di Giorgio Valdès Nel suo libro “Atlantide Sardegna”, Paolo Valente Poddighe riporta l’immagine di una placca in steatite, rinvenuta a Tharros, che ritrae gli dei Amon, Mut e Khonsu. Come sempre il reperto fu classificato egittizzante, benchè sia più probabile una sua origine egizia ed una datazione risalente alla XIX dinastia ramesside (1295 -1188 a.C.). Siamo nel periodo in cui, come sostenuto anche da Giovanni Ugas, gli “Shardana erano un popolo egemone nel Mediterraneo occidentale, nel quale esercitano una leadership militare di lungo periodo, dal 1500 al 1200 e oltre avanti Cristo”. Il ritrovamento di Tharros non deve perciò sorprendere, se si assume che gli shardana, assimilati sempre da Ugas ai sardi nuragici, intrattenevano costanti rapporti con l’Egitto faraonico, ed anzi molti di essi svolgevano il compito di guardie scelte del faraone Ramesse II il grande. Dal canto suo Paolo Bernardini scrive nel suo libro “Le torri, i metalli e il mare” che “alle fasi conclusive del XV sec. a.C. riportano le più antiche testimonianze della presenza dei Micenei in Sardegna”….” Nel Golfo di Oristano, presso gli accoglienti approdi della penisola del Sinis, dove in seguito nascerà l’insediamento fenicio di Tharros, questi naviganti hanno portato le loro ceramiche già intorno al 1400 a.C.”…”In seguito tra il 1300 e il 1050 a.C. (…) lo spessore dei contatti con i naviganti di cultura micenea è molto chiaro: le coste sarde, dell’arco meridionale del Golfo di Cagliari agli approdi sud-occidentali del Capo di Pula e del golfo di Palmas, dal profondo golfo nord-occidentale di Alghero agli scali orientali delle coste di Orosei, sono meta di naviganti egei che interagiscono vivacemente con le popolazioni locali”. Non mi è molto chiaro cosa significhi interagire vivacemente, trattandosi di una dizione che fa pensare o ad un’attività commerciale “effervescente” o a un rapporto piuttosto conflittuale. In ogni caso mi sorprende non poco la teoria di Bernardini riferita alla diffusa presenza di micenei a Tharros e quindi di mercanti egei lungo gran parte delle coste isolane, proprio nello stesso periodo in cui gli shardana presidiavano il mediterraneo esercitando la leadership di cui parla Ugas. Le alternative sono almeno due: o i nuragici-shardana avevano sottoscritto una sorta di accordo con le popolazioni orientali, consentendo loro di raggiungere la Sardegna e svolgere le loro attività commerciali sotto controllo, o erano stati invece gli shardana ad acquisire ad oriente, non si sa se con le buone o con le cattive, il materiale miceneo, egeo ed egizio successivamente rinvenuto in Sardegna. In un modo o nell’altro è assai probabile che la placca di steatite di cui si è riferito in premessa sia proprio di provenienza egiziana e si possa quindi aggiungere alle altre centinaia di amuleti rinvenuti nell’isola, diversi dei quali richiamano il culto amunico. E’ altrettanto interessante osservare come la triade formata dal dio solare Amon, dalla sua sposa Mut e dal figlio Khonsu fosse originariamente adorata a Tebe (la triade tebana), mentre Amon fu probabilmente introdotto in Egitto dagli Hyksos e corrisponderebbe alla divinità orientale Jehova / Yahweh. Qui le cose si complicano perché come segnalato anche da Salvatore Dedola nel suo libro “I cognomi della Sardegna”, i sei sovrani Hyksos di cui si ha menzione e che regnarono sull’Egitto tra il 1730 e il 1530 a.C. portandovi la tecnologia del bronzo e l’uso della ruota: Salitis, Seshi, Jacobher, Khayan, Apopi/Awserra, Khamudi/Arkhles/Ashera, hanno tutti corrispondenti nei cognomi sardi: Salis/Salidu, Cixi, Giacobbe, Chiano/Ghiani, Puppa/Inserra/Serra/Serrau, Arca/Arche/Asara/Azara. Per altro verso, secondo l’etruscologo Marco Giulio Corsini, gli shardana (e quindi secondo Ugas i nuragici) avevano come unico dio proprio Yahweh , il Giove degli eserciti che a Roma diverrà la divinità superiore alle altre. Insomma, gli elementi di riflessione sono tanti e sarebbe certamente interessante capire qualcosa in più sui legami che univano la civiltà sarda con quella espressa dagli altri paesi mediterranei, quantomeno nel corso di gran parte dell’età del bronzo.