I documenti Archeologici dell’Atlantide
Pubblicando in sintesi (purtroppo si tratta di un libretto di oltre 30 pagine) l’appendice scritta da Gennaro D’Amato nel 1924 all’opera AVM, relativa alla scoperta di documenti attestanti la passata esistenza dell’Atlantide, ritengo di fare cosa gradita ai molti che, come me, pensano che fino al 9600 a.C, data presunta del suo inabissamento, fra l’Europa e l’America esisteva il cosiddetto continente atlantico. Quella parte della superficie terrestre era allora emersa, mentre oggi è il fondo dell’oceano Atlantico.
Ormai anche i muri sanno che Platone menziona dell’ultimo resto di quel paese, dell’isola di Poseidone, situata a occidente dell’Europa e dell’Africa.
Anche W. Scott-Elliot nel 1896 racconta, nel suo libro ‘L’Atlantide’ secondo le fonti occulte, che il fondo dell’oceano Atlantico anticamente era terraferma, che esso fu, per circa un milione d’anni, il teatro di una civiltà molto diversa dalla nostra, e che gli ultimi avanzi di quel continente furono sommersi nel decimo millennio A.C.
Trovarne le prove geologiche non è affatto semplice: Demetrio Merezkovski (Atlantide-Europa), sulla scorta di Fred Finch Strong, di Spence e dello stesso Termier, ricorda che al microscopio è visibile la differenza tra la lava che si solidifica all’aria e quella che si rapprende subito nell’acqua e che c’è inoltre un periodo di tempo, di circa 15.000 anni, dopo il quale i cristalli lavici, sotto l’azione dell’acqua marina, si sgretolano.
Ci sono tuttavia tutti i presupposti che la leggenda di Atlantide non sia solo una leggenda, ma anche una realtà, allorchè costoro ricostruirono in Terra ciò che avevano perso in seguito ad una disastroso maremoto nel quale persero la vita ben 64 milioni di esseri umani. Dove lo ricostruirono? Dove le terre emerse erano forse più sicure, nei luoghi più vicini alle coste occidentali dell’Europa e dell’Africa: i Paesi Baschi, L’Irlanda e l’Inghilterra, La Bretagna, la Sardegna e la Corsica, il Marocco, e forse poco altro.
Le civiltà dolmeniche e megalitiche non sarebbero altro che le nuove civiltà nelle quali gli straordinari discendenti dei pochi superstiti di Atlantide lentamente cercarono di insegnare a quei popoli situati a est dell’Oceano a ricostruire l’antico splendore di alcune migliaia di anni prima, così come era stato, in un luogo al centro dell’oceano Atlantico e in mezzo ai quattro Continenti.
Certamente la Sardegna, con la sua civiltà prenuragica può vantare molte affinità con le stirpi di cui si parla nel Tribuna, e molte somiglianze culturali con Baschi e Berberi. La stessa lingua sarda, di ceppo misterioso e antichissimo, potrebbe riportare un sostrato riconducibile alle lingue antiche che si parlavano oltre 10 mila anni prima di Cristo. La Sardegna non può essere stata Atlantide, ciò è escludibile, ma è molto probabile che, come per quella Egizia, la sua leggenda nasca dalle ceneri di quella civiltà Atlantidea che sprofondò negli abissi dell’Oceano Atlantico circa 12 mila anni fa.
(Mlqrt Re)
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[…] I preti egizi dicevano che l’umanità attraversò sei diluvi, ognuno dei quali portò il predominio d’una razza. Quando scrivevo il mio “ AVM – Principio fondamentale originario delle Arti umane” (E. Spiotti – Genova 1912), ignoravo che l’archeologo avesse scoperti e tenuti segreti i documenti atti ad avvalorare la mia asserzione sul contatto certo esistito fra i popoli dei due mondi, in un’era anteriore di molti millenni
alla scoperta colombiana. Il contatto era evidente pel confronto tra i segni alfabetici dipinti sui ciottoli, rinvenuti nelle grotte di Mas d’Azil (Pirenei) e quelli inclusi nella scrittura pittografica dei Maya messicani [L’Atlantide era abitata dalla fiera razza “guancia” etnograficamente legata a quelle di varie tribù americane e forse’anche al ceppo dei Baschi e dei Berberi (da Tribuna)]; ma più ancora, oltre che per usi e arti comuni, il contatto rivelavasi per la simultaneità di simboli religiosi. Senza le stesse idee fondamentali, non si troverebbero laggiù i simboli uniti: civetta e serpente (attributi di Minerva) la croce come simbolo di vita e di morte [Oggi si riconosce che questo simbolo è anteriore al Cristianesimo]. L’ipotesi d’un’invenzione indipendente non era ammissibile; infatti, le scoperte di Schliemann hanno fornito “prove autentiche” sulla passata esistenza dell’Atlantide. Ciò costituisce la novità in fatto di conoscenze sulle origini.
