IL TEMPO DEI FENICI – Olbia, dove gli INDIGENI Nuragici avevano rilievo solo per i matrimoni misti (5-Continua)

di Antonello Gregorini

INDIGENO, per la TRECCANI significa che è originario del luogo:  aborigeno, autoctono, epicorio, nativo. ↔ (non com.) allogeno, forestiero, straniero. Per estensione nell’uso comune, membro di popolazioni primitive, o comunque incivili e rozze] ≈ primitivo,  selvaggio.

Ecco perché può non piacere il capitolo sulla città di Olbia contenuto nel libro “IL TEMPO DEI FENICI” (Ilisso editore), che capitolo dopo capitolo stiamo leggendo e recensendo per gli amici di Nurnet. ( 1 ; 2 ; 3 ; 4 )

Mentre nelle sezioni dedicate a Cagliari, ad Oristano, a Sulci, la prospettiva è profonda, in questo i “nuragici sardi” diventano indigeni che meritano un cenno solo perché “si sposavano con Fenici e poi Punici o Romani”.

Per Rubens D’Oriano, archeologo, funzionario di soprintendenza, “l’insediamento di Olbia (fenicia), ininterrottamente stratificato sino ad oggi, nasce con i Fenici, forse di Tiro, verso il 770-760 a.C, in funzione della trasmissione dei prodotti di lusso della madre patria verso il mondo INDIGENO della Sardegna e le comunità etrusche e laziali, in quanto era l’unico insediamento fenicio autonomo del Tirreno a nord della Sicilia.

Oggetto degli scambi erano probabilmente anche i prodotti del mare (sale e pescato) e quelli dell’hinterland acquisiti dalle popolazioni locali, i cui membri erano presenti almeno a seguito di unioni matrimoniali miste.

Allo stato della documentazione archeologica non è facile definire la natura dell’insediamento che, poiché occupava una superficie di ben 18 ettari ed era dotato, probabilmente, di un luogo di culto circostante l’abitato, potrebbe avere avuto status di area urbana e non solo di sito emporico.”

A seguire Olbia diventerà greca (Focea come Alalìe in Corsica), dopodiché punica ma sempre “erano presenti INDIGENI a seguito di unioni miste e/o per le opportunità varie di ordine commerciale e simili che esso offriva.”

Ancora, dopo, diventerà punica alla fine del VI per quasi tre secoli, ma “nella fase punica si fa più consistente la documentazione ceramica della presenza di INDIGENI in città (evidentemente erano cresciute le capacità economiche degli indigeni dopo la barbara Civiltà Sarda nuragica NdR).”

 

Tuttavia, osservando il quadro delle emergenze di manufatti nuragici tuttora rinvenibili, possiamo affermare che la presenza nuragica non era sicuramente di scarsa entità. I poveri INDIGENI, infatti, come risulta della mappa ricavata dal Geoportale NURNET-CRS4, controllarono sostanzialmente, e almeno per un millennio, tutta la costa, i fiumi e gli approdi, da cui salpavano per altre mete, comprese quelle orientali tra cui le terre di Canaan, dove ai futuri Fenici-come affermava Dimitri Baramki, curatore del museo di Beirut-, mancava totalmente “quel fondo di sapere nautico e tecnico senza il quale non è possibile la navigazione in alto mare”.

In epoca nuragica, ma probabilmente anche fenicia, l’area dell’attuale città era lagunare e stagnante, come testimoniato da tutti gli studi idrogeologici e le mappature anche recenti, sviluppate dopo le alluvioni tragiche che hanno colpito la città.

E’ pertanto assai più probabile che i “Nuragici” si fossero saldamente attestati sulle alture, da cui potevano controllare gli insediamenti a valle, i corsi d’acqua e gli approdi. Le emergenze monumentali di quel periodo confermano questo assunto, mentre può ragionevolmente ipotizzarsi che gli edifici più prossimi alla costa siano attualmente  sommersi dal fango, come avviene nelle varie lagune isolane o siano ridotti ai minimi termini in conseguenza all’innalzamento del livello medio del mare e all’incessante azione demolitrice del moto ondoso.

Per altro verso, dalla relazione di D’Oriano non emerge una rilevante presenza di edifici o necropoli fenicie, di un tofet o di fabbricati di rilievo, analoghi a quelli rinvenuti a Sulky, a Tharros o nella stessa Cagliari.

Al contrario, e giusto a titolo d’esempio, l’esistenza del monumentale pozzo sacro di “Sa Testa” (foto sotto), proprio a ridosso dell’area portuale olbiese, induce a ritenere che la presenza di “nuragici” fosse copiosa e altrettanto consistente la loro capacità di presidio.

Altro esempio significativo è il nuraghe “Belveghile” (foto sotto) coperto e “violato” da un viadotto, nonostante la supervisione amministrativa e scientifica competesse al responsabile territoriale della Sovrintendenza.

Il pozzo sacro di “Milis” infine (foto sotto), addirittura posizionato su un promontorio in prossimità dello scalo marittimo dell’attuale Golfo Aranci, è finito miseramente affiancato dalla linea ferrata, sfregiato da un’autoclave che lo sovrasta come un cappello rotondeggiante. Ma si sa, anche in questo caso si tratta di un manufatto INDIGENO  non degno di miglior sorte.

Tutta la baia era dominata da una vera e propria fortezza del “Bronzo”, circondata da mura ciclopiche e dotata di cisterna per l’approvvigionamento idrico. Nel villaggio circostante fu rinvenuto il bronzetto dell’acquarola (foto sotto), splendida opera d’arte ex voto che indica capacità minerarie, metallurgiche e di organizzazione sociale di quelle popolazioni.

Eppure, inspiegabilmente, l’antica Olbia nuragica sparisce nella descrizione del D’Oriano.

E non c’è la minima menzione della  primitiva “Terranova” e, probabilmente, l’ancora più antica e omerica “Skerìa”, la mitica patria di Alcìnoo, re dei Feàci e di sua figlia Nausìcaa, che soccorse e si invaghì del naufrago Ulisse, approdato in queste sponde dopo aver vagato a lungo per i mari in cerca della sua amata sposa Penèlope.

Si racconta che la nave dei Feaci, dopo aver riportato l’eroe ad Itaca, sfidando la volontà di Poseidone, il dio del mare, incorse nella sua ira e venne pietrificata. La leggenda identifica l’isola di Tavolara, che si staglia al largo di Olbia, con quella nave sfortunata e non a caso, il suo lembo estremo, rivolto verso il largo, porta il nome di “Punta Timone”. Di questa leggenda parla anche Massimo Pittau nei suoi scritti.
http://www.nurnet.it/it/1371/Olbia_nella_leggenda.html

Questo tuttavia è mito, o mitopoiesi.

Così è, o così la si vuol fare apparire.

Ma a noi certamente non può piacere…