Non solo nuraghi

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di Giorgio Valdès

Nell’Aprile del 2010, in merito alla prevista realizzazione di un museo dei Fenici, lo storico Francesco Casula scriveva tra l’altro che “…Se qualcuno si prendesse la briga di analizzare dei testi di storia – specie quelli scolastici – scoprirebbe  che della Sardegna  non c’è traccia. Della Sardegna  dei Sardi, intendo. Certo, si parla dei Fenici e Cartaginesi  che la colonizzano; dei Romani e dei Bizantini  che la dominano; degli Spagnoli  e dei Piemontesi che  fanno incetta delle sue risorse, riducendola a una provincia  periferica e marginale. Ma la Sardegna nuragica? Cancellata.  La Biblioteca del Quotidiano  “La Repubblica” nel 2005 ha pubblicato e diffuso a migliaia  di copie un volume di  800 pagine sulla preistoria nel  quale nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per  errore…”

Da allora (e non stiamo a disquisire se ciò sia avvenuto un po’ prima o un po’ dopo), grazie soprattutto alla passione ed al “coraggio” di gruppi ed associazioni di appassionati (tra le quali ci permettiamo di annoverare anche la nostra Fondazione Nurnet), che hanno voluto denunciare questo intollerabile stato di cose specie sui “social”, l’interesse nei confronti dell’antichissima civiltà isolana si è pian piano risvegliato.

Tuttavia, come osservava ancora Francesco Casula, “ la xenomania  è dura a morire” e altrettanto difficile da digerire è stata la tesi di una cultura autoctona precedente a quelle fenicio-punica. Riconoscere che gli oltre settemila nuraghi disseminati lungo l’intera nostra regione dovevano necessariamente rappresentare l’emblema concreto di una cultura di regola taciuta o quantomeno  banalizzata, non è stato comunque facile. Anzi, l’evidenziazione di questa incontrovertibile realtà, ha seguito e dovrà continuare a seguire un percorso irto di ostacoli: dai libri della scuola dell’obbligo, che sorvolano o appena accennano al periodo nuragico ed alle sue sterminate testimonianze, alle pubblicazioni di alcune primarie case editrici nazionali, in cui dei nuraghi a volte è presente un breve richiamo o addirittura manca la benché minima menzione.

Tuttavia, se “il destino del periodo nuragico” è stato perennemente infausto, lo è stata ancor più l’epoca in cui, intorno al IV millennio a.C., in pieno neolitico, i nostri antenati edificarono le così dette domus de janas. Migliaia di straordinarie e per certi versi misteriose sepolture, che per numero e spesso per qualità architettonica meriterebbero, così come per i nuraghi e per le altre manifestazioni monumentali del nostro più remoto passato, un’adeguata attenzione ed un risalto mediatico a livello mondiale. 

A questo proposito, riportiamo per intero l’editoriale annesso all’ultimo numero del bimestrale “Archeologia Viva” (dove è tra l’altro pubblicato un lungo articolo sulle domus de janas, corredato da diverse immagini e schede tecniche), con le interessanti considerazioni del suo direttore Piero Pruneti:

<<Diamo spazio su questo numero a un aspetto archeologico-monumentale della Sardegna poco noto o, perlomeno sottovalutato, ritenuto un patrimonio culturale “minore” in quella che prima di tutto è nota come “isola dei nuraghi”. Le domus de janas –forse anche per questo nome un po’ “leggero” che è stato loro attribuito in passato dalla fantasia popolare e che ormai rimarrà per sempre- sono invece espressione di un momento “forte” del passato sardo, in un periodo in cui le torri nuragiche non erano state neppure immaginate. E’ una cultura fiorente e raffinata quella che esprime questo tipo di struttura sepolcrale. La documentazione che pubblichiamo –realizzata da sardi che amano la loro terra- non lascia dubbi sulle capacità di progettazione degli “architetti” dell’epoca che, al pari dei loro colleghi di ogni fase culturale dell’isola, hanno avuto comunque una fortuna: poter disporre di un ambiente naturale caratterizzato da bancate rocciose di ottima qualità, capace di provocare la loro fantasia di costruttori e al tempo senso di assicurare la durata dei manufatti nei millenni a venire. Direi che, come si parla di “civiltà dei nuraghi” dovremmo cominciare a parlare anche di “civiltà delle domus de janas” per questa dimensione monumentale che caratterizza un segmento altamente significativo della preistoria sarda e che esprime un particolare modo degli antichi sardi di approcciarsi ai loro territori. Dobbiamo immaginarci le tante comunità prenuragiche disseminate sull’isola –in apparenza atomizzate e invece in rapporto sinergico- che in queste sepolture hanno un punto di riferimento per il loro modo di concepire la vita e la morte, dunque per il loro orizzonte ideale. Le domus de janas non godono di ottima salute. Sono migliaia, dislocate in ambienti rupestri di grane fascino, ma spesso di difficile accesso, esposte all’assalto della vegetazione, minacciate da infiltrazioni e ristagni d’acqua. Sono un grande patrimonio a rischio di cui dobbiamo prendere coscienza >>.

La foto della domus “Su Calavriche” di Orgosolo è di Sergio Melis.