di Giorgio Valdès Il glottologo Salvatore Dedola, che ha partecipato con tutti noi alla festa della civiltà nuragica di Bonorva, oltre ad essere un profondo conoscitore della Sardegna, da lui percorsa in lungo e in largo, è soprattutto un prolifico scrittore che ha in particolare trasfuso la sua indubbia competenza nella ricerca etimologica, confutando assai di frequente la “teoria invalsa per l’orbe terracqueo, secondo la quale la lingua sarda attuale avrebbe origine dalla lingua latina”. A proposito della ricerca etimologica Dedola, nel suo libro “Monoteismo Precristiano in Sardegna”, afferma tra l’altro che l’influsso delle “lingue mediterranee (anche il sumero lo era !) dura ancora oggi. Ripeto, dura ancora oggi, se è vero che persiste nella lingua viva della Sardegna per il 60% del lessico e per molte parti della grammatica. Tutto ciò può essere materia di riflessione da parte dell’”establishment” accademico, oppure quei docenti intendono dare un colpo di spugna al mio assunto?. Ma perché dovrei tacere sugli elementi della civiltà sarda assoggettati dagli studiosi ad omissioni o riduzioni? Queste non sono poche, ed è urgente mettere a posto qualche aspetto. E’ squallore o cos’altro, quello che ha prevalso nella ricerca delle etimologie della lingua sarda? Parecchi “filologi romanzi” (ed anche “glottologi”) rifiutano di considerare il mondo pre-romano della Sardegna come un fruttuoso campo di ricerca. I popoli presenti in Sardegna e nel Mediterraneo prima dei Romani avevano anch’essi una lingua, nota attraverso dizionari e grammatiche; eppure i nostri studiosi guardano all’epoca pre-romana come ad un campo metastorico, come a un pozzo nero nella storia linguistica della Sardegna, a cui propongono il sigillo di “prelatino”, protosardo”, “mediterraneo”, ed altri aggettivi che per loro ammissioni debbono rimanere ignoti, non indagati, incomprensibili, sigillati. Questa situazione è agghiacciante. I nostri studiosi, per scusarsi, sostengono in coro che le etimologie sono state già studiate da Max Leopold Wagner settant’anni fa e che nulla si può innovare in materia, se non in relazione a qualche errore assolutamente raro. E poiché il Maestro sostenne che i termini semitici nella lingua sarda sarebbero appena sette (sic!), gli studiosi postularono l’assoluta inutilità di scavare gli strati preromani. E così da settant’anni si è bloccata la ricerca delle origini. E se Giulio Paulis ha poi intrapreso lo studio di qualche toponimo (“I nomi di luogo della Sardegna”) nonché lo studio delle etimologie delle erbe (“Nomi popolari delle piante in Sardegna”), e perché in quei campi il Maestro non aveva fatto niente. Però l’”ipse dixit” gli ha pesato, talché Paulis ha indagato le etimologie soltanto nel campo greco e latino, incappando in un colossale errore metodologico e riproducendo delle etimologie che in nessun caso (o quasi) corrispondono al vero. Alla base di tali procedure metodologiche sta la situazione di assoluto dominio da cui partono certi accademici della Sardegna. Qualunque non-cattedratico è conscio che l’unico modo di rilanciar gli studi umanistici dell’isola è la creazione di almeno tre cattedre di lingua e cultura semitica (ebraico-aramaico, ugaritico-fenicio, accadico-assiro-babilonese e, se vogliamo, anche una quarta cattedra di sumerico, e magari una quinta di egizio)”…(omissis) “ perché il “Dizionario Etimologico del Sardo” scritto da Max Leopold Wagner è considerato un mostro sacro? E un’altra domanda: perché nessuno studioso ha ripreso in mano il “DES” per indagarlo con cura? Nelle Università sarde ci vuole stomaco d’acciaio a insegnare che la Lingua Sarda incominciò da Roma, senza trovare le ragioni onde il “DES” abbia il 25% di termini non “etimologizzati” (con base ignota contrassegnata da Et.?); un altro 15% incredibilmente inventariato tra le “onomatopee”; un altro 15% di termini sui quali l’Autore opera eleganti by-pass, lasciandoli ugualmente senza etimologia; un altro 20% classificato d’origine catalana, senza accorgersi che buona parte dei termini era già sarda prima di misurarsi con il catalano, e fruiva per giunta delle stesse terminologie semitiche che segnarono tutte le coste d’Occidente. La credibilità di Wagner resta appesa, insomma, a un residuo 25% di lemmi, tra i quali si evidenziano basi catalane, aragonesi, antico-italiane e, finalmente, le basi latine. Di basi latine abbiamo nella lingua sarda, sì e no, un 10%. Wagner ha partorito un topolino”. Queste stesse considerazioni Dedola le ha riportate in altri precedenti scritti: considerazioni che possono ovviamente essere condivise o meno, ma che sono sintomatiche della libertà di pensiero che contraddistingue l’opera di questo studioso sardo.
Nell’immagine: il piccolo agglomerato agricolo di Rebeccu, in agro di Bonorva in una foto tratta dal profilo di Cinzia Olias. A giudizio di Dedola la parola Rebeccu deriva dall’accadico “ramaku”, dal significato di “bagni o terme” probabilmente derivato dalla vicina fonte minerale di Santa Lucia, un tempo adibita pure a bagni termali. A sua volta Santa Lucia tradisce l’antico nome sardo Orgìa, dato alla maga dell’acqua.