Ramses III e i Popoli del Mare

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di Giorgio Valdès Questo brano riferito alla battaglia tra i contingenti egizi guidati dal faraone Ramesse III e i Popoli del Mare è tratto da un saggio di Oscar Martinez Garcia, scrittore e dottore in filologia: “La testimonianza più eloquente dell’attacco sferrato dai Popoli del Mare all’Impero egizio si trova incisa sulla parete esterna delle mura di cinta del tempio funerario di Ramses III (1184-1153 a.C. circa), a Medinet Habu, sulla riva occidentale del Nilo nei pressi di Tebe. Tra altre scene di repertorio di battaglie combattute dall’esercito egiziano contro nemici esterni quali i Nubiani e i Siriani, campeggia lo scontro tra la figura di dimensioni titaniche dello stesso Ramses III e quelli che dalla lunga iscrizione in geroglifici che accompagna la raffigurazione sappiamo essere i guerrieri appartenenti alla seconda coalizione dei Popoli del Mare che tentarono di invadere l’Egitto, comprendente in questa circostanza gli Shardana, gli Shekelesh, i Danuna, i Peleshet, i Tjeker e i Weshesh. Nel celebrare la sua schiacciante vittoria contro questa seconda invasione dei Popoli del Mare, è lo stesso Ramses III a spiegare come si siano svolti i fatti e a dichiarare da dove provenisse la minaccia contro il suo regno: “ I Paesi stranieri ordirono un complotto nelle loro isole. La guerra si diffuse contemporaneamente in tutti i paesi e li sconvolse e nessuno poté resistere alle loro armi…Un accampamento fu posto in una località di Amor ed essi devastarono e spopolarono quel paese come se non fosse mai esistito. Essi avanzarono verso l’Egitto, con le fiamme davanti a sé”. Proseguendo Ramses enfatizza ancor più il pericolo corso dall’Egitto e sventato solo grazie alla sua abilità di comandante dell’esercito: “Essi si impossessarono dei Paesi di tutta la Terra, con cuore risoluto e fiducioso dicendo: ‘ il nostro piano è compiuto!’”. Poi il faraone passa alla descrizione delle due sanguinose battaglie –la prima per terra e la seconda per mare- che, nell’ottavo anno del suo regno (dunque intorno al 1176 a.C.), gli avrebbero dato una gloria immortale. Così racconta Ramses: “Stabilii il mio fronte nel Djahi, tenni pronti ad affrontarli i principi locali, i comandanti di guarnigione e i Maryannu. Feci approntare le foci del fiume a guisa di vallo fortificato, con navi da guerra, galere e navigli leggeri, che furono completamente equipaggiati, da prua a poppa con arditi combattenti che portavano le loro armi; il fior fiore della fanteria egizia, simili a leoni ruggenti sulle montagne…Di quelli che raggiunsero il mio fronte non c’è più traccia, cuore e anima sono scomparsi per sempre. Quelli che si avvicinarono per mare, furono accolti dal fuoco alle foci del fiume, e un muro di lance li circondò sulla spiaggia. Furono respinti e stesi sulla riva, morti e ammucchiati dalla poppa alla prua delle loro navi. Tutti loro beni furono lanciati in acqua. Ho fatto in modo che i Paesi faccino un passo indietro solo citando il nome Egitto; e quando pronunciano il mio nome sulla terra essi bruciano…”. Ecco quale fu la sorte dei Popoli del Mare secondo quanto afferma Ramses III nel Papiro Harris: Rispedii i Danuna alle loro isole, mentre i Tjeker e i Peleshet furono fatti cenere. Gli Shardana e i Weshes del mare furono resi inesistenti, catturati tutti insieme e portati come schiavi in Egitto come le sabbie della spiaggia”.