di Giorgio Valdès Per quelli come me, figli del dopoguerra, tutto ciò che arrivava dall’America possedeva un irresistibile fascino esotico. L’icona era sicuramente la Coca Cola, ma ricordo anche la diatriba tra chi apprezzava le compatte caramelle Charms, e chi invece aveva una particolare predilezione per le Lifesavers, le caramelle col buco. Dopo cinquant’anni tento di riportare a oggi quel dibattito per domandarmi, e domandarvi, se le torri nuragiche originariamente avevano o non avevano “il buco”. Il paragone potrebbe apparire un tantino irriverente ma vi assicuro che è proposto con tutto l’affetto e la meraviglia che da tantissimo tempo provo per questi straordinari monumenti, frutto della capacità e dell’ingegno dei nostri antichi padri. Presumo che molti di noi si siano fatti un’idea al proposito, anche se mi pare che la tendenza predominante sia quella che sostiene l’originaria chiusura delle “tholoi”. Oggi le nuove tecnologie e soprattutto l’utilizzo dei droni, consentono di osservare dall’alto il territorio e chiunque può facilmente constatare come la maggior parte dei nuraghi presentino un foro apicale, che nel caso dei polilobati riguarda una o alcune delle torri. Che le torri siano “con il buco” è quindi una constatazione di fatto e l’onere della prova contraria spetta quindi a chi sostiene la loro primitiva chiusura. Il dilemma non è di poco conto, perché l’ipotesi “lifesavers” significherebbe una precisa volontà dei nostri progenitori di mettere a contatto lo spazio della tholos con gli elementi naturali esterni, quali in particolare il sole e l’acqua, consolidando quindi l’ipotesi di una valenza sacrale dello spazio interno della torre e per esteso del nuraghe, probabilmente inteso come il luogo in cui si svolgevano i riti di rigenerazione della vita, intimamente connessi alla luce solare e all’acqua primigenia. Personalmente sostengo questa tesi, ma ho cercato anche di riflettere sull’ipotesi opposta, in merito alla quale mi permetto di esprimere alcune considerazioni. Se le torri fossero state inizialmente chiuse, i crolli successivi sarebbero avvenuti o per cause naturali o per interventi meccanici dovuti all’uomo. Nel primo caso si dovrebbe dubitare della tanto decantata perizia dei nostri antichi costruttori, se è vero che a un certo punto della storia, o casualmente o per qualche altra ragione, la sommità di gran parte delle tholoi è improvvisamente venuta giù, per quanto le rimanenti strutture abbiano retto e siano fortunatamente rimaste in piedi sino ad oggi. Tuttavia, proprio dalle immagini aeree si nota che i fori di crollo sono di norma abbastanza regolari e presentano addirittura conci di contorno più o meno ordinati. Le alternative sono almeno due (ma se ve ne fossero altre ben venga chi può proporle): o sopra la torre esisteva una sorta di cupolotto a sé stante o comunque una struttura amovibile di cui si sono perse le tracce, o il cocuzzolo non aveva funzioni statiche perché in alternativa un suo cedimento avrebbe con buona probabilità coinvolto l’intera struttura o una parte di essa e in ogni caso il profilo del foro difficilmente apparirebbe così regolare come si nota nelle immagini. Un ingegnere strutturista potrebbe sicuramente fornire in merito spiegazioni tecnicamente più attendibili, ma rimarrebbe comunque da chiarire il motivo per cui lungo il perimetro dei fori siano spesso presenti conci di coronamento ordinatamente disposti. Possibile che una volta crollata la sommità della torre, qualcuno si sia preso la briga di raggiungere un’area a forte rischio per rifinire i bordi dell’apertura che si era formata? L’altra teoria è che lo scapitozzamento sia avvenuto per mano dell’uomo; ma francamente tale eventualità mi sembra assolutamente insensata: mi domando difatti chi poteva essere il pazzo disposto a salire in cima al nuraghe per picconarne la sommità, nella pressoché assoluta certezza di precipitare in basso insieme a una montagna di massi, ciascuno dei quali pesava quintali. Ergo, non mi convince per niente l’ipotesi dei fori sommitali dovuti a crollo, salvo che esista qualche anima buona in grado di dimostrare “scientificamente” il contrario.