AGLI ASPIRANTI ORGANIZZATORI DI NUOVE CONFERENZE SULLA “FANTARCHEOLOGIA” – addendum

di Redazione

A parte la ricca e stimolante discussione tecnico-filosofica sulla possibile identificazione degli antichi Shardana con I militi nuragici (tesi che riteniamo senz’altro la più probabile/attendibile alla luce dei dati materiali e la corposa documentazione fornita dagli eminenti archeologi citati nel post) vorremmo sottolineare un aspetto non trascurabile di natura economico-sociale. Come ben noto a tutti, e recentemente evidenziato molto chiaramente [Dai nuraghi un miliardo l’anno per il Pil della Sardegna – Notizie – Ansa.it] le potenzialità economiche e sociali del turismo archeologico sono rilevanti e sarebbero linfa vitale per una regione come la Sardegna piagata da disoccupazione giovanile, bassissimo PIL e progressiva desertificazione sociale, demografica e culturale. Attualmente il richiamo turistico è limitato alle stagioni estive, grazie alle splendide coste, ma la gran parte dell’anno nonostante il clima confortevole rimane un ampio deficit di presenze. Come avviene in molte realtà italiane ed estere la presenza di città d’arte, di siti di interesse archeologico, musei, mostre, etc. garantisce un reddito turistico continuativo e di spessore, utile non solo per l’occupazione e l’economia, ma fonte di benessere sociale, sicurezza, cultura. 

In Sardegna esiste un immenso patrimonio archeologico, unico e capillarmente diffuso in tutta l’Isola. Corrisponde ad epoche antichissime, quando nel Mediterraneo si sviluppavano vicende che hanno ispirato miti, leggende, affascinanti ricostruzioni storiche, racconti biblici, poemi omerici che ancora studiamo come base della nostra civiltà. Ma per diverse ragioni la conoscenza e l’apprezzamento del ruolo svolto dai popoli che abitavano l’antica Sardegna sono irrilevanti. Possiamo citare come determinante di questa invisibilità la damnatio memoriae  operata sistematicamente dai Romani e dai loro successori (sino al ventennio ed oltre: cfr. Caterini Fiorenzo: La mano destra della storia. Ed. Carlo Delfino, 2017). Potremmo anche considerare una difficile “lettura” dei monumenti, che appaiono (erroneamente) ripetitivi, poco raffinati, rozzi “cumuli” di grandi pietre; spesso interrati, manomessi, nascosti da sterpaglie e occupati da bestiame. Per chi però conosce più a fondo questi siti la maestà, le tecniche costruttive, la rilevanza storica, la godibilità paesaggistica sono unici. Le nuove prospettive aeree documentate dai droni permettono di evidenziarne l’eleganza e la maestria architettonica, la variabilità estetica e funzionale.

Come aiutare il pubblico meno sensibilizzato ad avvicinare queste meraviglie? Serve un aggancio che carpisca l’attenzione, che sottolinei la valenza storica collegandola al quantum “mitopoietico” che tutti abbiamo. Ma l’immaginario collettivo è già saturo di una mitopoiesi che ha deleto le regioni occidentali del mediterraneo e la strategia vincente deve passare dalla riconnessione di quelle antiche vicende, privilegiando i punti di raccordo. E’ paradossale, ma questi “agganci” già ci sono: i rapporti con l’antico Egitto, la guerra di Troia, gli eventi Biblici, il tutto sintetizzabile in un unica parola: Shardana

Su questa identificazione è possibile ricostruire una mitopoiesi potente, suggestiva, attrattiva. A parte I riferimenti “scientifici” di rilievo (da Pallottino a Ugas) serve la creazione di un corpus (romanzi, poesie, film, teatro, musica, etc) che raggiunga le persone, che renda quei mitici eventi vettore di interesse e di godimento estetico. Andrebbe resuscitato l’interesse per la splendida opera lirica del 900 che racconta l’epopea degli Shardana (Ennio Porrino – www.youtube.com/watch?v=B-rs3Y4r9kI). Va supportato lo sviluppo di una letteratura di intrattenimento ispirata a quelle antiche storie, come anche le iniziative di quei pochi “eroi” che cercano di dare un’anima a quell’antico popolo, ai loro costumi, ai loro splendidi monumenti con iniziative di archeologia sperimentale, riproduzioni di armi, costumi, imbarcazioni, fotografie, filmati. 

