L’Isola che non c’è – 4

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di Giorgio Valdès
Qualche giorno fa, nel post titolato “L’isola che non c’è – 2” si era riportata l’ipotesi ventilata da Widmer Berni e Maria Longhena nel libro “Una Nuova Preistoria Umana –Ipotesi inedite sull’origine della Civiltà”, secondo i quali occorreva comprendere, senza preconcetti, se circa all’inizio del XII secolo a.C.“ o giù di lì, un corpo celeste precipitato nel Mediterraneo avesse potuto generare una terrificante pioggia di fuoco seguita da un’onda anomala capace d’invertire la corrente del Nilo e lo “spaventoso tsunami” che, secondo gli autori, fu la causa del successivo esodo dei popoli.
Come già accennato, occorre al proposito esaminare le testimonianze scritte dell’epoca – diverse delle quali, di regola tratte da fonti egizie, sono riportate nel libro di Berni e Longhena-, ma anche interpretare senza pregiudizi le leggende che accompagnano le vicende storiche del periodo, per comprendere se e quanto ci possa essere di vero o di verosimile in questa presunta immane catastrofe, forse originata dalla caduta in mare di un corpo celeste, che a sua volta determinò uno spaventoso tsunami e il successivo esodo di tanti popoli.
L’ipotesi del corpo celeste precipitato nel Mediterraneo non è nuova, ed è stata tra l’altro esaminata attentamente da Nicola Betti, Luciano Melis e Alessandra Murgia nel loro libro “Il Mare addosso – L’isola che fu Atlantide e poi divenne Sardegna”.
Libro che ha riscosso un notevole successo editoriale ed è corredato dal significativo sottotitolo “Come, quando e perché uno sciame di meteoriti cambiò per sempre il volto del Mediterraneo”.
Cito questo lavoro, per quanto gli eventi descritti possano essere accaduti in periodi diversi, a sostegno della teoria che la caduta di corpi celesti nel nostro mare e i “disastri” conseguenti non debbano essere considerati come eventualità astruse ed inaccettabili.
La parola “tsunami” è a sua volta un tabù in grado di suscitare reazioni esantematiche contagiose nello stuolo dei negazionisti a tutto tondo.
Ne sa qualcosa il giornalista/scrittore Sergio Frau che nei suoi straordinari libri “Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta” e “Omphalos, il primo centro del mondo – Il paradiso che divenne inferno” ha cavalcato con coraggio e determinazione la teoria di uno “tsunami” nel Campidano sardo.
Per tornare alle prove documentali, contenute nel libro citato in premessa , gli autori scrivono che “gli Egizi testimoniano di un evento climatico assolutamente eccezionale che non aveva avuto il suo epicentro in Egitto, né qui si erano mostrati gli effetti più catastrofici.
E’nell’”Haou-Nebout” ad essersi scatenata la furia divina come una sorta di fine del mondo o diluvio universale”.
Nei post precedenti avevamo specificato che il termine ”Haou-Nebout” si riferiva ad una regione insulare o ad una popolazione ubicata nel mare sito all’estremo nord del mondo conosciuto.
Tuttavia, mentre gli autori del libro propendono per un sito non meglio definito dell’Oceano Atlantico, si ha invece ragione di credere che le isole ”Haou-Nebout” fossero saldamente piazzate nel Mediterraneo occidentale.
Questo straordinario evento climatico e riportato in una citazione egizia, così tradotta da Alessandra Nibbi (1923– 2007), illustre archeologa ed egittologa italiana naturalizzata Australiana:” La paura di lui è in tutte le terre e su tutte le pianure perché è Amon che ha creato l’Haou-Nebout . Il suo terrore è localizzato nel Grande Circolo, poiché è Amon che circonda i Nove Archi”.
Il Grande Circolo non è altro che il mare (o fiume Oceano) che circonda i Nove Archi, cioè le nove razze che rappresentano per gli Egizi l’intero genere umano (cfr. post L’Isola che non c’è – 4).
Tuttavia non voglio dilungarmi troppo rischiando di annoiarvi, per cui parlerò nel prossimo post delle prove documentali a sostegno di quanto sinora rappresentato.
Nella foto: “Il Grande Verde” (foto scattata sotto la Sella del Diavolo a Cagliari)