‘dea-ippopotamo-, potrebbe essere molto significativa la denominazione di un nuraghe di Perdasdefogu: sa Domu de s’Orcu Tueri = ‘la casa dell’Orco Tueri’, in cui probabilmente si constata lo scadimento della divinità egizia al livello demoniaco, secondo un procedimento che si è verificato un po’ dappertutto con l’avvento del Cristianesimo. Inoltre in Sardegna anche una grotta porta il nome di Tueri; e si sa che dappertutto le grotte profonde sono state nel passato ritenute essere in comunicazione con il mondo sotterraneo dei morti”.