Prof. Paolo Nannini
Soprintendenza ABAP Siena, Grosseto e Arezzo.
Brevi note di Archeologia Aerea
E’ indubbio che l’uomo nella sua lunga storia ha plasmato il territorio in modo sempre più evidente e con modalità diversissime, a seconda del contesto naturale e del suo grado di civiltà. Questa sua presenza ha quindi lasciato tracce sulla superficie terrestre fin dalla preistoria, sopratutto con l’avvento dell’agricoltura e la vita in insediamenti stabili che da villaggi sono poi molto spesso diventati città, che a volte sono state abbandonate o distrutte. Queste tracce, a volte remotissime, sono in molti casi ancora leggibili sul territorio, nonostante le trasformazioni antropiche ed anche naturali avvenute nel corso del tempo. Ed è per questo che il ricorso alle foto aeree ed alla fotointerpreazione è così importante per l’archeologia.
L’utilizzo delle foto aeree nella ricerca archeologica risale infatti addirittura ai primordi della fotografia, cioè alla seconda metà dell’ottocento con fotografie fatte da palloni aerostatici o anche da aquiloni. Un enorme sviluppo si ebbe poi con l’arrivo degli aerei e con l’utilizzo massivo della fotografia per scopi militari durante la seconda guerra mondiale le cui campagne fotografiche rappresentano ancor oggi per il nostro paese e per tutto il bacino del Mediterraneo, una fonte incredibile di informazioni ancora solo in parte studiata.
Ma è stato con l’avvento dell’era spaziale e la messa in orbita dei satelliti che il telerilevamento ai fini archeologici, utilizzando nuove tecnologie di acquisizione ed elaborazione delle immagini su un ben più ampio spettro di radiazioni elettromagnetiche, oltre al visibile, ha dato i risultati prima impensabili e di ampio raggio.
Oggi con il mondo dall’alto a portata di click, grazie a Google earth, si può dire che l’archeologia aerea è entrata nelle case di tutti e di fatto molte nuove scoperte sono venute da ricerche a “costo zero” e anche casuali al di fuori di progetti mirati. Inoltre la diffusione a livello “consumer” di droni capaci di produrre foto aeree, anche di ottimo livello a costi accessibili, ha esteso considerevolmente il ricorso in archeologia a questo tipo di indagine e di documentazione, anche a carattere fotogrammetrico.
Ma la frontiera della ricerca archeologica con immagini aeree non si ferma qui: questo nuovo secolo vede l’utilizzo sempre più frequente in archeologia dei sistemi LIDAR, basati sulla scansione laser della superficie terrestre, capaci di penetrare la copertura vegetale e di rilevare così dettagli prima invisibili. Sono stati così scoperti, per citare un esempio dei più clamorosi, decine di migliaia di nuovi insediamenti Maya e Atzechi al di sotto delle foreste mesoamericane. Inutile dire che tale tecnica di rilevamento sarebbe molto utile anche sul nostro territorio, dominato dalla macchia mediterranea difficilmente penetrabile, ed è certo che presto ci arriveremo.
UMAI: tracce di origine antropica e non
Le informazioni acquisibili dalla fotointerpretazione di foto aeree sono innumerevoli e interessano svariati campi oltre l’archeologia, solo per citarne i più importanti: geologico, agrario, controllo ambientale, militare. A noi interessano però le tracce riconducibili alla storia umana che possono essere indicate con l’acronimo UMAI ovvero: “Unknow Marks of Archaeological Interest”. Ogni segno nel territorio può avere origini diverse e il primo problema per la fotointerpretazione e distinguire le tracce di origine naturale da quelle antropiche e il compito spesso non è facile ed è per questo che la fotointerpretazione è solo il primo passo che va poi seguito da un indagine accurata sul terreno con eventuale indagine geofisica e saggi per arrivare poi, nei casi più significativi, ad un vero scavo archeologico.
Gran parte delle tracce di interesse archeologico sono oiginate da differenze nella vegetazione, sia spontanea che coltivata, sono i cosidetti “cropmarks”. Il caso più noto è quello dell’evidenza di strutture murarie o strade basolate, sepolte abbastanza superficialmente (in genere entro il metro di profondità) evidenziate da una precoce maturazione di coltivazioni a foraggio o cereali, a causa dello stress idrico di quelle piante che si trovano a crescere sopra a strutture compatte. Tali evidenze non sono comunque sempre visibili, occorre un’immagine che colga il momento particolare durante la maturazione delle messi e in un periodo comunque meteorologicamente asciutto. In altri casi, come strutture affioranti o tumuli, o fossati, le tracce sono sempre presenti anche se spesso confuse o coperte dalla vegetazione.
