di Valeria Putzu
Vista la recente polemica sul convegno di archeologi Israeliani relativo agli scavi di El Ahwat, seguito dalla performance sassarese di alcuni funzionari ed ex della soprintendenza, vi faccio partecipi di un articolo scritto da due dei più importanti archeologi che indagano la preistoria cipriota, in modo che possiate rendervi conto di come, nel 2017, consideravano all’estero alcune interpretazioni che qui vanno per la maggiore, facendo a torto intendere che si tratti di una posizione dovuta a certezze indiscusse su cui c’é una completa concordanza tra tutti gli studiosi italiani ed esteri.
L’articolo in questione é “Sardinia and Cyprus: an alternative view on Cypriotes in the Central Mediterranean” del 2017, scritta da Anthony Russell e A. Bernard Knapp. nella versione in inglese su questo link https://www.academia.edu/30896777/_2017_Sardinia_and_Cyprus_an_alternative_view_on_Cypriotes_in_the_central_Mediterranean_Papers_of_the_British_School_at_Rome_85_1_35
Già l’introduzione si mettono le mani avanti su questo falso clima di certezza:
“Negli ultimi anni è emerso quello che chiamiamo un “discorso di certezza” riguardante l’impatto socio-economico e culturale predominante dei ciprioti o dei micenei della tarda età del bronzo sulle popolazioni indigene della Sardegna e/o della Sicilia e dell’Italia. Questo impatto è tipicamente
rappresentato sotto forma di una rete commerciale marittima sostenuta, sistematica, che si estende da Cipro al Mar Tirreno, se non oltre, fino alla Spagna.”
Gli autori esaminano le teorie a favore e quelle contrarie alla dottrina ufficialmente riconosciuta in Sardegna evidenziando alcune incongruenze: stranamente gli unici territori colonizzati dai Ciprioti sarebbero Sicilia e Sardegna, come se non avessero avuto posti più vicini da colonizzare!
“E, mentre alcuni suggeriscono che i ciprioti potrebbero essersi stabiliti in Sardegna (ad esempio Vagnetti e Lo Schiavo, 1989: 233; Lo Schiavo, 2001: 141) o in Sicilia (Holloway, 1981: 85–87), nessuno ha mai sostenuto l’esistenza di una “colonizzazione” cipriota ovunque nel Mediterraneo centrale.”
Poi si continua mettendo in dubbio la reale influenza di Micenei e Ciprioti:
“Circa 50 anni dopo, Sir William Taylour (1958: 185) avvertì che “la popolazione nativa [dell’Italia meridionale] non sembra aver subito in larga misura l’influenza micenea”.
Circa 25 anni fa Knapp (1990: 150) mise in discussione il concetto di “fabbri ciprioti insediati in Sardegna;”
Più recentemente, Blake (2008: 25), dopo aver esaminato e discusso l’ampia gamma di siti, analisi petrografiche e chimiche dei materiali e interpretazioni della presenza di reperti micenei o materiali in stile miceneo in Italia, Sicilia e Sardegna, conclude: “Con contatti solo occasionali tra micenei e popoli italici, e solo prove limitate di influenze micenee nella regione, sembra impossibile che i micenei possano aver causato cambiamenti della scala loro attribuita”.
Quindi, al contrario di quello che ci hanno sempre detto in Italia, alcuni studiosi di rilevo internazionale non riconoscono l’esistenza di una “colonizzazione micenea e/o cipriota”, mentre tra chi la riconosce c’é un eccessivo grado di autoreferenzialità.
“Lo Schiavo e Campus (2013: 149–50), ad esempio, affermano che è “certo” che (1) lo scambio di metalli tra Cipro e la Sardegna riflette “forti legami culturali nel periodo LC [tardo cipriota] II e LC III” e “questo argomento è stato dibattuto frequentemente e fino ad ora non ci sono state obiezioni serie alla constatazione che solo a Cipro e in Sardegna si possono trovare tutti questi materiali e queste tecnologie insieme e allo stesso tempo con caratteristiche non riscontrabili altrove».
Ci sono alcuni punti fermi qui, ma rispetto ai “dibattiti frequenti” Lo Schiavo cita esclusivamente tre delle sue pubblicazioni. ”Si mettono in discussione poi certi assunti di tale dogma, dicendo che, prima di tutto bisogna differenziare tra la presenza di reperti stranieri e la presenza di commercianti stranieri, dato che non sempre la prima implica necessariamente la seconda, sia perché artigiani locali potrebbero aver imitato i reperti stranieri, sia perché i vettori di tali commerci potrebbero essere anche sardi, possibilità che solo recentemente é stata presa in considerazione.
