La misteriosa porta/ finestra delle Domus de Janas (mlqrt)
In tantissime Domus de Janas del neolitico, le piccole o grandi case multiistanza scavate nella roccia dai sardi per i loro riti funerari, è possibile osservare una porta o una porta e più finestre, e talvolta una falsa porta o una falsa finestra all’interno dei meandri. Lo scopo di queste ha un significato ben preciso tant’è vero che nelle tombe etrusche, due millenni dopo questo espediente viene riproposto,
Per quanto riguarda gli etruschi Plutarco scrive: “Chiamano una delle porte della città Thurís (questo infatti significa fenestra) e presso di essa c’è la cosiddetta camera della Fortuna. Perché? Forse perché il Re Servio, che fu molto fortunato, ebbe fama di incontrarsi con la Fortuna che gli faceva visita attraverso una finestra. Oppure questa è una favola; e invece il luogo ebbe tale denominazione dopo che, alla morte del Re Tarquinio Prisco, sua moglie Tanaquilla, donna saggia e regale, sporgendosi da una finestra si rivolse ai cittadini e li convinse a proclamare Re Servio”.
A tal proposito precisa Renato del Ponte (centro studi La Runa): <Come i defunti, gli sciamani nel loro viaggio onirico debbono attraversare un passaggio pericoloso, dal momento che, come la morte, lo stato estatico comporta un “mutamento”. La finestrella che mette in comunicazione due mondi: quello, sovrumano, di Fortuna, e quello, terreno (ma volto ad una condizione apparentemente superiore all’ordinaria degli uomini normali, cioè alla funzione regale) di Servio Tullio, ricorda proprio la paradossale situazione di certi sciamani o degli eroi di certi miti riferita da M. Eliade. Essi debbono passare per dove “notte e giorno s’incontrano” [si tenga qui presente il legame tra Fortuna e la Luna], trovare – appunto – una porta in un muro “o salire in cielo attraverso uno spazio che si apre per un attimo, o passare fra due macine in continuo movimento, fra due rocce che ad ogni istante si rinserrano, fra le mascelle di un mostro e via dicendo” Sono, queste, immagini mitiche esprimenti la necessità di trascendere i contrari – ha sottolineato A. Coomaraswamy – di abolire la polarità che caratterizza la condizione umana: “Colui che vuole trasportarsi da questo mondo nell’altro, o tornare a questo, deve farlo «nell’intervallo» unidimensionale e atemporale che separa forze apparentate ma contrarie, attraverso le quali si può passare solo fulmineamente” Chi riesca a realizzare questo passaggio si può dire che abbia superato la condizione umana: lo “sciamano” o “eroe” Servio lo ha fatto, sfidando la sorte degli uomini. Congiungendosi – per mezzo della stretta finestra – con la dea Fortuna, ha regnato con successo su Roma per 44 anni, ma ne ha anche pagato il fio sulla svolta del Clivus Urbius, là dove il cocchio di Tullia farà a brani le spoglie del suo cadavere sanguinoso: e vien qui da pensare alla funzione che proprio il cavallo riveste nella mitologia del rituale sciamanico.”>