di Giorgio Valdès Nel 1998 la Illisso pubblicava la “Relazione sull’Isola di Sardegna”, riedizione del libro di ” William Henry Smith “Sketch of the present state of the Island of Sardinia”(1828). Anche il “captain” Smith offre una sua personale interpretazione dei nuraghi: “Durante il regno di Iolao (nipote d’Ercole e presunto colonizzatore delle Sardegna –nota mia) un gruppo di Troiani fuggiaschi fu spinto da una tempesta sul litorale orientale dell’isola; essendo stati bene accolti dai coloni ellenici, essi si stabilirono lungo le coste del Campidano, dove formarono un unico popolo insieme ai contadini greci che erano stati fino a quel momento loro implacabili nemici, e nella coltivazione di una terra fertile furono risarciti della perdita di Ilio e dei campi della Troade. Da quel momento in poi per parecchi secoli la storia parla pochissimo della sardegna, eccetto per affermare che gli Eraclidi rimasero al potere fino all’arrivo dei Cartaginesi e che gruppi di Fenici, Lidi, Traci, Rodioti, Ciprioti e vari altri popoli si stabilirono qui, alcuni per scopi commerciali e altri per cercare rifugio dalle guerre civili che devastavano la loro patria. Il fatto che tanti Greci arrivassero in Sardegna dimostra che essi avevano una conoscenza precisa dell’isola e testimonia la credibilità del racconto di Erodoto sulle guerre tra Dario, figlio di Idaspe, e Isteo di Mileto, dei quali il secondo esclamò: “Giuro per gli dei che non rimetterò piede in Ionia senza aver prima assoggettato la grande isola di Sardegna al vostro dominio”. E’ a questi secoli oscuri che io sono propenso ad attribuire le singolarissime rovine di molte centinaia di monumenti sparsi per la Sardegna chiamati “nuraghi”, un nome che probabilmente deriva da quello iberico di “Norax”, o da “neoràkis”, “nuova pietra”. Sono delle imponenti costruzioni a forma troncoconica, costituite da massi di pietra da due a cinque o sei piedi quadrati, disposti a strati senza cemento, ma abilmente edificati come le strutture ciclopiche che ho potuto osservare in Grecia. I materiali sono basalto, trachite, porfido o le altre pietre che ciascun sito offre; generalmente si trovano in cima a colline che dominano pianure e sono visibili da ogni luogo; alcuni quasi intatti, altri ridotti ad un semplice mucchio di rovine”…”L’entrata è generalmente molto bassa; sebbene nella maggior parte dei casi si apra sul lato orientale, non sembra sia stato fatto alcun riferimento alla bussola. Entrando ci si accorge che la struttura si estende sotto la superficie della terra circostante; lo spazio interno è quasi invariabilmente diviso su due piani, ognuno dei quali consiste in una stanza a volta, cui si accede mediante una rampa posta tra due muri concentrici che conduce sin quasi alla sommità, dove una serie di gradini completa la salita. In questo il nuraghe differisce fondamentalmente da un curioso monumento abbastanza simile che ho visitato vicino ad Allaior a Minorca, dove la rampa è esterna. Sono anche diversi dalle torri pittiche della Scozia, sebbene l’aspetto esteriore sia piuttosto simile, perché in quelle i muri concentrici hanno una considerevole distanza alla base ma sono poi uniti in cima e tutto lo spazio interno è a cielo aperto. I nuraghi sono di due tipi distinti: quelli più comuni non hanno alcun segno di scalpello e sono edificati con blocchi enormi, a superfici irregolari e con pietre più piccole negli interstizi; i materiali degli altri mostrano la parte esterna lavorata con qualche strumento, anche se le pietre non sono esattamente quadrate; però sono messe in opera con la più severa attenzione a mantenere orizzontali gli strati e gradualmente si riducono di dimensione man mano che procedono verso la sommità. Begli esemplari di questa antica architettura si possono vedere a Isili, Gennori (Genoni), Campo d’Ozieri, Baulada (sic) e in molti altri luoghi. Ma quello che offre l’aspetto più imponente su trova tra Samugheo e Fordongianus; siccome è alto quasi 60 piedi, è chiamato “Su Nuraggi Longu”. Io ne ho visitato uno notevole a Campo Giavesu, vicino a Bonorva, in compagnia del capitano Catella del Genio piemontese, che ne disegnò una pianta e una sezione che ho riprodotto perché più esplicative della semplice idea che me ne feci allora. L’edificio (Nuraghe Santu Antine – nota mia) consiste principalmente di un grande nuraghe che poggia su una solida piattaforma, ai piedi della quale ve n’è uno più piccolo ad ogni angolo, unito al maggiore da una galleria coperta, il tutto costruito in un basalto molto resistente. Sono state avanzate diverse supposizioni sulla probabile funzione di queste costruzioni: l’oscurità dei loro interni e i frammenti di terracotta che vi sono stati trovati indicherebbero che si tratta di monumenti funerari, una credenza così diffusa nel Sulcis che essi sono chiamati “Domu de Orcu”, cioè “casa della morte” (sic). Tuttavia poiché le ceramiche sono chiaramente romane e in alcuni casi sono accompagnate da monete del tardo Impero, questo indica solo che tale era l’uso che se ne faceva nell’ultimo periodo della loro utilizzazione. Dalla loro elaborata architettura, dal loro numero e dalla generale localizzazione su “curcurredus”, cioè su alture più o meno distanti l’una dall’altra, non posso far altro che supporre che fossero stati progettati per soddisfare il duplice compito di mausolei per i morti importanti e di rifugio per i viventi, specialmente perché molti di loro sono fiancheggiati da nuraghi più piccoli, con cui sono in collegamento sotterraneo. Ma il mistero in cui sono avvolti è probabilmente destinato a restare impenetrabile poiché nessuno di loro rivela la minima traccia di segni alfabetici o di simboli”. Nelle immagini sono riportati i disegni allegati al volume della Illisso