In ogni caso quello che nella fotointerpretazione tradisce il lavoro dell’uomo è il carattere geometrico delle sue opere. Il che contrasta in modo evidente con i pattern naturali, solitamente irregolari e caotici. Quindi quando si ha che fare con tracce perfettamente rettilinee o ad angolo retto, per non dire poi dell’emergere come nel caso delle ville romane, di una vera e propria pianta dell’edificio sepolto non ci possono essere molti dubbi! Nel caso invece di tracce circolari od ellittiche è necessaria maggiore cautela perché anche la storia geologica o altri fenomeni naturali possono portare a tali evidenze.
UMAI: tracce circolari e loro possibile significato
Il cerchio: figura geometrica perfetta! sicuramente per noi umani affascinante nella sua semplicità inclusiva od esclusiva, a seconda dei punti di vista… Semplice anche nella sua realizzazione pratica, basta fissare un picchetto sul terreno e girargli intorno tendendo una corda. I nostri antenati certamente acuti osservatori della natura che li circondava avevano numerosi esempi di questa forma geometrica, basti pensare a certi fiori inscrivibili perfettamente in un cerchio, o allo scheletro di un riccio marino, o alla sezione di certi frutti circa sferici o alle onde generate dalla caduta di un sasso in uno stagno. Ma è certamente dal cielo che provengono i due esempi più stupefacenti: il sole e la luna! Il disco solare, fonte di vita e di calore, simbolo assoluto della potenza della natura, oggetto di culto e venerazione in moltissime civiltà e fonte inesauribile di miti! Basti ricordare fin dal Neolitico il mito della “barca solare” che porta il sole attraverso il cielo per poi scomparire nel mare o forse negli inferi, mito ripreso dalla civiltà egizia che associa il disco solare alla dea Iside che partorisce Ra visto come il sole a mezzogiorno ovvero alla sua massima potenza che porta il sole nella sua barca nel suo percorso celeste.
E che dire della luna che con le sue fasi è stata con tutta probabilità il primo segnatempo post circadiano con le settimane e i mesi ancora oggi ricalcalcati sul suo ciclo? Dove la luna piena, regina della notte, assume quella completezza che sfida il dominio solare durante il giorno. Divinità anch’essa, comunque imparentata con il sole: Apollo, il Dio solare per i Greci e Artemide sua sorella gemella, personificazione della luna crescente. Sole e luna due perfetti dischi celesti, fonte ancora oggi di universale stupore come di personalissime suggestioni.
Torniamo alla nostra archeologia in particolare a quella preistorica dove più diretto e leggibile era forse il rapporto fra gli uomini e la natura che li circondava. Forme circolari si ritrovano assai precocemente fin dal Mesolitico, in primis come strutture abitative: il modello della capanna a pianta circolare o ellittica è antichissimo ed è tutt’oggi ancora usato in molte culture, cosidette “primitive”, in Africa sopratutto. Parallelamente si usa una delimitazione circolare segnata da pietre infisse o solchi per delemitare un’ambito funerario, un’ideale confine sacro fra il mondo dei defunti e quello dei vivi. Ed ecco che abbiamo fin dal Neolitico per poi arrivare all’età del Bronzo e alla protostoria moltissimi esempi di necropoli a pianta circolare con circoli di pietre o tumuli che racchiudono le fosse per gli inumati o i cremati, a seconda dei casi, con i loro corredi per l’aldilà. Uso che è poi continuato anche nell’antichità classica con le tombe a circolo e i tumuli monumentali della civiltà etrusca e di quella greca, come pure successivamente con i fastosi mausolei dell’aristocrazia romana.
Il cerchio è anche usato in ambito sacro e non stupisce! Simbolismi circolari in ambito cultuale e divinatorio appaiono invariabilmente si può dire in tutte le culture ma forse l’esempio più stupefacente ed antichissimo sono i numerosi templi a pianta circolare scoperti a Gobekli Tepe e datati al X millennio a.C. per arrivare ai templi a tholos diffusi nell’antichità classica greco-romana.
