di Giorgio Valdès Dalla guida dedicata al complesso nuragico di Palmavera ad Alghero, pubblicata a cura di Alberto Moravetti dall’editore Delfino, si riportano alcuni passi riferiti agli scavi effettuati da Antonio Taramelli. Compiuta una prima campagna di scavi nella necropoli di Anghelu Ruiu, nel 1904, ed esplorato il vicino nuraghe Sa Lattara –un monotorre ridotto a pochi filari- il Taramelli decise di scavare uno dei tanti nuraghi che sorgevano nella Nurra di Alghero “e che trovandosi in prossimità del mare poteva offrire speranze di cogliere, coi materiali indigeni, anche gli elementi di antiche importazioni”. La scelta cadde sul nuraghe Palmavera perché “la posizione dominante e nel tempo stesso riparata del nuraghe, non meno che la grandiosità dei suoi resti, e la relativa opportunità di accedervi dalla strada provinciale, rendevano quell’edificio degno della maggiore attenzione, cosicchè parvemi opportuna la scelta in mezzo ai numerosi nuraghi della regione per eseguirvi lo scavo”. Sebbene il nuraghe Palmavera si presentasse allora come “un grandioso cumulo di pietre sconvolte”, il Taramelli individuò tra le rovine e la vegetazione arbustiva sia l’antemurale che l’esteso villaggio che si sviluppava intorno al nucleo principale “e verso la via principale e al di là di essa”. Lo scavo, condotto da una squadra di operai “già agguerriti” dallo scavo di Anghelu Ruiu e diretto sul campo dallo stesso Taramelli coadiuvato da F.Nissardi, ebbe la durata di quattro settimane e fu volto “a segnare precisamente i limiti della costruzione nuragica e le parti che la costituivano, come anche la successione con la quale queste parti erano sorte”. Le indagini interessarono la camera del mastio, il cortile, i vari ambienti del bastione e solo parzialmente la torre aggiunta. Nella camera si rinvenne un livello superiore con “qualche coccio di vasellame di età spagnuola e di carattere ispano-moresco…e alcune monete medioevali” che poggiava su uno strato di frammenti fittili di età romana e punica. Quindi, rimosso “per quasi due metri lo strato di filtrazione, si ebbe lo stato primitivo”, dello spessore medio di circa mezzo metro che restituì esclusivamente ceramiche nuragiche –talora con grappe di restauro in piombo- frammenti di panelle di rame puro, frustoli ed oggetti in bronzo frammentati (lame di pugnale e di spade, anellini, spilloni etc.), ambra, fusaiole, macine, pestelli, lucerne, ornamenti in conchiglie e denti di cinghiale, etc. Quasi al centro del vano, in prossimità di due sedili accostati alla parete sinistra, era presente il focolare ove “ancora dritta in posizione d’uso, stava una grossa pentola ad anse espanse, frammentata nel collo e nell’orlo”. Accanto al focolare si rinvennero “frammenti di tre pezzi di calcare, lavorato con molta accuratezza” che accostati formavano una sorta di cilindro con cornice sporgente(…) e foro mediano…”che nella interpretazione del Taramelli poteva costituire “il sostegno di una mensa, di un altare domestico legato a un culto connesso con la conservazione del fuoco” (…omissis). Lo scavo del nuraghe Palmavera ad opera del Taramelli costituisce di fatto la prima esplorazione di un nuraghe condotta con criteri scientifici, ovviamente riportati agli inizi del secolo. Infatti, non solo lo scavatore procede con metodo stratigrafico, distinguendo la successione dei livelli culturali –certamente doveva essere più articolato lo “strato primitivo” nuragico- lascia testimoni di controllo, descrive con accuratezza sia le architetture che i materiali rinvenuti, è attento alle associazioni, ma si preoccupa di acquisire dai materiali tutte le informazioni che le altre scienze gli possono offrire” (…omissis). “questo edificio” afferma il Taramelli “ con la sua complessa disposizione, con l’accurata struttura del contrafforte, con la sapiente distribuzione delle scale, del corridoio d’ingresso, del cortile e dei ripostigli, rivelava chiaramente i caratteri di un edificio abitato e frequentato, nell’interno del quale si poteva circolare con sicurezza e riporre una notevole quantità di materiale: nel tempo stesso, l’altezza delle muraglie, la loro robustezza, la difficile comunicazione con l’esterno, come le feritoie della torre, i molteplici e complicati sistemi di chiusura all’ingresso, mostravano la preoccupazione di renderne quanto più possibile difficile e pericolosa l’entrata all’assalitore. Il carattere di dimora, evidente per le strutture dell’edificio, venne anche confermata, in modo luminoso, dai materiali forniti dallo scavo”. Nelle immagini tratte dal libro edito da Delfino, il nuraghe Palmavera nel corso degli scavi del 1904 e del 1961/1963