Al termine del mandato assembleare, in concomitanza con l’avvio della campagna soci 2019, La Fondazione NURNET propone questo documento riassuntivo e programmatico, con l’auspicio che esso possa essere preso a riferimento per la nascita di un Movimento di opinione che supporti il processo di promozione di un nuovo paradigma storiografico ed economico della Sardegna.
Nel documento si riassumono le ragioni a favore della revisione storiografica; l’elenco sintetico dei limiti delle politiche sin qui perseguite in relazione alla valorizzazione dello sterminato e unico lascito archeologico della Sardegna; i limiti ambientali e giurisdizionali; alcune proposte operative e la dichiarazione di disponibilità della Fondazione.
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MANIFESTO PER UN NUOVO PARADIGMA CULTURALE E POLITICO DELLA CIVILTA’ SARDA
La consapevolezza dell’unicità e centralità della Civiltà Sarda -con speciale riferimento al periodo compreso tra il Neolitico medio/recente e l’Età del Ferro-, ha stimolato, nel settembre del 2013, la costituzione della Fondazione Nurnet. Un sodalizio composto inizialmente da una sessantina di soci che si è prefisso e ancora si prefigge lo scopo precipuo di far conoscere, valorizzare e promuovere tale Civiltà e i suoi sterminati lasciti materiali ed immateriali.
Una Civiltà per lungo tempo sminuita dall’atteggiamento dogmatico, spesso irremovibile e per certi versi incomprensibile, di una parte consistente della comunità accademica e degli operatori di settore.
Oggi, alla luce dei numerosi indizi acquisiti dalle indagini storico/archeologiche, antropologiche e genetiche, rinvenuti nelle fonti letterarie più antiche nonché in quelle più recenti, dagli innumerevoli studi di settore anche di contenuto scientifico o ritenuto tale, dall’interpretazione dei miti e delle leggende che in diversa maniera si ricollegano alla nostra isola, si è andato a delineare uno stato di cose idoneo a suggerire la revisione di molte posizioni del passato, confutandone i capisaldi.
Si propone, qui di seguito, l’elencazione di alcuni degli “elementi” più significativi a sostegno di quanto sinora asserito:
- Dagli studi genetici più recenti (Francalacci, Cucca…) risulta che il DNA dei Sardi è il più simile a quello degli europei preistorici. Ciò significa che la Sardegna, a causa di un lunghissimo isolamento, è una terra che non ha mai subito gli effetti di quelle invasioni totalmente “sostitutive”, assurte a postulato nella gran parte della vigente bibliografia storico/archeologica.
- Da ciò potrebbe dedursi che anche i processi evolutivi della Civiltà Sarda, le tradizioni manifatturiere, l’architettura, la capacità di estrarre materie prime e la loro trasformazione, la navigazione, il commercio, la produzione di utensili, lo spirito religioso e quant’altro, si siano sviluppati all’interno della stessa Isola, o comunque con influssi esterni relativamente moderati.
- I più recenti ritrovamenti archeologici, avvenuti anche e soprattutto all’esterno della Sardegna, consentono di poter affermare che i “I Sardi nuragici navigavano… erano i nuragici che avevano in mano il commercio del rame nel Mediterraneo…” (Lo Schiavo). Ciò ribalta l’assioma contrario, tuttora sostenuto da gran parte della comunità scientifica più titolata.
- Nel suo “Shardana e Sardegna. I popoli del mare, gli alleati del Nordafrica e la fine dei Grandi Regni (XV-XII secolo a.C.)”, il professor Giovanni Ugas, dopo aver presentato e analizzato nel dettaglio un’enormità di documenti, collazionati in quarant’anni di studi e scavi, conclude asserendo che le popolazioni denominate Shardana -centrali nella costituzione di quella coalizione dei così detti “Popoli del Mare” che per tre secoli effettuò “scorribande” nel Mediterraneo orientale-, possano a ragione identificarsi con gli antichi abitanti della Sardegna.
- Nei vari libri di archeologia indipendente ( Scintu, Mura, Maggiolo…), ma anche nelle parole di personaggi internazionali titolati come il rabbino israeliano Gabriel Hagal, paleologo e filologo dell’Università cattolica di Parigi, si afferma che la città e “la terra dei metalli” di Tartesso, richiamate più volte nella Bibbia, fossero un tempo ubicate, con ottima probabilità, nella Sardegna nuragica.