L’articolo: “Come trovai l’Atlantide perduta”. Del Dr Paul Schliemann, pubblicata nel citato giornale inglese [Magazine section of the London Hudget- London 17 nov. 1912], non ebbe diffusione da noi. Perciò lo traduco, riassumendolo:
Il dottore comincia col raccontare l’opera iniziata da un suo nonno il famoso studioso tedesco Enrico Schliemann, scopritore di Troja, Micene ed altro, che morendo a Napoli nel 1880, lasciò a un suo intimo una lettera da aprirsi solo da uno della sua famiglia che facesse voto solenne di dedicarsi alle ricerche archeologiche di cui dava indicazioni. Il nipote Paul si assunse questo incarico, e a fatto compiuto le vicende della scoperta.
E. Schliemann nel memoriale scriveva: “Quando nel 1873 scoprii a Hissarlick e Micene le rovine di Troja e il tesoro di Priamo, trovai nela seconda città un curioso vaso di bronzo di grandi dimensioni. Vi erano dentro diverse specie di vasi, varie piccole immagini su d’un metallo speciale, monete dello stesso metallo e oggetti d’osso fossilizzato. Su alcuni di questi oggetti e sul gran vaso era inciso in geroglifici fenici: “Dal Re Chronos di Atlantide”. Era la prima prova materiale della veridicità della grande leggenda menzionata da Platone e altri scrittori greci.
Conservai il segreto.
Al museo del Louvre, vidi nel 1883 la collezione degli oggetti Thiahuanaca del Centro – America; vasi della stessa forma e oggetti di osso fossilizzato riproducenti linea per linea quelli del Tesoro di Priamo; sopratutto uno dalla testa di gufo. Senonché i vasi di quella collezione non avevano caratteri fenici, nè alcuna inscrizione. Corsi a vedere i miei oggetti e mi accorsi allora che le iscrizioni dovevano essere state aggiunte posteriormente. Ebbi dei pezzi di questi simulacri di Tiahuanaca e li analizzai; provai a concludentemente che i vasi del Centro-America e quelli rinvenuti a Troja erano d’un argilla speciale; seppi poi definitivamente che tale argilla conteneva: platino, alluminio e rame e non esisteva nella vecchia fenicia, né nel centro-America- L’analisi chimica del metallo stabilì che si trattava di amalgama mai conosciuta nei resti degli antichi e sconosciuta ad oggi.
Gli oggetti non erano né fenici né micenei, né centro-americani: l’iscrizione indicava l’origine di essi: Atlantide.
Che tali oggetti fossero tenuti in grande venerazione è mostrato dalla loro presenza nel tesoro di Priamo e dal loro speciale ricettacolo. Il loro carattere li mostrava destinati alle cerimonie sacre del tempio.
In una nota scritta a matita, il nonno aggiungeva: “rompete il vaso dalla testa di gufo; concerne l’Atlantide. Investigate le rovine di Sais e il cimitero di Val Chacuna. Importante: prova il sistema. L’Atlantide non era solo un continente ma il perno della civiltà”.
Il vaso era vuoto, dice il nipote, e nemmeno voleva romperlo. Perchè il nonno diceva di farlo? Sapeva che non fosse unico? Che contenesse una prova?…Esitavo…Finalmente lo ruppi. Ne uscì un quadrato di metallo bianco, simile all’argento, con strane figure e iscrizioni a me ignote.
In quella specie di medaglia o moneta, coricata nell’argilla del fondo, era inciso a tergo in vecchio fenicio: “Proveniente dal tempio dei muri trasparenti”.
[…]Nella collezione degli oggetti che il nonno diceva provenienti da Atlantide, c’era un anello dello stesso metallo, un elefante dallo sguardo strano in osso fossilizzato, un vaso arcaicissimo e la carta geografica fatta dagli Egizi quando ricercarono l’Atlantide.
[Furono rinvenuti diversi papiri riportanti dati ricavati dalla spedizioni di ricerca, spesso inutili] Un altro papiro di Manheto storico egiziano, riferisce la data di 13.900 anni, come regno dei savii dell’Atlantide. Il papiro pone ciò al principio della storia Egiziana, 16.000 anni a.C.
