I guerrieri/sacerdoti di Monte ‘e Prama

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di Giorgio Valdès

Nel sito di Monte ‘e Prama (Cabras) sono stati rinvenuti, come noto, numerosissimi frammenti scultorei che hanno sinora consentito di ricomporre, almeno parzialmente, 31 grandi statue in calcarenite.
Sedici di queste portano sulla testa uno “scudo oblungo”, mentre altre due sono rappresentate con lo stesso tipologia di scudo, ma tenuto al fianco con la mano sinistra e in posizione verticale.
Si è solitamente ipotizzato che tali statue volessero ritrarre un pugilatore/gladiatore, notando nel contempo l’analogia con il “bronzetto” ritrovato nella necropoli etrusca di Cavalupo di Vulci, risalente al periodo villanoviano (IX-VIII sec. A.C.).
Con la teoria del pugilatore/gladiatore non concorda il professor Giovanni Ugas, esprimendo il suo autorevole parere su uno dei quaderni di “Aristonothos, Rivista di Studi sul Mediterraneo Antico” (2021).
In estrema sintesi il professor Ugas ritiene che le statue di cui si tratta vogliano in realtà rappresentare dei guerrieri/sacerdoti, che in determinate occasioni percuotevano con un oggetto rigido la parte metallica dello scudo, producendo un suono ritmato.
Ciò avveniva, presumibilmente, anche in luoghi particolari; e a questo proposito si riportano, qui di seguito, alcune delle considerazioni espresse dal nostro insigne archeologo nelle pagine del quaderno sopra richiamato:
“Nelle comunità ‘aristocratiche’ nuragiche non mancavano gli edifici destinati agli spettacoli, come i piccoli anfiteatri costruiti con giri di sedili a gradoni di Funtana Sansa di Bonorva, Su Romanzesu di Bitti, e Forraxi Nioi di Nuragus, forse i gymnasia di cui parla Diodoro Siculo98, ma non è da escludere che i guerrieri con lo scudo oblungo isolani celebrassero i loro riti danzando all’aperto in mezzo alla gente, come i Salii romani e come i 12 o 13 issocadores, merdules e altri gruppi dell’etnografia sarda. Costoro praticano i riti cruenti di fine anno simulando il sacrificio rituale di altrettanti uomini in veste di animali (mamuthones, boes e altri) tipici dell’economia (agricola, pastorale, venatoria etc.) delle loro comunità. Il ritmo della danza dei merdules e degli altri sacrificuli del carnevale sardo è ottenuto, diversamente, col risuonare dei sonagli (campanelle) in sintonia con il movimento ritmato di tutto il corpo, spalle comprese, non diversamente dalle loro vittime mamuthones che fanno risuonare all’unisono i campanacci e altri strumenti di un rituale amaro come gli ossi. Essi non portano gli scudi e non sembrano guerrieri, ma non è detto che il Cristianesimo non abbia cambiato profondamente alcuni aspetti delle loro cerimonie”.
Dei siti di Su Romanzesu, a Bitti, e di Funtana Sansa, a Bonorva, si era accennato in un nostro vecchio post (cfr. link a margine), osservando che in essi si svolgevano verosimilmente cerimonie connesse al culto dell’acqua, oltre a riti ordalici.
Tuttavia le affascinanti intuizioni del professor Ugas accendono nuova luce sul novero delle attività che si potevano svolgere in questi luoghi ed in altri analoghi, ma soprattutto assegnano alle statue di Monte ‘e Prama ruoli perpetratisi nel tempo – e senza soluzione di continuità sino ai nostri giorni -, nei rituali dei gruppi etnici che caratterizzano in particolare i carnevali sardi.
Non è inoltre di secondaria importanza l’analogia proposta, dal professor Ugas, con i rituali dei Salii romani.
Il corpo dei Salii, sacerdoti “saltatori”, si dice fosse stato istituito da Numa Pompilio (r. 715-673 a.c.) per custodire lo scudo di Marte; anche se si pensa che la loro origine fosse invece precedente alla fondazione di Roma e che essi provenissero da Tivoli, Tuscolo e Veio.
I Salii eseguivano processioni e danze di guerra portando lo scudo sulla spalla sinistra, un pettorale in bronzo, spada e lancia e tenendo in capo l’apice, il berretto conico come quello indossato dal bronzetto di Vulci
Mi permetto una piccola riflessione: Se le statue di Monte ‘e Prama delle quali si è riferito raffiguravano guerrieri/sacerdoti, niente di più probabile che si trattasse di militi Shardana di rango (non entro in merito alla vasta polemica sulla loro origine e/o provenienza; tuttavia mi limito a ricordare che secondo il professor Ugas gli Shardana si identificano con i sardi nuragici- tesi che condivido assolutamente).
Ma se il bronzetto di Vulci è analogo alle statue di guerrieri/sacerdoti di Monte ‘e Prama, poteva forse rappresentare uno Shardana?
E per la “proprietà transitiva” i Salii, con il loro scudo, le armi e il pettorale in bronzo e l’apice come quello del bronzetto di Vulci, potevano essere degli Shardana?
E come sarebbero capitati in Etruria e quindi a Roma questi (presunti) Shardana?
Probabilmente direttamente dalla Sardegna.
Tuttavia, se mi è consentita una piccola provocazione: considerato che molti di essi possedevano una connotazione da “mercenari”, potrebbe anche darsi che fossero giunti direttamente dall’Egitto, dove erano stanziati da diverso tempo.
A tale proposito lo stesso Giovanni Ugas aveva affermato, in una vecchia intervista, che “i documenti egiziani citano gli Shardana per tre secoli, dal XIV all’XI a.C.”.
Per quanto invece riguarda gli Etruschi, secondo Varrone essi facevano risalire la loro origine in un periodo compreso tra l’XI e il X secolo a.C.
Quindi gli Shardana spariscono dall’Egitto e ricompaiono agli albori dell’Etruria nell’XI secolo a.C. o giù di lì? Chi può dirlo? Ma ovviamente si tratta solo di pensieri ad alta voce di un semplice appassionato… affetto da “sardo-centrismo”. g.v.
Negli allegati: Le statue dei guerrieri/sacerdoti di Monte ‘e Prama; il bronzetto di Vulci; Il santuario nuragico di Romanzesu a Bitti (ph. Nicola Barbicha Tornello e Patricia Droz); il sito di Funtana Sansa a Bonorva con il nuraghe Oltovolo citato dal Taramelli; Mamuthones e Issohadores di Mamoiada (Pro Loco); Boes e Merdules di Ottana (Gianni Careddu per Wikipedia)