di Francesco Masia
Sul tema della presenza di scrittura in Sardegna prima dei Fenici, noi semplici interessati, appassionati, al massimo cultori, non avremo comunque autorevolezza per pronunciarci, tra archeologi ed epigrafisti (nemmeno quali aspiranti divulgatori), sulla fondatezza delle diverse tesi in campo.
Sembra però corretto e pure doveroso sostenere l’opportunità che si studino almeno i pur dubbi reperti fittili, come fin qui si è fatto (con la termoluminescenza, 2013) per la sola navicella nuragica di Teti: risultata autentica e con iscrizione ante coctionem (ossia antica quanto il reperto, stimato del IX-VIII a.C.); ciò che ha lasciato spiazzati gli archeologi (nessun epigrafista dell’accademia ha fin qui osato sbilanciarsi sull’attribuzione a una scrittura nota) e che avrebbe dovuto fare in generale più clamore, se la società fosse meglio avvertita.
E per le iscrizioni su pietra?
Delle tante iscrizioni su pietra pure presenti in Sardegna, sempre soggette a essere liquidate come posteriori rispetto al Nuragico, si potrebbe sostenere l’antichità (ante quem) solo quando fossero rimaste “sigillate” fin da un’epoca certificabile antica. Ecco, qui sembra il caso di impegnarsi a diffondere più largamente che proprio questo è emerso almeno in un caso, a oggi. Si tratta delle “incisioni” emerse a Sa Mandra Manna (Tula), che gli archeologi incaricati di renderne conto chiameranno infine, nel 2012, “istoriazioni”, certificate ante XVI secolo a.C.:
“Il MIBAC al Salone del Restauro di Ferrara, un appuntamento consolidato – XIX Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali”, Ferrara 28-31 Marzo 2012, Paola Basoli, Alessio Deroma, Luca Doro, Leyla Maria Saponara
(https://www.academia.edu/2459640/P.Basoli_A._Deroma_L._Doro_L._M._Saponara-Il_mal_della_pietra._Il_restauro_del_complesso_megalitico_di_Sa_Mandra_Manna_Tula-SS)
Ma chi ce ne ha meglio raccontato é stato Salvatore Barrocu, allora Ispettore della Soprintendenza, sorvegliante dello scavo presso Tula avvenuto (si desume da quanto ne ha scritto) non più in qua del 2007.
La rivista online Oubliette Magazine non è mai stata tenera nei confronti delle tesi sulla (presenza di) scrittura in Sardegna prima dei Fenici (e nei confronti dei sostenitori di queste tesi); si registra quindi con una certa sorpresa che i due articoli di Barrocu del 2017 siano stati pubblicati proprio su quel sito
(https://oubliettemagazine.com/2017/02/12/sa-mandra-manna-di-tula-lincisione-piu-spettacolare-della-scrittura-dei-sardi/
https://oubliettemagazine.com/2017/05/21/sardegna-da-scoprire-tula-la-storia-di-uno-scavo-archeologico/).
Entrambi gli articoli, infatti, costituiscono un’esplicita denuncia nei confronti delle resistenze dell’Accademia a prendere in considerazione i dati, a studiarli e interpretarli; denuncia lanciata con ponderazione, quando erano trascorsi già 10 anni dalla scoperta.
Barrocu non può parlare di iscrizioni di tipo alfabetico (come altre presenti su pietra, ceramica e bronzo in età ragionevolmente più avanzate); quelli del cui ritrovamento è testimone sono segni di tipo astiforme, chiusi lì dal XV secolo a.C., ma non è escluso risalenti al 3º Millennio a.C. (o alla fondazione del sito).
Notiamo che lo stesso Salvatore Barrocu scriveva di aver già trovato incisioni simili (possibile scrittura cosiddetta “astiforme”, precedente i più noti alfabeti antichi) in altri 7 siti in Sardegna.
E incisioni su pietra similari, altrettanto antiche, sono documentate in giro per il Mediterraneo e l’Europa.
L’architetta e urbanista Valeria Putzu, studiosa delle antichità sarde (autrice del volume “L’impero dei Popoli del Mare”, Ed. Arkadia 2018), in un gruppo chiuso su Facebook aveva pubblicato il 14/06/2016 (quindi prima degli articoli-denuncia di Barrocu del 2017) un post di comparazione tra un’iscrizione con alfabeto lineare nella Penisola Iberica e l’iscrizione definita coeva di Sa Mandra Manna di Tula: si trattava delle incisioni presenti a Boticojo, vicino a Trujillo (un’area, quella di Trujillo/Caceres, che l’autrice già teneva d’occhio in quanto, spiegava, molto ricca di elementi simili a quelli della cultura sarda e bulgara fin dal Neolitico); iscrizioni di Boticojo datate tra il bronzo antico (2500 – 2000 a.C.) e l’inizio del bronzo medio (2000 – 1750 a.C.); una datazione, se vogliamo, opinabile, fondata com’è sulla datazione delle lame che qui sarebbero, tra il resto, raffigurate (https://chdetrujillo.com/tag/los-grabados-de-boticojo/).