Infine strutture circolari compaiono nelle opere difensive, prime fra tutti la torre simbolo di presenza e di controllo di un intero territorio, ma anche mura difensive di villaggi se non di città, con esempi che dalla civiltà nuragica, certamente la piu esemplificativa in questo contesto, arrivano fino al rinascimento.
UMAI: alcuni casi in Sardegna da indagare…
Veniamo adesso ai casi da me individuati nei miei viaggi in terra sarda e grazie all’uso, oramai a me familiare, di Google Earth. Siti inediti, almeno ad una prima ricerca, meritevoli di ulteriori indagini.
1) SANT’ANTIOCO Tracce circolari ad Est di Capo Sperone. Vedi img. allegata.
Sono evidenti tre tracce circolare individuati da presenza di vegetazione di macchia in un contesto altrimenti spoglio, con allineamento Nord – Sud di diametro intorno ai 70m. Una quarta la D spostata più ad Est e di diametro sui 30m completamente coperta da vegetazione. Potrebbero presentarsi in rilievo tipo collinette.
Ipotesi da verificare: Tumuli sepolcrali o di crollo di strutture sepolte.
2) PONTE LISCIA Tracce circolari a NW impianto estrazione inerti. Vedi img. allegata.
Evidenti due collinnette gemelle allineate Est-Ovest del diametro di circa 70m separate da una sella con coltivazioni.
Ipotesi da verificare: Tumuli sepolcrali o di crollo di strutture sepolte.
3) TAVOLARA Allineamento di lastroni poligonali. Vedi img. allegata.
Potrebbe trattarsi di un fenomeno geologico del tipo “Beach Rock” ovvero antiche spiaggie cementate da infiltrazioni calcaree e poi sommerse, indi fessurate da processi erosivi e/o meccanici. In questo caso è però sospetto l’allineamento e la regolarità presentato dalla struttura indicata con la lettera A che sembra unire due parti dell’isola di natura granitica; la forma circa circolare di un lastrone (B) ed i contorni regolari a formare una sorta di basamento rettangolare (C).
Ipotesi da verificare: strutture portuali, all’epoca emerse, annesse al sito villanoviano scavato negli anni scorsi sulla collinetta adiacente alle strutture.
SARDEGNA note di un viaggio in process…
Tutti sanno che in Sardegna ci stanno i Nuraghi tanto da essere questi, ancora oggi, una delle icone più note di questa bellissima terra.
Ho viaggiato per la Sardegna per centinaia di km, confesso, non avevo mai visto un Nuraghe dal vero prima d’ora e volevo finalmente rendermi conto di questa realtà. E non mi bastavano certo le foto dei nuraghi che tutti possono vedere per capire l’unicità e la potenza di questi monumenti.
Così viaggiando per la Sardegna del XXI secolo mi sono reso conto di un fatto straordinario: questa presenza preistorica nella Sardegna risalente all’età del bronzo, quindi dagli inizi del ii millennio a.C. e che arriva in pratica fino alla conquista romana, è capace ancora oggi 40-30 secoli più tardi di segnare fortemente il paesaggio, almeno quello delle campagne, di una regione così vasta e penso che ciò sia davvero una cosa unica in tutto il Mediterraneo.
Un paesaggio improntato da un’epoca così lontana da noi, con i suoi villaggi e la sua economia agricola pastorale, è ancora di fatto ben leggibile in gran parte della Sardegna. Infatti, se cerchiamo notizie su questi straordinarie testimonianze del nostro passato, scopriamo che ad oggi sono stati censiti in Sardegna più di 8000 villaggi nuragici!
E’ una cifra enorme! Ci rendiamo conto quindi del reale impatto sul paesaggio di questa presenza capillare nel territorio che non sfugge ad uno sguardo attento sia, banalmente, dal finestrino della propria auto che da un’analisi più approfondita dei contesti grazie alla fotografia aerea e ad indagini mirate. Una presenza caratterizzata da monumenti, i nuraghi, queste torri di pietra circolari innalzate nei luoghi più strategici a controllo evidentemente di un territorio locale e a difesa, se necessario, di una popolazione che abitava generalmente in capanne con base circolare di pietre e tetto conico vegetale, addossate strettamente a queste rassicuranti fortezze. Ecco quindi emergere, in tutta la sua complessità, questa efficiente organizzazione del territorio attraverso unità locali ripetute: i villaggi, espressione architettonica di una società molto evoluta per l’epoca e originalissima, che ci ha lasciato, com’è noto, importanti testimonianze artistiche dalla sapiente lavorazione della ceramica e del bronzo. Il Villaggio nuragico è sempre delimitato da un muro di confine e protetto dalla o dalle torri al suo interno e rappresenta, direi, una fase embrionale significativa di quelle che saranno poi nei secoli successivi le “Polis” del mondo classico, a partire da quelle greche ad oriente e quelle etrusche ad occidente. Ne ho percorsi e fotografati due di questi villaggi fortezze: quello di Santu Antine presso Torralba (SS) e quello di Losa sull’altopiano basaltico di Abbasanta (OR). Bellissimi straordinari entrambi!