“Lo Schiavo e Campus hanno recentemente, e giustamente, promosso la nozione di attività marinara sarda … Questi sono graditi passi avanti rispetto alle nozioni secondo cui solo i ciprioti o i micenei erano in grado di consegnare merci attraverso il Mediterraneo, mentre i sardi si accontentavano di ricevere tali beni dal loro “punto di riferimento indispensabile per la navigazione” … Ma la ammissione dell’attività marinara basata sulla Sardegna apre la porta anche a una rivalutazione tutte le presunte influenze cipriote riscontrabili nei manufatti sardi e in altri materiali.
“suggeriamo che non sia stata dimostrata una presenza fisica persistente di ciprioti in Sardegna; che il loro diretto coinvolgimento ed influenza nella metallurgia sarda è improbabile; e che l’attuale discorso di certezza promosso dai quadri massimalisti ha ostacolato il dibattito produttivo sulle interrelazioni est-ovest nel Mediterraneo durante la tarda età del bronzo e la prima età del ferro.”
Poi si passa ad analizzare i reperti Ciprioti in Sardegna sottolineando l’importanza di distinguere tra quelli di indubbia provenienza e quelli di presunta provenienza cipriota, sottolineando la necessità di obiettività in tali ipotesi. La Sardegna risulta la nazione dove é stato rinvenuto il maggiore numero di lingotti ox-hide, superiore alla stessa Cipro, portati nella nostra regione intorno al XIII sec. A.C. Si evidenzia l’ampia dispersione di questi reperti tra 35 siti sardi, spesso lontani dalle coste, i lingotti presentano forme e dimensioni diverse, quindi non sono realizzati con lo stesso stampo. Oltre ai 7 lingotti interi abbiamo vari frammentari e tra questi 118 frammenti certi, 31 probabili e 16 incerti, cioè in alcuni casi non é provato che si tratti di frammenti di lingotti. Alcuni lingotti analizzati sono risultati contenenti minerale di provenienza sarda, quindi non tutti i lingotti ox-hide vengono da Cipro, oltretutto nei depositi di fonditore i lingotti ox-hide spesso sono associati a lingotti “in forma di pani” di provenienza locale, quindi é probabile che fosse abituale mischiare il rame cipriota con quello sardo. Si elencano una serie di altri reperti di provenienza o influsso cipriota: ceramica, statuine, un sigillo cilindrico, ancore di pietra, armi, asce doppie, tripodi e 13 strumenti per la metallurgia per un totale di 22 oggetti in bronzo. Gli autori premettono che oggetti simili non implicano necessariamente contatti commerciali, ma possono essere frutto di una risposta simile alla stessa funzione. Oppure può trattarsi di imitazioni locali come é successo con le ceramiche micenee del Nuraghe Antigori. Si afferma che alcuni di questi reperti, come per esempio le ancore di pietra dal golfo di Cugnana (Olbia), sono troppo generici per poterli definire orientali o ciprioti, anche considerando che nella stessa Cipro non é stata trovata un’unica tipologia.
Successivamente gli autori elencano i materiali nuragici trovati in siti Ciprioti cone Hala Sultan Tekke, Kytion, Pyla Kokkinokremos, e Maa Paleokastro. Inoltre analizzano le differenze tra la Sardegna e altre zone dove sono stati trovati reperti Ciprioti. Per esempio in Sardegna c’é una maggiore incidenza di reperti metallici, pur essendo la Sardegna una zona ricca di miniere. Inoltre in Sardegna i reperti ciprioti sono stati trovati in genere in abitati, villaggi o nuraghi, mentre in Sicilia in necropoli. Nel resto dell’Italia Meridionale i reperti ciprioti sono scarsissimi, mentre é evidente una connessione più cospicua con l’Egeo. Ma mentre nel Meridione c’é una maggiore riluttanza a parlare di “colonizzazione” micenea, pur avendo una maggiore presenza di reperti, in Sardegna non si pongono tanti scrupoli nell’individuare una presenza Micenea e Cipriota nell’isola nonostante i reperti siano comparativamente molto più scarsi.
Si viene cioè a creare una situazione paradossale: da un lato si da un’eccessiva importanza a reperti privi di contesto e di provenienza accertati. Inoltre si interpretano i commerci come unidirezionali, considerando solo gli interessi commerciali dei Ciprioti: la Sardegna é vista solo come una tappa nei loro viaggi a Occidente. Non si considera cosa potesse offrire la Sardegna in cambio, e questo é un tema importante considerando la carestia di reperti Sardi in Oriente. Non si considera nemmeno la scarsezza di reperti, insufficiente per dimostrare una presenza stabile di ciprioti in Sardegna: tutto sommato se consideriamo i 7 lingotti interi e i 180 frammenti di ox-hide, questi potrebbero costituire il carico di una sola nave tipo Uluburun.