[…] Dopo narrata l’opera del nonno, il Dottor Paul Schliemann parla della sua. Ottenne la concessione di scavare nelle rovine di Sais; lavorò molto invano, finchè un giorno conobbe un cacciatore egiziano che gli mostrò una collezione di monete rinvenute in un sarcofago di quella località. “Con sorpresa – ei dice- riconobbi in due medaglie l’identica dimensione e lo stesso disegno delle medaglie di metallo bianco del vaso trojano. Le figure erano meno chiare nei dettagli; mancavano le iscrizioni, ma certamente avevano la stessa origine. Esplorai il sarcofago: aveva appartenuto ad un prete della 1° dinastia; cosa di grande interesse, dato che il tempio di Sais erano legati i ricordi Atlantidi, rivelati dai preti egiziani a Solone. Il tempio si diceva fondato da un figlio di Atlante fuggito con la figlia del Re Chronos (il nome inciso sul vaso di Hissarlick).
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La certezza della passata esistenza dell’Atlandide avrà una ripercussione nel campo del sapere. La narrazione di Schliemann apre nuovi orizzonti circa i primi passi dell’umanità e la fioritura d’una remota civiltà scomparsa, durata un periodo straordinariamente lungo, tanto da farsi iniziatrice d’una vera scienza sparsa pel mondo. Per quanto occulta essa è rivelata dalle opere d’arte, a chi le studia senza pastoie teoriche e compenetrato dello spirito ieratico di esse.
Di fronte alle opere preistoriche pochi non restano come gli analfabeti al cospetto delle lettere.
[…] Già nella mia opera richiamai l’attenzione degli eruditi su d’una più giusta valutazione del periodo preistorico. Fui indotto nel mio studio dalla scoperta che feci della cifra – ancor oggi sacra- progenitrice di numeri, lettere, segni zodiacali, pittografie e geroglifici che affermai “posteriori alle lettere”, perchè gli archeologi moderni trovavano “documenti di scrittura lineare alfabetica nelle profondità neolitiche dell’Egitto, delle isole Mediterranee e da altre parti del globo”, ma nessuna traccia di geroglifici”. Gli uniti documenti di primigenie età provano che nel Mediterraneo dell’epoca Minoica e nell’America preistorica c’era la scrittura [In un tumulo preistorico venne rinvenuta una tavoletta , denominata di Grave- Creek (USA), luogo del ritrovamento, che evidenza come la scrittura americana preistorica sia più affine della cipriota alle scritture Etrusche e Fenicia].
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Ora che le scoperte di Atlantide e le altre parti, hanno indietreggiato di molti millenni l’inizio del sapere e della civiltà; ora che abbiamo i documenti non posseduti dai nostri predecessori immediati, apparirà chiara l’esistenza di una scienza occultata per comandamento secolare.
Agli eruditi il compito di penetrare lo spirito delle allegorie che scotendo le intelligenze, promossero le più sublimi opere artistiche e letterarie. E dire che di queste, tutti intesero le esteriorità, pochi la profondità. Solo se compenetrati di simbolismo religiosi potrà vagliarsi il sapere antico e persuadersi che Scienza e Fede non sono cose irreconciliabili, ma luna fondamento dell’altra. Il simbolismo fu l’arte sovrana per conservare e celare il sapere. Non fu inganno! Il simbolo è espressione sintetica della realtà. Le masse primitive aveano bisogno di immagini improntate al mondo dei sensi per capire qualche cosa; il sapiente discese fono ad esse per sottrarle al baratro della natura inferiore e della negazione. Egli innalzò l’uomo inculcandogli il diritto di dirsi “ figlio del cielo, dell’aria, del sole”; gli adombrava così il concetto che la “Terra Madre” fu parte del Sole e Sole in origine, e che quindi gli essere nati di terra, di creta, di fango, furono rampolli, metamorfosi essenze del Sole, “gran fecondatore e riproduttore degli esseri”.
L’uomo ha in se, chiusa nella massa cerebrale viscida, raggomitolata come serpente (ser-pens =pens-ser). Una scintilla di luce astrale. Di questa massa fa parte la glandola pineale “l’occhio divino che vede attraverso le muraglie”. Più di quella del sole la conoscenza , la scienza è “la vera luce che illumina il mondo”.
Oggi io non deploro di essermi occupato di troppe cose; studiandole per scoprire lo spirito dei creatori della mia arte, penetrai ciò che per gli errori altrui non mi era stato concesso; pubblicando il frutto delle mie ricerche fondate su documenti archeologici, mi lusingo di facilitare la via agli studiosi.
Vò solo augurare che questi studi, dalle tradizioni italiche, trovino dei cultori tra noi. Oggi una scuola straniera si appresta a dettarci ancora una volta il suo verbo circa la dibattuta questione etrusca e forse con quella tale “logica più evidente” farà venire i nostri aborigeni dal nord, mentre basterebbero i pochi caratteri della tavoletta preistorica di Grave-Creek, così affini ai caratteri etruschi per farci volgere lo sguardo verso l’Atlantide.
Gennaro D’Amato
Bogliasco, Aprile 1924