Monte ‘e Prama e i suoi tesori

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di Giorgio Valdès

Dei rinvenimenti di Monte ‘e Prama se n’è parlato e continuerà a parlarsene tanto, anche a seguito della ripresa dei lavori di scavo che sicuramente riveleranno altre eccezionali scoperte. Il 21 Giugno 2005, prima degli ultimi ritrovamenti, l’allora sovrintendente Francesco Nicosia, che guidava il lavoro di studio e recupero, rilasciò un’interessante intervista al quotidiano “Il Sardegna”.

Riportiamo qui di seguito, nella sua interezza, l’articolo a firma Renzo Sanna:

Per la prima volta ne parla. Forse perché ora ha qualche certezza, o perché il solo vedere le decine di cassette colme di frammenti del tesoro di Monti Prama lo inorgoglisce. Fatto sta che la ritrosia scompare subito, e la paura di parlare troppo si scioglie, in quel suo accento impregnato di Mediterraneo. E lui, Francesco Nicosia, siciliano, il suo mare lo nomina spesso: “Questa è la scoperta relativa al Mediterraneo più importante del novecento”. E giù speranze, veleni e conquiste di un’operazione che lui vorrebbe faraonica. “Ci vorrebbe un personale numericamente più importante, urgono rinforzi. E queste sono occasioni di lavoro, per una scoperta che io avvicino a quella dei bronzi di Riace”. Detto da chi di quei superuomini rinvenuti al largo della Calabria se ne intende: Nicosia dirigeva l’istituto che si occupò del restauro, oggi parla delle statue sarde come di quelle che allora destarono sensazione. Il Sovrintendente ai beni archeologici, un altro anno alla guida dell’ente, non indulge in particolari, attende la chiusura della ricostruzione, o perlomeno della sua prima fase, e si coccola un centro di restauro all’avanguardia: “ Si, anche se un po’ sguarnito, troppo pochi addetti. Ma a questa velocità tra un anno e mezzo avremo i risultati della ricostruzione fotografica. E allora si capirà la portata della scoperta”. Camicia casual, paglietta civettuola sul capo, Nicosia sembra parlare con l’imponente testa del guerriero nuragico che è alla sua destra, con i suoi occhi inquietanti e le sue dimensioni inconsuete da queste parti: “Questi signori –dice dopo aver accarezzato la guancia del guerriero- stavano lì sospesi tra cielo e mare. Incastonati nella bellezza di Cabras, per fare paura a chi arrivava da ovest. Quanti erano? Non lo so, difficile capirlo dai frammenti. Diciamo una trentina. Ma chissà quanti sono andati perduti, buttati al macero”. Partono le frecciate, velate qua e là da un prudente e caustico “no, questo non lo voglio sapere”. Abbandonato il settimo secolo avanti Cristo, Nicosia torna ai giorni nostri, lascia i grandi soldati nuragici e prova a districarsi nei misteri di una scoperta risotterrata da una trentina d’anni di disinteresse: “Si doveva prevedere la manutenzione” azzarda timidamente, “ma non è mai stata fatta. Chissà perché. Il tutto era accatastato al museo di Cagliari”. Finché la ritrovata collaborazione tra sovrintendenze, più forte di gelosie e campanilismi, e l’intuito di chi la volle, determinarono il trasferimento, non facile e bisognoso di fondi. “Nomi? No, non ne faccio, ma qualcuno evidentemente non ha compreso l’importanza di quei colossi costruiti quando Roma era ancora di là da venire”. La costante resistenziale sarda? Tutto bypassato, ora Nicosia guarda al futuro e sogna un lavoro imponente: “Vorrei che ci lavorassero in tanti, e i giovani sardi sapessero. Certo, se la scoperta l’avessi fatta io avrei agito in modo diverso.