di Giorgio Valdès L’esaustiva recensione del Villaggio Santuario di Romanzesu a Bitti, fatta da Maria Ausilia Fadda e Fernando Posi, è stata pubblicata in un volume della collana “Sardegna Archeologica” di Carlo Delfino, da cui ho tratto alcuni brani particolarmente interessanti: “Su un vasto altopiano granitico battuto dai venti, a 800 m.s.l.m., in un territorio pascolativo interrotto da boschi di sughere si conservano i resti del santuario nuragico Romanzesu. Il sito dista 18 km da Bitti e si raggiunge percorrendo la strada 389 Bitti-Buddusò. L’origine del toponimo, riferito a un vasto areale, si deve alla presenza di numerose testimonianze d’epoca romana riferibili a insediamenti produttivi in villa rustica disposti lungo un’importante strada che partiva da Caput Tirsi in agro di Buddusò, attraversava gli altipiani di Bitti, Orune, Nuoro e raggiungeva, in agro di Fonni la ‘mansio’ di Sorabile considerata come il presidio militare più interno della Sardegna….Il complesso nuragico sorge in un fitto bosco di sughere che nasconde le numerose capanne del villaggio, la cui estensione copre diversi ettari….Nel 1919 Antonio Taramelli pubblicò la notizia della scoperta di una fonte nuragica in località Poddi Arvu sull’altopiano di Bitti. La fonte era stata scoperta durante i lavori di ricerca d’acqua: la parte anteriore del monumento, in corrispondenza della scala d’accesso, venne demolita per la sistemazione dei tubi in terracotta, che portavano l’acqua in una piccola vasca rettangolare. Nel 1986 una nuova ricerca d’acqua, fatta con mezzi meccanici, ha aperto una profonda buca sul lato destro del pozzo. Il grave danneggiamento del monumento, già tutelato da un decreto di vincolo archeologico, ha reso necessario un intervento d’urgenza, effettuato da chi scrive con un finanziamento regionale. Il diserbo e la rimozione della terra lasciata dalle ruspe ha evidenziato un pozzo di forma circolare, costruito a filari irregolari di pietre granitiche appena sbozzate di medie dimensioni….L’esplorazione archeologica è proseguita sul lato Ovest, lungo l’asse di un profondo canalone aperto all’epoca della costruzione del primo canale e ampliato durante i lavori del 1950….Il canale si estende per 42 metri a partire dal punto di innesto del vano-scala e raccoglieva in una canaletta di raccolta l’acqua del pozzo quando superava il livello massimo….Sul lato Sud del canalone sono affiorate delle strutture in granito sistemate a gradoni, che delimitano un’area ellittica irregolare di m. 8,50 con 5 filari di gradini riferibili al primo bacino di raccolta dell’acqua. Al primo bacino s’innesta una seconda struttura semicircolare, composta da quattro filari di gradini pertinenti a un secondo bacino…..” Gli autori riferiscono quindi di un lastricato che tratteneva l’acqua, la cui presenza “consente di ipotizzare l’uso del bacino per la pratica di riti lustrali ad immersione, dando credito alla testimonianza del geografo Solino, vissuto nel III sec. d.C.: l’autore descrive i rituali delle antiche popolazioni della Sardegna, che usavano l’acqua a scopi terapeutici e per la pratica dei riti ordalici, durante i quali coloro che venivano accusati di delitti contro la proprietà venivano sottoposti al giudizio divino che si manifestava attraverso l’acqua perché, secondo la credenza, aveva il potere di accecare il colpevole. A rafforzare lo stretto legame degli ambienti gradonati con l’uso dell’acqua sacra è la somiglianza del monumento di Bitti con altri siti come il grande recinto di Funtana Sansa di Bonorva, costruito in prossimità della fonte di acque minerali ed esplorato dal Taramelli nel 1919”. Per concludere e visto il richiamo a Bonorva e alle sue fonti d’acque minerali, oggi conosciute con il nome di “Santa Lucia”, è interessante riproporre ciò che scriveva in merito il citato Taramelli nel suo libro “Fortezze, Recinti e Fonti sacre”: “Ai piedi di una piccola costiera di rocce trachitiche brune, rivestite di querce e presso alle rovine del Nuraghe Oltovolo, in località romita e solitaria, al limite orientale del piano acquitrinoso di Santa Lucia, ed alquanto sollevato al di sopra del livello di esso, si stende un breve tratto declive di terreno in postura quanto mai pittoresca, fra rupi e piano, con l’ampia chiostra boschiva dei monti del Marghine che si aderge di fronte e gli aspri profili di Monte Rasu e dei Monti del Goceano e della Barbagia, che serrano ad oriente il vasto orizzonte. In questo tratto di terreno sgorgano dal suolo numerose polle di acque minerali, ricche di sali e sature di acido carbonico, che appunto determina l’effervescenza abbastanza viva delle varie polle, sparse in un tratto discretamente vasto di Funtana Sansa, nome datole dal popolo. Il quale attribuisce a queste fontane virtù grandissime per le affezioni renali ed epatiche ed in genere per i postumi malarici”.
L’immagine della “vasca lustrale” del Romanzesu è di Helga Steinreich ed è tratta da Wikipedia.