- Le evidenze archeologiche mostrano peraltro una forte antropizzazione della nostra regione già dalla preistoria, come lascia intuire la presenza di un numero sterminato di monumenti dell’epoca, tra i quali si annoverano circa 3500 “domus de Janas”, più di 7000 nuraghi, un numero indefinito di villaggi nuragici, “tombe di Giganti”, dolmen, menhir, pozzi sacri, oltre a strutture adibite al culto e a riti comunitari, alla produzione e commercializzazione di oggetti metallici e/o ad altra destinazione.
- La quantità di manufatti edilizi prodotti dalle genti dell’isola in tali periodi, induce a pensare che essa dovesse essere abitata da svariate centinaia di migliaia di persone.
- Negli studi dei genetisti si parla di una popolazione che già in periodo pre-nuragico poteva stimarsi intorno alle 700 mila unità.
- La scoperta delle statue dei “Giganti di Monte ’e Prama”, obbliga a valutare sotto una prospettiva diversa la capacità e profondità culturale della Civiltà Sarda.
- Davanti a tanta magnificenza non vi sono prove archeologiche sufficienti per dimostrare che i processi evolutivi della Civiltà Sarda non siano stati prevalentemente endogeni.
Nonostante tutto ciò la storia della Sardegna resta al palo:
- Spesso non è neanche citata sui libri della scuola dell’obbligo, o lo è in maniera frammentaria e risibile o, ancora, incentrata sull’immagine di popolazioni barbare, timorose del mare e come tali prive dei più elementari rudimenti di navigazione. Al punto che un autorevolissimo archeologo sardo scrisse che “Nel barbaro Occidente la Sardegna fu tra le province più barbariche”.
- Alla Civiltà Sarda non viene riconosciuta neanche la primazia fra le Civiltà italiche, a favore di una ben posteriore Civiltà Etrusca.
- Nonostante l’evidenza fisica di migliaia di torri e di edifici preistorici di varia natura, nelle Università sarde, cagliaritana e sassarese, non esiste un corso di “architettura nuragica”, e rara è stata l’assegnazione di una tesi sull’argomento. Di conseguenza, ancor oggi, non ci sono certezze non solo sull’utilizzo dei nuraghi, ma neanche sulle tecniche di costruzione utilizzate, se non addirittura sulla funzione di particolari strutture ed ornamenti di finitura (decori aggettanti, parapetti in aggetto…), alcuni dei quali sono solo ipotizzati (cupolini fissi o amovibili…). Enigmi che coinvolgono le stesse “tholoi” nuragiche, spesso prive dei conci sommitali.
- L’uso della scrittura da parte di un popolo che attraversava il Mediterraneo e commerciava con altre genti presso le quali la stessa scrittura è attestata , viene rigettato in maniera categorica dal mondo accademico, nonostante ciò appaia lontano dalla logica induttiva e dal buon senso;
- Poco o niente si sa della navigazione nuragica e le argomentazioni o le sperimentazioni di appassionati non vengono neanche prese in considerazione, se non derise in ambito accademico, mentre all’estero la navigazione nuragica é riconosciuta al punto che gli archeologi scrivono libri su questo tema completamente ignorato dagli archeologi nostrani (cfr. “La Marina de la Cerdeña Nurágica” di Victor M. Ayuso – 2004).
- Ben poco sappiamo, infine, sulla religiosità delle antiche popolazioni sarde e sui loro simboli, di controversa interpretazione: protomi taurine simili alle navi cerimoniali di tradizione egizia; triadi betiliche, false porte; steli di tombe di giganti che sembrano richiamare l’apparato genitale femminile; incisioni interpretate come improbabili pugnali a lame contrapposte, e via discorrendo.