Resta comunque la datazione al XV secolo a.C. per i segni di Sa Mandra Manna (2012).
Di questa eventuale scrittura lineare o astiforme il Prof. Zucca, nel saggio del 2013 “Storiografia del problema della ‘scrittura nuragica’“ (https://www.filologiasarda.eu/files/documenti/pubblicazioni_pdf/bss5/01zucca.pdf), scriveva:
“Un discorso a parte, da affrontare ex novo, meritano i segni astiformi profondamente incisi su elementi strutturali di edifici antichi, quali il nuraghe Losa-Abbasanta, il nuraghe Succoronis-Macomer, ipotizzate iscrizioni da Ettore Pais, Massimo Pallottino e, fra gli altri, da Gianni Atzori e Gigi Sanna. Se per essi (segni astiformi, n.d.r.) rimarcassimo la filiazione da scritture iberiche, in particolare celtiberiche, come sostenuto da Pais, Pallottino e Lilliu, saremmo ricondotti a un ambito cronologico tardivo, non anteriore all’epoca tardo repubblicana (che va dal 133 al 31 o 27 a.C., n.d.r.), elemento che accrediterebbe la pertinenza delle stesse a soldati iberici nell’esercito romano, secondo l’ipotesi di Giovanni Lilliu, estesa alla iscrizione iberica di Karales. Va detto peraltro che almeno in un caso (sequenza di segni astiformi di un concio della struttura naviforme presso il nuraghe Santa Cristina-Paulilatino) è stata proposta da Ferruccio Barreca una interpretazione in ambito corsivo neopunico.”
Ecco: com’è compatibile questa datazione tardo repubblicana (tralasciando pure il neopunico) di queste scritture iberiche (o celtiberiche) con la datazione delle iscrizioni di Boticojo (intorno al 2000 a.C.)? Quanto a Sa Mandra Manna di Tula, invece, concediamo al Prof. Zucca (che non ne parla) di non esserne stato ancora a conoscenza nel 2013; per quanto, se così fosse davvero, sarebbe già rivelatore di una qualche distorsione che l’archeologo di riferimento sul “problema della scrittura nuragica” non venga informato, dal 2007, di questa scoperta (addirittura pubblicata, in qualche modo, nel 2012).
Riprendiamo ancora dal saggio del Prof. Zucca (2013):
“Le nostre attuali conoscenze sulla ‘nascita della scrittura’ in ambito mediterraneo ed europeo attestano il focus dell’acquisizione di codici scrittori, esclusivamente nel settore orientale, da parte delle culture egiziana (intorno al 3150 a.C.), mesopotamiche (fine IV millennio a.C.), ittita (luvio geroglifico), ed egee. (…) L’ipotesi dell’esistenza di ‘protoscritture’ neolitiche ed eneolitiche nel Mediterraneo e nell’Europa continentale, in particolare balcanica (cultura di Vinča), è, generalmente, riconosciuta come non attendibile o improbabile.”
Il Prof. Zucca conclude quindi così (l’ipotesi di protoscritture neolitiche in Europa è non attendibile o improbabile), nonostante in nota citi opportunamente opere di autori su varie posizioni al riguardo [M. GIMBUTAS, Old Europe c. 7000-3500 B.C.: the earliest European civilization before the infiltration of the Indo-European peoples, in «The Journal of Indo-European Studies» (JIES), 1 (1973), pp. 1-20; A. COLIN RENFREW, Before civilization: the radiocarbon revolution and prehistoric Europe, London 1973, p. 186; SH.M.M. WINN, Pre-writing in southeastern Europe: the Sign system of the Vinča culture ca 4000 B.C., Calgary 1981; ID., Pre-writing in Southeastern Europe: the sign system of the Vinča culture ca 4000 B.C., in «American Journal of Archaeology», 88 (1984), pp. 71-72; E. MASSON, L’‘écriture’ dans les civilisations danubiennes néolithiques, in «Kadmos», 23 (1984), pp. 89-123; H. HAARMANN, Writing from Old Europe to ancient Crete. A case of cultural continuity, in «JIES», 17 (1989, ma 1990), pp. 251-275; R. TREUIL, Le néolithique et le bronze ancien égéens, in BEFAR 248, Paris 1983; L. GODART, L’invenzione della scrittura cit., pp. 88-91; J. HOOKER, Early Balkan ‘scripts’ and the ancestry of Linear A, in «Kadmos», 31 (1992), pp. 97-112; A.M. VÁZQUEZ HOYS, Las golondrinas de Tartes- sos (sobre el origen de la escritura), Córdoba 2008.]
