di Giorgio Valdès In un precedente post (http://www.nurnet.it/it/1390/Cumbiss%C3%ACas_e_incubazione.html) si era introdotto l’argomento dell’incubazione, pratica che si racconta fosse in uso presso le popolazioni nuragiche -in merito alla quale hanno riferito diversi autori come Alberto Della Marmora, Ettore Pais, Raffaele Pettazzoni e Massimo Pittau-, proponendo alcuni brani degli interessanti scritti di Dolores Turchi. Sempre in merito alla pratica incubatoria, la Turchi osserva inoltre “che le salme erano imbalsamate; ma perché tali eroi restassero integri e incorrotti dovevano non solo trovarsi entro templi, notizia già fornitaci da Tertulliano, ma essere anche custodito. Vari studiosi hanno ipotizzato che questi eroi fossero deposti nelle tombe di giganti e che l’incubazione avvenisse nell’esedra di queste. A un’attenta riflessione sorgono però delle difficoltà di ordine praticato che urtano tale ipotesi. Se gli eroi fossero stati sistemati all’interno delle tombe di gigante, ben difficilmente si sarebbero potuti vedere come “dormiente” e osservare l’integrità dei loro corpi, data l’oscurità e la difficoltà a penetrarvi. Inoltre coloro che andavano a incubarsi sarebbero dovuti restare all’aperto, nell’esedra, come alcuni sostengono, e ciò avrebbe comportato difficoltà ancor più grosse a causa del sonno che durava cinque giorni. La durata non sorprende visto che anche oggi certi disturbi mentali si curano col sonno. Riesce però difficile credere che un sonno talmente lungo potesse farsi all’aperto, senza essere molestati da animali nocivi (cinghiali, avvoltoi, insetti velenosi) o da vicissitudini atmosferiche che, più che risanare, avrebbero, avrebbero procurato danno al fisico dell’incubato. Pertanto, l’esedra della tomba di gigante, ove certamente si svolgevano i riti funebri collettivi per la commemorazione dei defunti, risulta del tutto inadeguata per una terapia incubatoria. Pare più logico supporre che il luogo più idoneo per un simile rito fosse il nuraghe. Aggiungiamo inoltre che la tomba di gigante è una tomba collettiva (in qualcuna si sono trovati fino a sessanta scheletri), situata quasi sempre vicinissima al nuraghe e quasi certamente destinata alla sepoltura della classe egemone del villaggio oppure ai discendenti del capo tribù che invece riposava entro il nuraghe-mausoleo. In questo caso pare più verosimile l’incubazione, favorita dalla penombra del monumento in cui erano esposte le spoglie, ben visibili, dalle eroe imbalsamato che pareva dormiente. Il luogo ben si presentava ad un sonno di parecchi giorni. Tale sonno richiedeva sicuramente l’assunzione di particolari sostanze soporifere in cui si è perduto il sapere nel corso dei secoli. Simili conoscenze della farmacopea non dovevano comunque essere di tutti. I nuraghi dove si praticava l’incubazione erano con tutta probabilità custoditi da quei sacerdoti e sacerdotesse che ci mostrano i bronzetti le cui conoscenze dovevano essere di tipo sciamanico, a giudicare dai sistemi terapeutici e oracolari in rapporto con mondo dei defunti. Costoro, oltreché essere i depositari di un antico sapere, erano anche gli intermediari tra il mondo dei vivi e quello dei morti, sia per quanto riguardava le guarigioni che per la divinazione. Per ottenere un sonno prolungato, quasi comatoso, si servivano probabilmente dell’essenza di alcune piante nepentacee e di alcuni fungi fimicoli che in Sardegna si trovano facilmente. Naturalmente tale sonno, abbinato al digiuno prolungato, portava una forte debilitazione dell’organismo. Al paziente in stato di incoscienza, ai primi sintomi di risveglio, bastava far assumere ulteriori dosi di certe sostanze perché ripiombasse nel sonno o in uno stato di trance. E’ molto verosimile che gli incubati fossero controllati da esperti che si servivano anche di sistemi ipnotici per portare all’annullamento della persona attraverso la regressione fino alla nascita, per poi ricostruire l’identità dell’individuo eliminando paure ed ossessioni. Questa pratica, usata oggi dal alcuni psichiatri, era ed è utilizzata da molti sciamani. Solino ci parla di alcune donne con doppia pupilla, che esistevano in Sardegna: “nella Scizia vi nascono donne che sono chiamate bithiae; queste hanno negli occhi pupille doppie e annientano collo sguardo chi per avventura guardassero irate. Queste si trovano anche in Sardegna”. Potevano essere queste le sacerdotesse che praticavano l’ipnosi come cura. La doppia pupilla sarebbe il ricordo trasfigurato dello sguardo intenso, ipnotico cui ricorrevano per certe terapie, quasi annientando il paziente sotto il loro potere e obbligandolo a chiudere gli occhi e a rilassarsi per poter regredire nel tempo, magari solo fino al momento in cui era incorso nel trauma. E’ importante che Solino c’informi dell’esistenza di queste donne anche nella Scizia, terre dove lo sciamanesimo era assai praticato. Pare opportuno a questo punto riferire le esatte parole di Aristotele quando accenna all’incubazione in Sardegna, perché la pratica di cui si è parlato pare di poterla intuire dal suo passo: “L’esistenza del tempo non è neppure possibile senza quella del cambiamento; quando infatti noi non cambiamo niente entro il nostro animo o non avvertiamo di cambiare, ci pare che il tempo non sia trascorso affatto: la stessa sensazione dovrebbero provare quegli uomini addormentati in Sardegna, secondo la leggenda, accanto agli eroi, qualora si destassero: essi infatti accosterebbero l’istante in cui si assopirono con l’istante in cui si sono destati e ne farebbero una cosa sola togliendo via, a causa della loro insensibilità, tutto ciò che è intercorso”. Tertulliano, riferendosi al rituale sardo di cui parla Aristotele, lo definisce opera dei demoni. E’ possibile che egli fosse a conoscenza di come in Sardegna si svolgeva il rito incubatorio, probabilmente ancora in uso ai suoi tempi. Nell’immagine: il nuraghe Ola di Oniferi in una foto di Nicola Castangia