di Antonello Gregorini
Caro Direttore Muroni La carenza di salvaguardia del sito di Monteprama è lo specchio della trascuratezza generale che le Istituzioni hanno avuto nei riguardi del patrimonio archeologico pre-nuragico e nuragico della Sardegna.
Non è la prima vicenda di questo tipo e, purtroppo, non sarà l’ultima. Nei mesi scorsi abbiamo visto cosa è accaduto per la Domus de Janas di Sa Pala Larga, lo stato di Mandra Antine di Thiesi, il bombardamento dei nuraghi di Teulada e Capo Frasca,l’abbandono del villaggio di Seruci a Gonnesa, … e potrei continuare l’elenco riempiendo l’intera pagina, ma ovviamente evito. Le città d’arte italiane vivono prevalentemente di turismo, Pompei è visitata da milioni di persone ogni anno provenienti da ogni parte del mondo. Forse la Sardegna con le sue testimonianze preistoriche è da meno? Non potremmo anche noi migliorare la nostra economia valorizzando questo patrimonio? E perché non lo si è mai fatto? E’ solo ignoranza? Trascuratezza? Colpa di noi sardi che non abbiamo mai curato le nostre “pietre”?
Il milione di euro stanziato dalla Giunta regionale e presentato come un programma di sviluppo del turismo archeologico a noi appare risibile. Così come incomprensibili appaiono le dichiarazioni che pongono gli scavi al centro dei cosiddetti programmi di rilancio. Così come le dichiarazioni di ieri che asseriscono l’esistenza di una salvaguardia sufficiente per Monteprama. Non basta e forse non serve scavare. Ciò che emerge è già grandioso e molti degli scavi sin qui fatti non sono mai stati neanche pubblicati, a causa di un neghittoso regolamento che pone una sorta di alone misterico o consente una scarsa trasparenza di tutte le procedure burocratiche connesse a questo mondo.
Vogliamo parlare di un serio progetto che veda la Civiltà Sarda al centro dell’immagine della Sardegna nel mondo che consenta di poter offrire attrazioni ed emozioni turistiche per tutto l’anno? Questo non può che partire dal censimento; dalla strutturazione di itinerari facenti capo a una rete di guide e accompagnatori capaci di emozionare il visitatore; dall’apporto di tutto il popolo sardo e di tutti gli enti locali supportati dalla Regione e dallo Stato.
L’emozione non è mitopoiesi ma il prodotto che tutti i turisti del mondo vogliono provare quando operano le loro scelte. Piuttosto è vero che la mitopoiesi è autopoietica (la genesi del mito è autopropulsiva) e genera scambi e ricchezza. Gran parte degli elementi di base già esistono e la nostra Fondazione, con tutti i limiti dell’azione del volontariato spontaneo, sta tentando di stimolarne l’evidenza. Non siamo martiri del nazionalismo e abbiamo famiglia e lavoro da accudire, ma un po’ di passione e tempo e giusto dedicarlo alla storia patria. O no?