di Giorgio Valdès
In una sua interessante pubblicazione, “Il Popolo di Bronzo”, Angela Demontis ha minuziosamente analizzato numerosi bronzetti di guerrieri, sacerdoti , sacerdotesse e personaggi comuni, riproducendo altrettanto minuziosamente, in misura reale, il loro abbigliamento, le armi, le acconciature e gli oggetti che ad essi si accompagnavano. Tra le figure indagate e riprodotte è sicuramente singolare quella del guerriero dalle lunghe corna che, se non vado errato, è conservato nel Museo Archeologico di Firenze.
In occasione della mostra tenutasi nel 2010 presso il Museo Archeologico di Cagliari, era stato pubblicato, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Cagliari, un libretto che forniva diverse informazioni sui singoli personaggi riprodotti in scala naturale ed esposti nelle sale del museo. A proposito del succitato guerriero, Angela Demontis scriveva tra l’altro: “…la mano sinistra impugna un lungo stocco costolato, le gambe protette da schinieri elaborati con allacciature in cuoio. Con la mano destra regge uno strano bastone angolato, qui realizzato in legno di castagno. Questo tipo di arma somiglia ai ‘bastoni da lancio’ utilizzati negli antichi eserciti egizi. L’arma, chiamata ‘amat’, quando veniva lanciata compiva un’orbita parabolica ma non tornava indietro come invece fa il boomerang. Questi singolari tipi di armi sono ritratti in affreschi tombali egizi risalenti al 1930 a.C. (tomba di Amenemhat, XII dinastia-Beni Hasan) e sono state trovate nel corredo funerario di Tutankamon (XIII dinastia) datate al 1340 a.C.. L’arma però poteva avere anche un altro utilizzo, impiegata come mazza da combattimento. Data la sua angolatura consentiva di colpire dietro lo scudo l’avversario (aggirando le protezioni), oppure di agganciarlo alle gambe in modo tale da farlo cadere a terra per poi finirlo. L’utilizzo di armi da lancio era diffuso anche presso altre popolazioni come quelle del nord Europa, come citato in alcuni testi antichi: Ovidio, Metamorfosi (681) ‘…l’uso di quest’arma è ancor più stupefacente della sua bellezza. Insegue il bersaglio, in una corsa che non è guidata dal caso, e torna al volo al punto di partenza, insanguinata, da sola’; Virgilio, Eneide (VII, 741) che ne attribuisce l’uso alle popolazioni germaniche ‘…sono abituati a lanciare la cateia, alla maniera dei Teutoni…”.
Sin qui quanto scritto da Angela Demontis. A parte qualche “svolazzo” fantasioso di Ovidio, l’arma rappresenta sicuramente un elemento interessante proprio per la sua presenza sia nelle raffigurazioni e nei corredi tombali dell’Egitto, sia in alcuni elementi della bronzettistica sarda.
A proposito di quest’oggetto, l’egittologa Maria Carmela Betrò (“Geroglifici”) fornisce altre importanti informazioni, asserendo che il termine geroglifico ‘amat’ con cui veniva indicata (T-14 della lista Gardiner), è anche il determinativo che qualificava “tutti i nomi di popoli e terre stranieri”. Sempre la Betrò osserva al proposito che “…l’età storica identificò in esso essenzialmente l’arma tipica dei popoli seminomadici della Libia e associò a quell’etnico il geroglifico”. Se si considera che secondo la tradizione riferita da Pausania i primi stranieri passati nell’isola di Sardegna furono Libi condotti da un Sardus e che essi si fusero con gli indigeni, potrebbe allora ipotizzarsi che siano stati propri i Libi a fare da “trait d’union” tra la Sardegna e l’Egitto.
La connessione tra il bastone da lancio e le popolazioni straniere si rileva anche in una riproduzione grafica di un rilievo parietale di Medinet Habu, dove sono raffigurati due “prigionieri di guerra simbolici che rappresentano due popoli del mare affrontati da Ramses III” (Hilary Wilson “ I segreti dei geroglifici”). I due prigionieri del faraone, che regnò tra il 1197 ed il 1165 a.C., sono inequivocabilmente uno Shardana e un Teucro, non solo per le tipiche acconciature, ma perché nelle scritte geroglifiche che accompagnano le loro figure è scritto rispettivamente “sha-a-r-d-a-n-a” e “ta-ka-r-y”. In entrambe, come evidente, appare il bastone da lancio. L’iscrizione che fronteggia lo Shardana riporta in particolare, oltre il suo nome, la dizione “pa-y-a-m-w”- (parte bassa della scritta) con cui gli egizi erano soliti nominare i Popoli del mare, oltre il citato bastone da lancio e infine il simbolo delle terre montuose e la greca indicativa dell’acqua, cioè di una terra ricca di rilievi e circondata dall’acqua.