Ma questi sforzi hanno un implacabile nemico.  Il circolo fantarcheolofobico del “rigore scientifico”, rivelatosi ancora una volta nella iniziativa del 25 Ottobre, organizzata dalla Associazione Sassarese di Filosofia e Scienza, cui rivolgiamo questi nostri commenti. Nemico già vivace fustigatore di archeologi illustri ma devianti, di appassionati, di pericolosi nazional-nuragici. Se si prova a leggere tra le righe della casistica delle esternazioni di questo circolo (convegni, articoli, dichiarazioni, azioni, etc.) salta evidente la pervicace e selettiva metodologia “negazionista”. Shardana: no, scrittura: no, rapporti con Egitto: no, navigazione: no (anzi ni), giganti: no, eroi: si, vigne: si, etc. etc. Un atteggiamento resistenziale che si giustifica e si nasconde dietro ideali e nobilissime difese della verginità etica, del metodo scientifico, del rigore. Ma spesso e purtroppo metodologicamente inficiato da inattendibilità, superficialità, incoerenza con i dati e le prove disponibili, talvolta ignoranza. Di mancanza di rispetto per colleghi illustri, irrisi e paragonati a terrapiattisti. Con strategie comunicative scorrette, talvolta mutuate dalla più sgangherata macchiettistica. 

La cosa che ci preme segnalare è che questa incomprensibile resistenza riesce a rallentare o bloccare (da decenni ormai) proprio lo sviluppo di una fruibilità economico-sociale del patrimonio archeologico della Sardegna. Sviluppo che ha bisogno di una evoluzione equilibrata delle conoscenze storico/archeologiche con lo sviluppo di una mitopoiesi “positiva”, attendibile ma anche attrattiva, che contribuisca a stimolare l’interesse per i monumenti, i siti, i percorsi turistici.  

Per capirsi meglio facciamo due esempi:

  1. E’ ben noto che il sito di Stonehenge è ampiamente “manipolato”, e la ricostruzione di come e perchè fu costruito ha ampi margini e zone d’ombra. Potremmo immaginare un corpus di funzionari archeologi inglesi che dedichino continuativamente risorse, convegni, scritti etc. a sottolineare le inattendibilità della ricostruzione storica e “scientifica” del sito e irridano allo stuolo di turisti, celtisti o della wicca, che in massa lo visitano? Quanto durerebbe quel gruppo di eroi? 
  2. A Verona è necessario transennare la via su cui si affaccia il cortile del famoso  “balcone” di Giulietta per evitare che la perenne e lunghissima coda di pellegrini blocchi la circolazione della bellissima piazza delle Erbe. Pensate che il balcone sia genuino? Pensate che Romeo sia veramante esistito ed abbia amato la bella Giulietta? Immaginiamo che esista un manipolo di archeologi puristi che, supportati da stipendio e risorse statali, organizzino convegni, scritti, interviste per sfatare  la fantarcheologica balla, che sfottano in pubblico e ripetutamente i pellegrini che inseguono, rivivendolo, il sogno shakespeariano. Quanto durerebbero? 

In Sardegna è un’altra cosa. Siamo terra di persone serie e metodologicamente irreprensibili. Le prove ci sono ma non bastano, e se ne trovano altre non bastano ancora. 

Ma cui prodest? Esiste un complotto, un disegno politico, una strategia nascosta? Purtoppo e più probabilmente no, è forse solo frutto di beghe personali e di lotte interistituzionali nella periferia dell’impero.