Di Giorgio Valdès
Mi siano consentite alcune riflessioni, senza alcuna pretesa di scientificità, ma che mi auguro siano comunque utili per stimolare qualche riflessione.
Le prime due immagini ritraggono un frammento di vaso e un vaso “Ka” della dinastia faraonica 0; la terza immagine è riferita ad un “menhir di Laconi”, la quarta ad uno dei vasi simili rinvenuti nel sito archeologico di Sant’Anastasìa, all’interno dell’abitato di Sardara.
Se i segni incisi su quest’ultimo vaso fossero “mutuati” dalla scrittura geroglifica egizia, sulla sua superficie si potrebbe leggere la parola “rame” o qualcosa di simile.
Difatti i cerchielli solari si traducono nel vocabolo “ra”, la coppa sporgente, sempre in termini geroglifici, si legge “hm” e assume appunto il significato di rame (ma anche di utero), mentre la greca, simbolo dell’acqua, si legge “n”.
Nel vaso di Sant’Anastasìa sono inoltre visibili, nel registro superiore, tre elementi proiettati verso l’alto che potrebbero interpretarsi come tre torri nuragiche (con quella centrale svettante come quella raffigurata nel bronzetto di Olmedo), attraverso le quali penetra la luce del sole (i cerchielli) che dopo aver traversato l’utero materno (la coppa), intercetta l’acqua (la greca), prima fonte di vita.
Le tre torri potrebbero tuttavia raffigurare anche il rovesciato (tridente).
In un modo o nell’altro il significato dell’insieme non cambia, trattandosi di un simbolo della rigenerazione della vita, con il sole (o il rovesciato inteso come anima del defunto), che ritorna nel ventre materno per riunirsi all’acqua primigenia.
Lo stesso concetto è ripreso dai vasi “Ka”, dove il tridente è analogo al nostro rovesciato (con in cima i cerchielli a simboleggiare il sole) mentre, come accennato, la buca con acqua (hm) significa utero e la greca acqua.
Lo stesso si potrebbe dire per i petroglifi incisi sul menhir di Laconi, dove manca il simbolo dell’acqua (pur essendo l’acqua implicitamente presente sotto il terreno in cui tali monoliti/perdas fittas erano piantati).
Tuttavia è presente il rovesciato oltre all’elemento orizzontale, di regola inteso come un (improbabile) pugnale bipenne ma che, per altro verso, parrebbe raffigurare ancora una volta l’utero, trattandosi con ottima probabilità dell’emblema del dio itifallico Amon/Min, divinità androgina che, come tale, racchiudeva in sé i principi sessuali maschili e femminili.
Questo dio, nella forma di “Min-ka-mut-f” o “toro di sua madre”, simboleggiava anche la forza procreatrice e la fertilità e il richiamo al toro, (in Egitto il toro era chiamato “ka” come l’anima dell’uomo), lascia intuire che le corna taurine, presenti in diversi petroglifi spesso contenuti nelle domus de janas, costituissero una metafora della potenza sessuale fecondatrice.
Non solo, ma la protome taurina che appare all’interno del nuraghe S.Barbara di Villanova Truschedu durante il solstizio invernale (“la Luce del Toro” – GRS) raffigura, come si rileva nelle ultime due immagini, anche la sezione di un apparato genitale femminile, analogamente a quanto avveniva nelle rappresentazioni del dio androgino Amon-Min.
Le foto del tempio nuragico a pozzo di Sant’Anastasìa a Sardara sono di Francesca Cossu e Bibi Pinna; quelle del nuraghe Santa Barbara a Villanova Truschedu sono di Francesca Cossu e Marco Cocco.