In un territorio con un tale presenza umana non potevano certo mancare le necropoli, le cosiddette “Tombe dei Giganti” e i luoghi di culto. Fra questi ho visitato l’incredibile Pozzo Sacro di Santa Cristina nei pressi di Paulilatino.
Come non rimanere impressionati da questa opera mirabilissima formalmente perfetta nella sua architettura essenziale e coinvolgente, assolutamente fuori dal tempo! Datato all’ XI sec. a.C. ma sarebbe un sicuro successo se fosse presentato alla Biennale di Venezia come opera contemporanea! Effettivamente con le parole di Lilliu c’è da “non capacitarsi” come possa essere un’opera cosi antica, quando ancora in tutto il continente, ovvero la penisola italiana, non v’erano altro che sparuti villaggi di capanne. In questo sito siamo di fronte alla innegabile testimonianza di culto antichissimo quello dell’acqua, inserito qui in una scenografia rigorosa e quanto mai profonda in tutti i sensi. Acqua come fonte di vita e di fertilità che è, insieme alla terra e al Sole, una delle divinità primogenie in tutte le culture del mondo.
Il mio viaggio nella preistoria della Sardegna era era però iniziato visitando un altro luogo mitico: l’imponente altare prenuragico di Monte d’Accoddi vicino Sassari. Siamo qui, secondo le datazioni più recenti al Carbonio 14 fra il 3200 e il 2700 a.C. Siamo quindi nel Neolitico, in quella preistoria già profonda, quando il tempo, allontanandosi dal presente, si dilata progressivamente e i secoli diventano millenni o forse più e quando tutto quello che possiamo capire ci arriva solo dalla difficile interpretazione di una cultura materiale quasi sempre frammentaria. Così, di questo lontanissimo passato, i dettagli inevitabilmente ci sfuggono e la storia che emerge faticosamente è quanto mai incompleta.
Il santuario di Monte d’Accoddi fu un luogo certamente sacro, deputato a riti antichissimi volti al cielo e alla terra di cui possiamo solo immaginare le processioni, le musiche, i canti, i volti, le danze, le vesti, i sacrifici e l’ebrezza del divino che doveva pervadere gli artefici di tutto questo! Un monumento che ricorda i coevi ziqqurat mesopotamici e come questi ci fa intravedere un culto orientato a delle divinità celesti a cui la monumentale scalinata cerca metaforicamente di avvicinarci.
Alla vista del monumento che emerge da una campagna assonnata e dagli ampi orizzonti, ancora oggi permane intatto l’arcano fascino che doveva evocare nei nostri lontani antenati e che nessuna immagine o racconto ci potrà mai restituire appieno. Visitatelo!
Per concludere, ho solo una preghiera per le Soprintendenze e per gli amministratori locali, responsabili della tutela e conservazione di questo stupefacente patrimonio dell’umanità: almeno nel raggio visivo di una decina di km non fate costruire alcuna offesa per il paesaggio che è parte integrante di questi siti straordinari ed unici, Grazie!
BIBLIOGRAFIA essenziale di Archeologia Aerea
1987 – D.N. Riley, Air photography and archaeology
2000 – D.R. Wilson, Air photo interpretation for archaeologists
2003 – M. Guaitoli, Lo sguardo di Icaro: le collezioni dell’Aerofototeca Nazionale per la conoscenza del territorio
2005 – K. Brophy & D. Cowley, From the air: understanding aerial archaeology
2005 – C. Musson & R. Palmer & S. Campana, In volo nel passato aerofotografia e cartografia archeologica
2006 – S. Campana & M. Forte, From space to place
2009 – G. Ceraudo, 100 anni di archeologia aerea in Italia
2015 – P. Nannini, La fotografia aerea da aquilone per l’archeologia
Prof. Paolo Nannini
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