Eppure le datazioni di Boticojo e di Tula, oltre alle somiglianze tra queste e altre “iscrizioni” (o incisioni), sembrerebbero suggerire di continuare a ragionarci; perché si coglie che la letteratura accreditata, almeno in Sardegna, registra apparentemente senza problemi come iscrizioni (e quindi scrittura) questi concentrati di incisioni astiformi, purché si parli di una loro datazione diciamo “tarda” (più vicina a noi): andrebbero bene, insomma, quali iscrizioni iberiche o celtiberiche d’epoca tardo repubblicana (ossia dal 133 al 31 o 27 a.C.), o come iscrizioni neopuniche (cioè posteriori alla distruzione di Cartagine, 146 a.C.), purché quindi non più antiche del II secolo a.C.; se parliamo di allora, sembra che nessuno obietti siano piuttosto opera di aratri o di radici o di affilatori di lame, o non siano scrittura perché casuali e incomprensibili.
Se invece si propone possa trattarsi di codici più antichi, allora le stesse obiezioni piovono copiose, da schernenti a offensive.
Ecco, non sembra si debba essere specialisti del ramo per trovare che in questo vi sia qualcosa che non torna.
Infine, sono del 2021 gli atti del 20º congresso dell’International Federation of Rock Art Organizations (IFRAO, organismo di coordinamento di 60 organizzazioni che si occupano di arte rupestre preistorica) tenutosi nel 2018 a Darfo Boario Terme (BS); sessione H2, “L’arte rupestre nella penisola e nelle isole italiane: rapporti tra rocce incise e dipinte, simboli, aree montane e viabilità” (a cura di Francesco M. P. Carrera, Renata Grifoni Cremonesi, Anna Maria Tosatti).
Qui troviamo l’articolo “Incisioni rupestri pre-protostoriche della Sardegna. Una ricerca in corso”, di Francesco Marco Paolo Carrera, Anna Depalmas, Luca Doro e Susanna Massetti (https://academia.edu/resource/work/44901394).
Le conclusioni degli autori sono necessariamente caute, ma gli articoli mostrano che l’accademia considera questi segni e si pone domande aperte su una pre-protostoria da indagare e capire, senza paraocchi.
«Benché il lavoro di censimento di queste manifestazioni incisorie sia ancora in fieri e non si possa prescindere da una eventuale lettura come manifestazioni cultuali o rituali di cui attualmente sfugge il significato (tra le pratiche rituali si può citare lo “sminuzzamento” della pietra, considerata sacra, a scopo taumaturgico, rito praticato in gran parte dell’Italia), è possibile fare alcune considerazioni sui massi finora meglio indagati analizzandone il rapporto con il territorio. Questi sono ubicati in contesti ad alta visibilità, posti a mezza costa, (…) o in punti elevati (come il pianoro di Sa Mandra Manna); tutti i siti, inoltre, controllano i possibili assi viari antichi e le idrovie o, alternativamente, sono posizionati in prossimità di questi (…). Sebbene per Sa Mandra Manna i dati siano ancora esigui per tentare una prima analisi sul rapporto massi – territorio, per quelli di Irgoli, anche se numericamente i rinvenimenti risultano poco numerosi, è stato notato che alcuni sono potenzialmente intervisibili (…). Posizione e tipologia dei massi e dei segni incisi sembrerebbero richiamare il sistema di controllo del territorio già individuato in Lunigiana e nel Massese: come in questi casi, il territorio di Irgoli risulta essere un areale nevralgico, grazie alle numerose valli fluviali che dalla piana raggiungono la costa, che connette i principali approdi naturali della Sardegna centrale con le zone metallifere dell’interno e del sud Sardegna. In questo studio, sebbene ancora in fase embrionale, non si può non accennare alle testimonianze archeologiche che sembrerebbero riconnettere queste valli a un più ampio circuito di contatti commerciali e sociali che parrebbe coinvolgere la Sardegna, il Tirreno settentrionale nonché l’area alpina e l’Europa settentrionale. Se da una parte iniziano sempre più a delinearsi tratte commerciali che si aprono dalla Sardegna verso il nord Europa (tracciate dai lingotti ox-hide ciprioti), lungo il percorso di ritorno dovettero giungere in Sardegna le ambre, le già note perle di vetro rinvenute in vari siti dell’Isola e, suggeriscono nuovi studi ancora inediti, i prototipi (ancorché finora non rinvenuti) dei paramenti a catenella con pendagli lanceolati di area alpina che originarono gli esemplari rinvenuti nel Nuorese (…). Questi prodotti, dall’area alpina tra Francia e Italia nord occidentale, sembrano seguire le rotte verso la Sardegna attraverso i passi della Liguria e della Toscana settentrionale, sino a pervenire (mediati dalla metallurgia nuragica) alle coste delle Baronie. É possibile ipotizzare che anche le manifestazioni di incisioni individuate su blocchi di nuraghi e di tombe di giganti del Marghine e dell’altopiano di Abbasanta siano da riconnettere a posizioni tutt’altro che casuali, inserite in un territorio che rappresenta naturalmente la via ideale di collegamento per la costa occidentale, attraverso le valli del Temo e del Tirso, passaggi di penetrazione verso le zone interne e canali di trasmissione di materiali allogeni, già dall’Età del Bronzo (…) e ancora nell’Età del Ferro (…).”