Gli autori criticano la persistenza dei modelli di “ex oriente lux ”che considerano i commerci come unidirezionali, non tenendo conto della possibilità di mobilità delle popolazioni occidentali. Solo recentemente si sta finalmente iniziando a considerare il coinvolgimento dei Nuragici in queste reti
commerciali, stabilendo “un’idea nuova e lungamente attesa”, ma ci si ferma a metà, nel senso che i nuragici sarebbero responsabili unicamente di portare i materiali sardi a Cipro, ma non i metalli Ciprioti in Sardegna. Si propone di prendere in considerazione la possibilità che ci fossero anche altri vettori oltre i sardi e i ciprioti.
Gli autori notano ulteriori incongruenze: mentre a Cipro c’era un élite forte che monopolizzava i commerci e controllava le miniere, in Sardegna non ci sono prove dell’esistenza di élite con un accesso privilegiato ai beni di lusso o stranieri, quindi gli eventuali commercianti ciprioti non avevano un forte
referente locale in Sardegna. Pertanto si potrebbero considerare ipotesi alternative, come che i traffici sarebbero stati gestiti da vari vettori di cabotaggio più piccolo, ognuno dei quali gestiva una parte della rotta con navi più piccole. Per fare un esempio non una nave grande come quella di Uluburun che faceva tutta la rotta, ma varie navi più piccole come quelle di Capo Gelidona e Point Iria che ne facevano ognuna una parte.
O forse la maggiore prevalenza dei materiali Ciprioti in Sardegna rispetto alla Sicilia o al Meridione d’Italia invalida questa ipotesi facendo propendere per quella di un commercio diretto Sardegna- Cipro?
La presenza di reperti nuragici a Cannatello in Sicilia, a Kommos a Creta, a Pyla Kokkinokremos a Cipro farebbe propendere per l’esistenza di una rotta diretta che bypassava il Peloponneso e il Meridione Italiano. In ogni caso potevano esserci vettori che facevano ciascuno una parte di questa rotta.
Per quanto riguarda i reperti bisogna distinguere tra la presenza fisica di agenti esterni o i semplici influssi su oggetti realizzati da artigiani locali. Fa l’esempio delle pale da carbone: una é una possibile importazione da Cipro, le altre sono più probabilmente versioni fatte da artigiani sardi. E lo stesso vale per la maggior parte dei reperti classificati come Ciprioti, a parte i tripodi. Ma anche per questi potrebbe trattarsi di repliche fatte da artigiani locali.
Concludendo gli autori auspicano che si prenda in considerazione la possibilità della mobilità di mercanti o marinai sardi. Non ci sono prove archeologiche di presenza di Ciprioti o altri mercanti orientali in Sardegna, né correlazione tra la presenza di reperti stranieri in siti Nuragici dell’età del Bronzo e il conivolgimento di metallurghi ciprioti. Si dovrebbe considerare la possibilità di una marineria nuragica sia negli scambi all’interno del Tirreno, sia per le lunghe rotte che attraversano il Mediterraneo.
Il crescente corpus di materiali Nuragici in Sicilia, Creta, Cipro, ma anche nella Penisola Italiana e in Spagna non dovrebbe essere inquadrato come conseguenza unicamente di mercanti Egei, Ciprioti o Levantini. Ma il fatto di considerare la Sardegna come attiva partecipante nelle reti commerciali, apre la strada per riconsiderare la supposta influenza cipriota. Nel Meridione Italiano c’é stato uno studio minuzioso per valutare l’effettivo livello degli influssi Micenei. Chi propone uno scenario simile tra Cipro e la Sardegna non ha prodotto un livello di analisi paragonabile. La stessa Lo Schiavo riconosce che le prove archeologiche di una presenza Cipriota stabile in Sardegna sono deboli. Ciò nonostante, la forte presenza di lingotti ox-hide in Sardegna, paragonata alla scarsezza in Sicilia e all’assenza nella Penisola Italiana é un ostacolo all’ipotesi che i mercanti ciprioti semplicemente esportassero il surplus in Occidente (avrebbero una distribuzione più uniforme). Piuttosto si dovrebbe vedere la Sardegna come una zona che compartiva una tradizione di estrazione e lavorazione dei metalli e di produzione di artefatti in bronzo, rendendo possibile uno scambio di tecnologie e informazioni. Infine si continua a criticare il discorso di “certezza” con cui vengono presentate interpretazioni come se fossero “fatti indiscutibili”.
Questo é un aspetto ricorrente trattando la questione cipriota. Tali visioni tendono a distorcere l’evidenza empirica e a scoraggiare contro-interpretazioni. Si contesta anche il rifiuto di prendere in considerazione punti di vista alternativi, fosse anche per metterli in discussione, dicendo che in questo modo non si avanza negli studi.