di Giorgio Valdès
E’ assai probabile che in un lontano passato, come affermano diversi autori, i rapporti tra Sardegna ed Egitto siano stati piuttosto frequenti. In realtà sono svariati gli indizi a favore di una tale teoria. Se si potesse ottenere conferma della provenienza degli Shardana dalla nostra isola, l’esistenza di tali rapporti diverrebbe una certezza, considerata in particolare la copiosa bibliografia geroglifica riferita a questi straordinari guerrieri di un lontano passato.
Tuttavia, accantonate almeno temporaneamente le varie considerazioni sugli Shardana, proveremo ad individuare alcuni degli indizi utili ad attestare le probabili frequentazioni tra le due antichissime civiltà.
Nel suo libro “Atlantide Sardegna” (Atla.Nu.Me. Editrice- 2006), Paolo Valente Poddighe riporta una citazione tratta dai testi incisi sulle pareti del tempio egizio di Edfu in cui si legge: <<L’isola della creazione era il luogo mitico ove ebbero origine l’Egitto e i suoi abitanti. Si credeva che quest’isola fosse sorta dalle acque del caos al tempo della Creazione del mondo e che fosse diventata la prima dimora degli Dei e degli uomini. Si credeva anche che ogni tempio fosse la riproduzione di quest’isola, come luogo di riposo della divinità locale. Molte caratteristiche architettoniche dei templi rappresentano un tentativo di ricreare la fisionomia dell’isola>>.
A sua volta Antonio Bonifacio, ricercatore e specialista in Storia delle antiche religioni, osserva (“Archeologia proibita – Il libro egizio degli Inferi” -2007) che <<il mito più antico della storia egizia, indelebilmente inciso nelle sacre pietre del tempio di Edfu, riguarda proprio le fasi originarie di quella nazione, quello cioè che accadde prima del 3000 a.C., antecedentemente al grande legislatore primordiale Menes: prima del ‘diluvio’ quindi >>.
Lo stesso Bonifacio richiama inoltre il grande egittologo E.A.Wallis Budge, il quale riteneva che le prime dinastie egizie fossero formate da elementi di una razza o cultura venuta dall’Occidente, i cosiddetti “compagni di Horo” (Horo Harakhty), che recavano il segno del primo degli abitanti della terra d’occidente, cioè di Osiride. Questo personaggio mitico viene considerato eterno nei Campi di Yalu, nella terra del “sacro Amenti”, vivente oltre le “acque della morte” localizzata nel lontano Occidente: complesso di idee e dichiarazioni che, sempre secondo Bonifacio, non può evocare altro che una terra insulare.
Al periodo predinastico appartiene tra l’altro la cultura di Naqada II (3200 circa a.C.). Tra le sue più affascinanti testimonianze si annovera una pittura parietale, in merito alla quale avevamo riferito in alcuni precedenti post. Si era al proposito rilevata l’analogia tra le imbarcazioni che vi erano ritratte e un petroglifo inciso all’interno della così detta “tomba delle corna” a Villaperuccio, anch’essa risalente presumibilmente all’inizio del neolitico finale (3200 a.C. circa).
Tale petroglifo è difatti straordinariamente simile alle barche con doppio naos ritratte nel dipinto egizio, ed è tra l’altro dotato di una prua ricurva assimilabile a quella della barca nera, riprodotta nel dipinto egizio.
Inoltre, siccome la cultura di Naqada II si caratterizzava anche per i “vasi con spirali”, non avevo potuto esimermi dal notare la presenza delle stesse spirali in un’altra domus di Montessu.
Tutte queste analogie facevano in definitiva ipotizzare un contatto tra le civiltà faraonica e sarda, risalente alla fine del IV millennio a.C., quando in Egitto si svolgeva il periodo predinastico e in Sardegna la cultura di S.Michele di Ozieri si apprestava a sostituire quella di San Ciriaco. Salvo dover precisare che le domus di Montessu potrebbero risalire ad un periodo ancora precedente (non mi avventuro comunque in un discorso di progenitura per non essere accusato di sardo-centrismo).
Per quanto si riferisce al termine “Amenti”, va osservato che in tutte le culture e professioni religiose esiste il luogo di arrivo delle anime a conclusione della vita terrena. La meta delle anime dei “giusti” è una terra di delizie descritta e nominata in differenti maniere, ma tutte simili al Paradiso cristiano.
Gli antichi egizi la chiamavano Amenti (termine derivante da Imentet, dea dell’occidente e paredra di Amon, anch’esso signore dell’Occidente) ed in essa fiorivano i campi di Yarw/Yalw/Hanw (campi d’erba, di canne, di giunchi), mentre i greci aspiravano di concludere la vita terrena nei Giardini delle Esperidi, nei Campi Elisi o nella terra dei Beati.
In un modo o nell’altro ci si riferisce sempre allo stesso “oggetto del desiderio” che a quei tempi, quando le prospettive di vita erano decisamente più contenute rispetto alle attuali, era sicuramente ancor più agognato.
Ma citiamo anche un interessante commento di una nostra lettrice, Maurina Rosu, in cui considera la similitudine con la parola sarda “ammentu”, che in italiano assume la significativa accezione di “memoria” o “ricordo”.
A proposito dei compagni di Horo, gli Horo Harakhty citati da Budge (chiamati anche Shemsw Hor), è altrettanto importante osservare che nella citata pittura parietale egizia risalente alla cultura di Naqada II, compaiono individui alti, dolicocefali e con i capelli biondi. La ricercatrice Anna Bacchi, osserva al proposito come “negli anni Trenta del secolo scorso, l’egittologo Walter Bryan Emery scoprì a Saqqara resti di individui predinastici dolicocefali con chiome chiare, corporatura massiccia e molto più alti delle genti locali, che associò agli Shemsw Hor”.
E’ curioso rilevare come al culmine della glaciazione Wurmiana (tra il 20 mila e il 10 mila a.C.), ma anche in periodi successivi, giunsero in Sardegna individui dolicocefali provenienti principalmente dai paesi scandinavi, dalla Britannia e dall’Iberia, come peraltro confermato dalla storia antropometrica della Sardegna.
E’ probabile che fossero biondi, e ciò parrebbe in contrasto con il fatto che attualmente la maggioranza dei sardi, salvo diverse eccezioni, presenta capelli scuri. Ma è altrettanto vero che il biondo dei capelli è un carattere “recessivo” e se uno dei due genitori porta il gene del carattere dominante, quest’ultimo prevale. Ed è così probabilmente avvenuto, quando giunsero in Sardegna, forse “l’isola sacra” dell’antichità, gruppi umani stremati dalla carestia, che provenivano dal nord Africa e soprattutto dall’oriente.
Quanto sin qui significato va ovviamente annoverato nella categoria dei semplici “indizi”, che comunque non meritano sicuramente d’essere trascurati o banalizzati, se nutriamo davvero la curiosità di conoscere le nostre origini.
Nell’immagine: la pittura parietale di Naqada II, con indicati i due individui ritenuti dolicocefali, alti e biondi e le barche, tra cui quella nera con prua arcuata e naos, simili ai petroglifi incisi all’interno della “tomba delle corna” a Montessu (Villaperuccio).