Questo sterminato patrimonio archeologico -diffuso lungo l’intero territorio sardo e accompagnato dai tanti miti e leggende, non è tuttavia in grado di richiamare in maniera adeguata quei flussi turistici che, al contrario, sono attratti da altri siti infinitamente meno ricchi di emergenze archeologiche, ma ben più organizzati sotto il profilo dell’accoglienza, della promozione e più in generale del marketing. Le svariate migliaia di turisti che visitano annualmente il presunto “calendario solare” di Stonehenge, in Inghilterra, composto da monoliti sapientemente riposizionati a metà del ‘900, ne sono l’esempio più eclatante;
- La Sardegna è disseminata di nuraghi, ma anche di costruzioni o interventi edilizi volti alla valorizzazione e fruizione degli stessi, realizzati dal dopo guerra sino ad oggi tramite progetti di sviluppo del territorio di matrice locale, nazionale o comunitaria;
- Non esiste per contro un censimento: delle biglietterie, delle sale conferenze, dei totem e dei locali multimediali, dei ristoranti, delle pizzerie, delle strade e dei parcheggi comunque realizzati a supporto del turismo archeologico o più in generale di quel turismo integrato di cui spesso si parla e che accoppia l’unicità delle nostre emergenze archeologiche alle tante eccellenze che la nostra isola è in grado di proporre al visitatore. Queste strutture di supporto sono tuttavia in gran parte chiuse, a volte inutilizzate o utilizzate per brevi periodi dell’anno se non addirittura obsolete. Monumenti all’incuria e all’incapacità di programmare, allo spreco delle pubbliche risorse ma sicuramente idonei, il più delle volte, a violentare il paesaggio che li circonda. Evidentemente lo schema sin qui adottato, verrebbe da dire, non è quello giusto o, semplicemente, non è funzionale alla Sardegna, alle caratteristiche del suo patrimonio archeologico e alla sua bassa densità abitativa.
- Nonostante ciò gli investimenti della Regione, anche i più recenti, sembrano andare a favore del medesimo, inadeguato schema.
- Nel contempo il patrimonio archeologico appare per lo più abbandonato, diruto, a volte devastato proprio a causa degli scavi archeologici subiti, cui è seguito l’abbandono sostanziale dei vari siti. Molti di questi scavi, lautamente finanziati, non sono neanche pubblicati e non hanno prodotto alcun ritorno per le comunità. Molti dei reperti ritrovati nel corso dei lavori giacciono negli scantinati dei municipi, dei piccoli o grandi musei, e della stessa Soprintendenza, senza alcuna possibilità di utilizzo pubblico.
- Nonostante ciò le stesse norme e i procedimenti burocratici non aiutano la conservazione dei beni. Esistono esempi di nuraghi, edificati su terreni espropriati e addirittura interessati a interventi archeologici, che appaiono sommersi dalla vegetazione e soggetti alla progressiva azione demolitoria delle radici di alberi spesso imponenti. Eppure non è possibile compiere alcuna azione, fosse anche di semplice manutenzione ordinaria.
- L’onesto cittadino, che dovesse ritrovarsi in casa un reperto e che volesse consegnarlo a chi di competenza, teme di incorrere in un probabile, fastidioso procedimento penale, attesa la difficoltà di spiegare le ragioni del suo possesso. Per altro verso, l’eventuale consegna è vanificata dalla consapevolezza che l’oggetto che si intende restituire finirà probabilmente nel buio di un magazzino polveroso, insieme ad altre migliaia di reperti.
- Le imposizioni della Sovrintendenza anche per interventi manutentivi di scarsa rilevanza, unite ad estenuanti e farraginose procedure burocratiche, scoraggiano le amministrazioni comunali e vanificano la buona volontà di tanti privati cittadini che vorrebbero tenere in ordine e valorizzare, anche a fini turistici, i monumenti dei rispettivi territori.
- Mentre nel resto d’Italia, ma più ancora all’estero, vige il concetto di “Archeologia Pubblica” -che come afferma Piero Pruneti, direttore della rivista “Archeologia Viva”, sottrae il bene archeologico da una visione aristocratica e quasi “privatistica”, “riserva” di studio di fortunati addetti, per assegnarlo invece alla società civile che “diventa quella che deve essere: prima destinataria della ricerca scientifica e primo fruitore del patrimonio che gli appartiene”-, in Sardegna tale concetto è rimasto lettera morta, con lo scavo che diviene malauguratamente fine a se stesso, senza alcun ritorno per la società e per le economie locali.
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Il lavoro di valorizzazione del territorio, nella sua componente del paesaggio archeologico, portato avanti dalla Fondazione Nurnet, dai liberi narratori e dagli innumerevoli studiosi indipendenti, è stato a più riprese tacciato di “fanta-archeosardismo”.
Ciò è avvenuto con il beneplacito di personaggi che operano nell’ambito della Soprintendenza, i quali hanno pubblicamente supportato l’azione, delittuosa e diffamatoria, di un anonimo blogger, attualmente rinviato a giudizio anche per questo reato. Costui per quasi un anno ha diffamato svariate persone – studiosi e privati cittadini-, che sostenevano un’idea diversa dal “mainstream” accademico, rivendicando il proprio “diritto d’opinione”, costituzionalmente tutelato.
