di Giorgio Valdès Parliamo un po’ di Tartesso, la città (o territorio) dei metalli citata per ben ventun volte dalla Bibbia. E’ opinione generale che essa si trovasse in prossimità di Cadice, per quanto non sia mai stato rinvenuto alcun indizio a conferma di questa ipotesi. Personalmente ritengo che il territorio tartessico fosse saldamente posizionato in Sardegna, ma per non apparire di parte mi rifaccio alle considerazioni di uno strenuo e qualificato sostenitore della Tartesso iberica, il professor Luca Antonelli (dipartimento di scienze dell’antichità dell’Università di Padova), il quale ricorda in primo luogo che, secondo Avieno, nella regione tartessica esisteva un “Argentarius mons” e che la tradizione focea applicava probabilmente a un rilievo dell’area Andalusa e per estensione al re della regione, un oronimo ( il nome di un monte) conosciuto sulle coste della Pontide ed in qualche modo legato all’estrazione dell’argento, ed infine che dal monte dell’argento scenderebbe il fiume Tartesso. Il riferimento all’area Andalusa è ovviamente una tesi personale del professor Antonelli, mentre Avieno offre alcuni interessanti indizi, tra cui: l’esistenza di un monte dell’Argento in area tartessica; un fiume che nasceva da questo monte; un rilievo in area tartessica che portava lo stesso nome del primo re storico della regione che, per inciso, si chiamava Argantonio. Sempre Avieno attesta la presenza di una popolazione locale piuttosto selvaggia e dedita al pascolo delle pecore, dal significativo nome di Berybraces (Berybraces illic, gens agrestis et ferox / pecorum frequentis inter errabant greges ), poco oltre il fiume Tyrius. Fiume che il professor Antonelli identifica con il Guadalaviar. Mi domando: ma non è che Avieno parlando dell’”Argentarius mons” si riferisse al Gennargentu e il fiume che nasceva da questo monte fosse il Flumendosa? Inoltre, tra Gadoni e Aritzo svetta un monte chiamato Arzanadolu, nome straordinariamente simile a quello del re Argantonio. Ma non è tutto, perché è difficile pensare a una popolazione pastorale in prossimità di Cadice, dove non c’è mai stata una tradizione del genere. Per cui non mi pare insensato sostenere che i pastori Berybraces citati da Avieno (il cui re si chiamava Mandrone) dimorassero in Sardegna e che in seguito avessero assunto il nome di “Barbaricini”; e anche il fiume Tyrius non è probabilmente il Guadalaviar, ma il nostro Tirso. Da ultimo è interessante osservare come il “tartessico” non somigli al basco, all’iberico e al lusitano, bensì all’etrusco. Con tutto il rispetto per il professor Antonelli. Esistono tuttavia altri curiosi indizi, questa volta legati alla leggenda, che legano la “terra dei metalli” alla Sardegna. Il primo re mitologico di Tartesso era stato Gerione, figlio di Crisaore e nipote di Medusa, la gorgone il cui padre si racconta fosse Forco, re di Sardegna e Corsica. Gerione fu quindi ucciso da Ercole, quando l’eroe giunse nel suo regno per rubargli i suoi buoi rossi. Gerione ebbe a sua volta una figlia, di nome Erithia, che unitasi a Hermes generò Norace, che sempre secondo la leggenda fondò Nora. Per altro verso è altrettanto singolare osservare che in prossimità del Monte Arzanadolu svetta un picco montuoso che prende il nome di Punta Crisaone; ma, come sempre, si tratterà sicuramente di un caso.
Nell’immagine: la famosa stele di Nora, sullo sfondo delle rovine dell’omonima città portuale, con incisa una scritta variamente interpretata che parrebbe comprendere anche il nome di Tartesso.