Esiste un rilevante segmento dell’opinione pubblica che intuisce, o comprende perfettamente quale siano stati i torti che l’archeo-storiografia ha causato alla Sardegna e ai Sardi, con negative ripercussioni soprattutto nei confronti del comparto turistico-archeologico.
A parere di diversi intellettuali e politici, una delle principali cause dei mali che affliggono la Sardegna è il senso di inferiorità che condiziona il sentimento identitario di gran parte della sua popolazione. Ciò ha determinato pesanti risvolti negativi che soffocano l’Isola, concretizzandosi in una diffusa emigrazione, nello spopolamento, nell’abbandono scolastico, in una scarsa capacità reattiva e di innovazione. Ad aggravare questo stato di cose contribuisce l’appartenenza ad una terra sottomessa da millenni, spesso perdente e/o colonizzata da popolazioni e interessi stranieri.
In definitiva, e per estensione, si osserva che l’identità dell’”individuo sardo”, ma anche della stessa Sardegna, non produce positività o valore aggiunto non solo verso l’esterno ma anche all’interno dell’isola, riflettendosi negativamente sull’intera economia regionale.
Nonostante l’evidente inefficienza del “sistema”, regolarmente stigmatizzata dalla pubblica opinione, le istituzioni politiche hanno mostrato e ancora mostrano scarsa sensibilità e tiepido interesse verso l’indispensabile cambio di paradigma e revisione storiografica.
A comprova di quanto appena asserito, può essere sufficiente citare il maldestro tentativo di cambiare la quarantennale e affermata denominazione dei “Giganti di Mont’e Prama” in “Eroi di Mont’e Prama”. Scelta sciagurata e contraria ai consolidati criteri di marketing turistico, ma sostenuta da un sostanzioso finanziamento regionale, pari a circa 240 mila euro di risorse pubbliche, e “scientificamente” gestita dai funzionari della Soprintendenza archeologica della Sardegna.
A ciò si aggiunge l’estromissione, dai cantieri di scavo, delle Università sarde che si sarebbero rese disponibili a reperire risorse finanziarie, a cercare collaborazioni con altri prestigiosi atenei mondiali e soprattutto ad offrire apporti tecnici e tecnologici di grandissima qualità, tramite il coinvolgimento di autorevoli professionisti quali sono in primo luogo i professori Raimondo Zucca e Gaetano Ranieri.
Ricorrendo al metodo “scientifico antropologico” è stato inoltre dimostrato (Fiorenzo Caterini) come l’esigenza di costituzione della nazione italiana e degli “italiani”, abbia a tutti gli effetti comportato l’oscuramento delle altre identità e delle Storie minori. La Sardegna, assimilabile per il suo isolamento ad una vera e propria nazione, è forse la regione italiana che più ne ha subito le conseguenze.
Tale circostanza si è concretata in primo luogo nel disconoscimento e sostituzione dei toponimi originali a timbro “sardofono”, con nomi italianizzati; cancellando in tal modo la memoria storica, identitaria e paesaggistica associata a ciascun toponimo.
Il problema assume evidenti connotazioni politiche, dal momento che i Sardi non hanno giurisdizione sulla didattica storica nelle scuole o, comunque, l’integrazione di tale didattica – che di regola riduce ai minimi termini (o addirittura non contempla) i riferimenti alle Civiltà prenuragica e nuragica – è lasciata alla buona volontà degli insegnanti, i quali paradossalmente devono produrre o procurarsi personalmente il necessario materiale formativo.
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Nei prossimi mesi in Sardegna si terranno le elezioni regionali, e ci auguriamo che i suddetti temi siano oggetto di dibattito e siano compresi prioritariamente nei programmi dei gruppi politici candidati al governo dei prossimi cinque anni.
Non ci pare tuttavia, che le discussioni sinora avvenute abbiano centrato il problema, così come certamente merita.
A parte considerare che Il modello di sviluppo del turismo archeologico, non avendo sinora conseguito i risultati auspicati, deve necessariamente considerarsi inadeguato e quindi superato.
Il finanziamento di piccole e puntuali realtà distrae l’attenzione sull’enorme insieme del nostro patrimonio archeologico e delle narrazioni ad esso intimamente legate: veri ed unici valori da far emergere.
Il modello verticistico, anacronistico e quasi feudale della Soprintendenza, dovrà essere superato a favore di una maggior diffusione del sapere, anche popolare, in cui il potere non limiti lo sviluppo della conoscenza, comprimendo i grandi valori identitari della nostra terra.
La proposta, ormai pluridecennale, di far riconoscere all’Unesco i lasciti del nostro antichissimo passato come “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” –proposta peraltro originariamente suggerita proprio da un funzionario dell’Unione Europea- non ha mai avuto seguito e tantomeno riscosso interesse tra le istituzioni locali, pur trattandosi di una straordinaria opportunità per la nostra isola, specie sotto il profilo mediatico.
La giurisdizione sui Beni Culturali dovrà essere sarda, così come recita lo Statuto d’Autonomia mai effettivamente applicato.
Il nuovo modello, che si auspica possa realizzarsi, dovrà prevedere uno schema “a rete”, in grado di interessare le popolazioni, con particolare riferimento ai residenti nelle aree interne ed ai tanti appassionati che potranno divenire testimoni attivi delle sorti dei rispettivi territori, nonché custodi e cronisti della memoria dei luoghi.
Il progetto da realizzare, di carattere globale, dovrà incidere positivamente proprio su quel nefasto “senso di inferiorità” che grava come un macigno sull’identità e sulle sorti dei nostri corregionali.
Già in passato era stata proposta a tutte le istituzioni una forma di collaborazione che prevedesse l’utilizzo sinergico dei dati in possesso dei vari Enti regionali e locali con quelli provenienti dai cittadini, spesso pubblicati su piattaforme “social”.
E’ stato realizzato, dalla nostra Fondazione Nurnet in collaborazione con il CRS4, un modello di Geoportale interattivo. A questo si è aggiunta una Mediateca, implementabile con decine di migliaia di foto provenienti da fotografi di livello professionale e semi professionale, ma anche da semplici appassionati. Entrambi questi strumenti, per quanto non completi e limitati, qualora gestiti da un numero congruo di operatori di adeguato livello, potranno divenire uno strumento conoscitivo estremamente efficace, a supporto dei diversi target di domanda turistica e del turismo attivo in particolare.
Alcuni anni fa la nostra Fondazione aveva proposto, all’Assessore regionale al Turismo pro tempore, il ricorso ad un sistema di certificazione del territorio che consentisse un mirato e sistematico coordinamento dei finanziamenti e la valorizzazione identitaria dei comuni e dei paesaggi della Sardegna.
Nonostante i tanti complimenti ed altrettante promesse, non fummo più contattati ed anzi fu piuttosto evidente una forma di ostracismo da parte del “sistema” nei confronti del progetto da noi proposto. In effetti non c’è da stupirsi, perché chi esercita potere amministrativo e politico difficilmente può assecondare un programma fondato sulla libertà, e come tale slegato da eccessivi vincoli burocratici e formali.
“Il Potere non ama e limita lo sviluppo del Sapere non controllabile”.
La Sardegna ha bisogno di un modello di trasformazione, innovativo, capace di coinvolgere le popolazioni, che miri al superamento del comune senso di inferiorità e d’impotenza, che prenda spunto dalla Storia e dal suo Patrimonio Archeologico, ma che abbia anche la pretesa di coinvolgere i Sardi, perché “in paris” facciano rete, divenendo i principali attori del proprio avvenire.
La politica regionale ha l’obbligo di redigere tale innovativo modello di crescita, e quindi di proporlo ed implementarlo.
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Per tutti questi motivi noi di Nurnet riteniamo indifferibile la nascita di un Movimento d’opinione e d’azione organizzato, che supporti il processo di promozione di un nuovo paradigma storiografico ed economico.
Movimento che richiederà l’impegno volontario e concreto di tutti coloro che intenderanno condividerlo. Per quanto ci riguarda, la Fondazione Nurnet metterà a disposizione l’utilizzo dei propri sistemi e strutture di comunicazione:
- La pagina facebook, forte di 54.000 followers;
- Il sito internet;
- Gli innumerevoli documenti sin qui prodotti;
- Il Geoportale;
- La Mediateca;
- La Mostra “Civiltà Sarda”;
- Il lavoro volontario dei propri associati;
- Quant’altro disponibile…
Se l’offerta otterrà positivo riscontro, la Fondazione azzererà i propri organi a favore di una fase di rifondazione che vedrà, nell’anno 2019, l’avvio di una nuova campagna soci e la costituzione di una nuova assemblea.
Di seguito tale assemblea sarà convocata per la stesura di un nuovo programma di lavoro e per l’elezione del Consiglio di Gestione, del Presidente e del Vicepresidente.